Skip to main content

Alcune considerazioni dalla mia esperienza missionaria

1289/500

Sono grato a chi mi ha sollecitato a scrivere qualcosa di personale in vista del prossimo XVIII Capitolo generale che si farà nella R.D.C. a Bukavu nel mese di luglio del 2023 e che avrà come tema fondamentale: Amare la nostra vocazione missionaria.

Premetto che non sono uno che ama scrivere, non sono “una bella penna” e non mi piace scrivere, ma dato che me lo chiedono per dare una piccola riflessione personale a questo importante avvenimento che ci vede tutti uniti come famiglia saveriana missionaria nel mondo, lo faccio volentieri. In un primo momento mi sono chiesto perché proprio io, vedendo che ci sono tanti confratelli che conosco e che hanno tante belle idee, con i piedi a terra e soprattutto con esperienze di vita e di missione migliori e maggiori delle mie… Comunque, provo lo stesso a scrivere qualcosa…

Ogni Capitolo va sempre inquadrato nel suo periodo o momento storico. Per me essi sono delle pagine di vangelo a cui mi inchino con rispetto e chiedo perdono per la fatica ad accogliere le decisioni prese, a volte per la mia distrazione o non curanza nel ritornare a rileggere e a riflettere sui contenuti proposti per agire il meglio possibile.

I primi 8 anni della mia vita missionaria li ho spesi nell’animazione missionaria e vocazionale a Taranto e altrettanti anni ho trascorso in Bangladesh. Ora da più di 10 anni sono in Italia tra una brevissima animazione missionaria a Macomer e una più prolungata pastorale di ministero parrocchiale e animazione giovanile su richiesta del vescovo a Udine durante il periodo di assistenza alla malattia di mio padre. Ora, da qualche anno presto il servizio di aiuto ai nostri confratelli del IV piano di Parma. Posso dire di essere tutto sommato contento per tutte queste esperienze o “grazie” di Dio, che ho vissuto e sto vivendo nel mio percorso missionario.

Leggendo gli ATTI dell’ultima COSUMA fatta a Tavernerio (2021), prendo atto della situazione preoccupante, soprattutto in Italia, del calo delle vocazioni in questi ultimi decenni e dell’aumento, di conseguenza, dell’età media dei confratelli che lavorano o risiedono nelle nostre comunità e naturalmente la progressiva diminuzione numerica ormai inarrestabile. Penso che sia un argomento da prendere ancora in considerazione per riflettere concretamente su come ‘salvare’ la famiglia saveriana in Europa, scoprendo quale tipo di presenza siamo chiamati a vivere dove le forze fisiche e mentali stanno venendo sempre meno.

I tre pilastri del nostro carisma (ad gentes, ad extra e ad vitam), li ritengo anch’io importanti ed inscindibili tra loro. Ma in “questo cambiamento epocale” come ama dire papa Francesco, dove la missione sta cambiando modo di essere, e guardando al futuro, mi domando se davvero le tre parole sopra possono ancora stare insieme. Penso però, dall’esperienza, che l’inclusione delle tre realtà sopra citate, avrà spessore e valenza nella misura in cui entreranno in una “rete” di relazioni a 360 gradi con ogni realtà o contesto in cui siamo chiamati a vivere, dove per i problemi che si incontrano non ci sono “ricette” di soluzioni preconfezionate, ma soltanto quella fatica e costanza di stare in “rete” sia come individui che come comunità, così da trovare insieme le risposte più adeguate.

Un altro aspetto su cui riflettere, e che vedo nel mio servizio attuale (Parma, quarto piano), è constatare a volte la sofferenza in quei rientri forzati in Italia di tanti confratelli anziani malati, non più gestibili (?) e per i quali non si ritiene opportuna una prolungata presenza nella comunità di “missione”. È qui che mi domando se, con queste decisioni, la nostra dimensione “ad extra” possa davvero perdere di qualità come testimonianza. Mi chiedo quale “normale” famiglia ha il coraggio di spedire lontano migliaia di km dai propri affetti una persona amata dalla gente solo perché la sua salute diventa ‘ingestibile’ (in comunità). Mi chiedo: non è proprio possibile trovare in loco una soluzione migliore per lui e per tutti? Nel Capitolo generale precedente si è sottolineato fortemente che il nostro carisma del primo annuncio ai non cristiani, ci deve impegnare totalmente con la vita e ad extra. Quanto è stata vera, profonda e necessaria la testimonianza resa dai nostri martiri nel far crescere la logica del Regno di Dio in terra di missione! Quanto vorrei che la testimonianza dei nostri confratelli “diversamente giovani” con i loro acciacchi possa essere ancora una forza di testimonianza in terra di missione se accolti con “amore” nelle proprie comunità, che si impegnano ‘a riorganizzare’ la vita di missione, se necessario. Penso che questo sia un argomento da affrontare o condividere meglio per trovare soluzioni giuste come Famiglia missionaria. Come riuscire a dare la giusta dignità fino alla fine al confratello malato che desidera terminare in missione la sua vita?

Vedo bene che si crei un comitato o un gruppo per la salute dei confratelli nel gestire bene questa grossa problematica.

Guardando al futuro, un altro aspetto, credo, da considerare per il Capitolo è la formazione dei giovani saveriani nati e cresciuti nelle varie circoscrizioni o chiese giovani. Come attuare il più possibile le comunità interculturali o internazionali in una fraternità che testimoni il valore della famiglia saveriana? Vorrei fare una proposta se è possibile: durante gli anni di teologia ci sia la possibilità, per chi lo desidera, di fare un’esperienza formativa (uno/due mesi), soprattutto durante il periodo estivo o nel tempo libero dagli studi, con gli ammalati del “quarto piano” affiancando il lavoro delle OSS (Operatore Socio Sanitario) e il servizio di animazione con le persone incaricate ad organizzare.

Grazie e buon cammino verso il Capitolo, con affetto p. Daniele Targa


Some considerations from my missionary experience

I am grateful to the ones who insisted I write some personal comments ahead of the upcoming XVIII General Chapter (GC) that will take place in Bukavu, D.R.C., in the month of July 2023, and whose fundamental theme will be Loving Our Missionary Vocation.

Let me first say that I am not one who loves writing; I am certainly not “a wordsmith” and I do not like writing but, since I have been asked to contribute a small personal reflection on this important event that unites us all as Xaverian missionary family in the world, I do it willingly. At first, I wondered why me, considering that there are many confreres whom I know to have many beautiful ideas, are down-to-earth and, above all, have better and greater life and missionary experiences than I… In any case, I will try to write something.

Every chapter must be viewed in its historical period or moment. For me, the chapters are like pages of the Gospel in front of which I bow down with respect; and I ask pardon for not welcoming promptly the decisions taken, sometimes because I do not pay attention or neglect going back to the texts to read and reflect on the contents there proposed for a better action.

I spent the first eight years of my missionary life working in mission awareness and vocation promotion in Taranto and eight years in Bangladesh. Now, I have been in Italy for more than ten years, which I spent in promotion of missionary awareness in Macomer, and, in answer to a request from the Bishop of Udine, a longer period of parish and youth ministry while assisting my ill father. At present, I have been helping out in the care for our confreres of the Fourth Floor in Parma. All in all, I can say to be happy for all these experiences or “graces” from God which I encountered and am encountering in my missionary journey.

As I peruse the proceedings of the last CoSuMa held in Tavernerio, I notice the worrying situation, especially in Italy, of the diminished number of vocations over the last decades and the consequent increase in the average age of confreres that work or reside in our communities, as well as the natural and progressive decrease of our numbers, which by-now is unstoppable. I think this is a matter we should take again into consideration in order to reflect on concrete ways to ‘save’ the Xaverian family in Europe and discover which types of presence we are called to adopt in those places where, little by little, our physical and mental energies are abating.

I too consider the three pillars of our charism (ad gentes, ad extra and ad vitam) important and inseparable. However, considering “the present epochal change” – as Pope Francis loves to call it, that is, a time when mission is changing the way it used to be –, and as I look at the future, I wonder whether the three pillars can still remain together. But then, based on experience, I think that the integration of the three pillars mentioned above may be significant and valuable in as much as they will interact with a whole ‘set of relationships’ that we discover in the reality or milieus where we are called to live. The problems we meet in those milieus do not have ready-made solutions. For us, both as individuals and as community, there is only the toil and constant effort to remain open to the challenges, to which we must find together the most appropriate answers.

Another aspect we need to ponder over – something which I observe in my present service (in the Fourth Floor, Parma) - is the suffering caused to many elderly and sick confreres when they are forced to return to Italy because they can no longer be “managed” and, therefore, prolonging their presence in a “mission” community is considered inappropriate. I wonder whether this type of decisions does not undermine the quality of the witness of our ad extra dimension. I ask myself: which “normal” family has the courage to send a person, who is loved by the people around him, thousands of kilometres away from his beloved ones simply because his condition has become ‘too heavy’ for the community to shoulder? I wonder whether it is really impossible to find a better solution locally, both for him and for all? The last GC strongly emphasised that by virtue of our charism we are totally committed to the first proclamation to the non-Christians ad vitam, and ad extra. We know how deep and necessary for the growth of God’s Reign and its logic has been the witness our martyrs gave in mission land! I would like very much that confreres, who are “still young but in a different manner”, could continue being an asset for missionary witness despite their aches and pains. They need to be welcomed with love by their own communities; and, if needed, these should take it upon themselves to ‘reorganise’ missionary life. I think that this issue needs to be dealt with and discussed so as to find the right solutions as a missionary Family. Is it possible to preserve all along the dignity of a sick confrere who wishes to remain in mission till the end of his life?

In order to deal with this huge problem in the best way, I view favourably the setting up of a committee or a group in charge of the confreres’ health.

As I look at the future, I reckon that another aspect in need of consideration during the GC is the formation of young Xaverians that were born and have grown in the various circumscriptions or young churches. How can we best realise intercultural and international communities characterised by a fraternity that witnesses the value of the Xaverian family? Allow me to make a proposal: During theological studies, students should be given the possibility to choose to spend a period of formation (one/two months), particularly during the Summer or in other times free from academic commitments, in order to stay with the sick in the “Fourth Floor”, helping the social health workers and others who organise activities for the care of our confreres.

Thanks and good journey to the Chapter.


Quelques considérations à partir de mon expérience missionnaire

Je suis reconnaissant à ceux qui m’ont demandé d’écrire quelque chose de personnel en vue du prochain XVIII Chapitre général qui aura lieu en R.D.C. à Bukavu au mois de juillet 2023 et qui aura comme thème fondamental : Aimer notre vocation missionnaire.

Je dis que je ne suis pas quelqu’un qui aime écrire, je ne suis pas "une belle plume" et je n’aime pas écrire, mais comme ils me le demandent pour donner une petite réflexion personnelle à cet important événement qui nous unis tous comme une famille missionnaire xavérienne dans le monde, je le fais volontiers. Au début, je me suis demandé pourquoi précisément moi, voyant qu’il y a tant de confrères que je connais et qui ont tant de belles idées, les pieds sur terre et surtout avec des expériences de vie et de mission meilleures et plus grandes que les miennes... J’essaie quand même d’écrire quelque chose...

Chaque chapitre doit toujours être situé dans sa période ou son moment historique. Pour moi, ce sont des pages d’évangile auxquelles je m’incline avec respect et je demande pardon pour la difficulté d’accueillir les décisions prises, parfois pour ma distraction ou mon manque d’attention nécessaire en revenant relire et réfléchir sur les contenus proposés pour agir le mieux possible.

Les huit premières années de ma vie missionnaire, je les ai passées dans l’animation missionnaire et vocationnelle à Taranto et j’ai passé autant d’années au Bangladesh. Maintenant, depuis plus de 10 ans, je suis en Italie d’abord pour une très brève animation missionnaire à Macomer et puis une pastorale plus prolongée de ministère paroissial et d’animation des jeunes à la demande de l’évêque à Udine, pendant que j’assistais mon père dans sa maladie. Maintenant, depuis quelques années, j’assure le service d’aide à nos confrères du IVème étage de Parme. Je peux dire que je suis dans l’ensemble content de toutes ces expériences ou "grâces" de Dieu, que j’ai vécues et que je vis dans mon parcours missionnaire.

En lisant les actes de la dernière rencontre de COSUMA faite à Tavernerio, je prends acte de la situation préoccupante, surtout en Italie, de la baisse des vocations ces dernières décennies et de l’augmentation, en conséquence, de l’âge moyen des confrères qui travaillent ou résident dans nos communautés et bien sûr la diminution progressive du nombre qu’on ne peut désormais plus arrêter. Je pense que c’est un sujet qu’il faut encore prendre en considération pour réfléchir concrètement sur la façon d'identifier et « sauver » la famille xavérienne en Europe, en découvrant quel genre de présence nous sommes appelés à vivre là où les forces physiques et mentales diminuent.

Je considère aussi importants et indissociables les trois piliers de notre charisme (ad gentes, ad extra et ad vitam). Mais dans "ce changement d’époque" comme aime le dire le pape François, où la mission est en train de changer, et en regardant vers l’avenir, je me demande si vraiment les trois mots ci-dessus peuvent encore être ensemble. Mais je pense, à partir de mon expérience, que l’inclusion des trois réalités mentionnées ci-dessus aura de l’épaisseur et de la valeur dans la mesure où elles entreront dans un "réseau" de relations à 360 degrés avec chaque réalité ou contexte dans lequel nous sommes appelés à vivre, où pour les problèmes que nous rencontrons il n’y a pas de "recettes" de solutions préemballées, mais seulement cet effort et cette constance d’être en "réseau" à la fois en tant qu’individus et en tant que communauté, afin de trouver ensemble les réponses les plus adéquates.

Un autre aspect sur lequel réfléchir, et que je vois dans mon service actuel (Parme, quatrième étage), est de constater parfois la souffrance dans ces retours forcés en Italie de nombreux confrères âgés malades, qui ne peuvent plus être gérés (?) et pour lesquels une présence prolongée dans la communauté de "mission" n’est pas jugée opportune. C’est là que je me demande si, avec ces décisions, notre dimension "ad extra" peut vraiment perdre de la qualité en tant que témoignage. Je me demande quelle famille "normale" a le courage d’envoyer à des milliers de kilomètres une personne aimée par les gens simplement parce que sa santé devient ingérable (en communauté). Je me demande : n’est-il pas possible de trouver sur place une meilleure solution pour lui et pour tous ? Dans le chapitre général précédent, il a été fortement souligné que notre charisme de la première annonce aux non-chrétiens, doit nous engager totalement dans la vie et ad extra. Combien le témoignage rendu par nos martyrs en faisant croître la logique du Royaume de Dieu en terre de mission a été vrai, profond et nécessaire ! Combien je voudrais que le témoignage de nos confrères "autrement jeunes" avec leurs maux puisse être encore une force de témoignage en terre de mission s’ils sont accueillis avec "amour" dans leurs communautés, qui s’engagent si nécessaire. Je pense que c’est un sujet à affronter ou à partager mieux pour trouver des solutions justes en tant que Famille missionnaire. Comment réussir à donner la juste dignité jusqu’à la fin au confrère malade qui désire terminer sa vie en mission ?

Il est bon qu’on considère la création d’un comité ou un groupe pour la santé des confrères, et ainsi bien gérer cette grosse problématique.

En regardant vers l’avenir, un autre aspect, je crois, à considérer pour le Chapitre est la formation des jeunes xavériens nés et grandis dans les diverses circonscriptions ou églises jeunes. Comment mettre en œuvre le plus possible les communautés interculturelles ou internationales dans une fraternité qui témoigne de la valeur de la famille xavérienne ? Je voudrais faire une proposition si c’est possible : pendant les années de théologie, qu’il y ait la possibilité, pour ceux qui le souhaitent, de faire une expérience formative (un/deux mois), surtout pendant la période estivale ou pendant le temps libre des études, avec les malades du "quatrième étage" en accompagnant le travail des OSS (Opérateur Socio Sanitaire) et le service d’animation avec les personnes chargées d’organiser.

Merci et bon chemin vers le Chapitre.

Affectueusement,


Algunas consideraciones desde mi experiencia misionera

Agradezco a quien me ha instado a escribir algo personal con vistas al próximo XVIII Capítulo General que se celebrará en la RDC, en Bukavu, en julio 2023, y que tendrá como tema fundamental: Amar nuestra vocación misionera.

Antepongo que no soy una persona a la que le guste escribir, no soy “una pluma elegante” y no me gusta escribir, pero ya que se me ha pedido que lo haga para dar una pequeña reflexión personal sobre este importante acontecimiento que nos ve a todos unidos como familia misionera javeriana en el mundo, lo hago con mucho gusto. Al principio me pregunté por qué yo, viendo que hay tantos hermanos que conozco que tienen tantas brillantes ideas, con los pies en la tierra y sobre todo con mejores y mayores experiencias de vida y de misión que las mías... Sin embargo, pruebo igualmente a escribir algo...

Cada Capítulo debe enmarcarse siempre en su periodo o momento histórico. Para mí son páginas del Evangelio ante las que me inclino respetuosamente y pido perdón por la dificultad de aceptar las decisiones tomadas, a veces por mi distracción o descuido en volver a releer y reflexionar los contenidos propuestos para actuar lo mejor posible.

Los primeros ocho años de mi vida misionera los pasé en el trabajo misionero y vocacional en Taranto, y otros tantos en Bangladesh. Ahora hace más de 10 años que estoy en Italia entre una animación misionera muy breve en Macomer y una labor pastoral más prolongada de ministerio parroquial y animación juvenil a petición del obispo en Udine durante el periodo de asistencia a mi padre en su enfermedad. Ahora, desde hace algunos años, he estado ayudando a nuestros hermanos del IV piso en Parma. Puedo decir que estoy en general contento por todas estas experiencias o “gracias” de Dios, que he vivido y estoy viviendo en mi camino misionero.

Leyendo las ACTAS de la última COSUMA celebrada en Tavernerio, tomo nota de la preocupante situación, sobre todo en Italia, de la disminución de las vocaciones en las últimas décadas y el consiguiente aumento de la edad media de los hermanos que trabajan o residen en nuestras comunidades y, naturalmente, la ya imparable disminución numérica. Creo que es un tema que debemos seguir considerando para reflexionar concretamente sobre cómo ‘salvar’ a la Familia javeriana en Europa, descubriendo qué tipo de presencia estamos llamados a vivir allí donde las fuerzas físicas y mentales disminuyen.

Respecto a los tres pilares de nuestro carisma (ad gentes, ad extra y ad vitam), yo también los considero importantes e inseparables entre sí. Pero en “este cambio de época”, como le gusta decir al Papa Francisco, en el que la misión está cambiando su forma de ser, y mirando hacia el futuro, me pregunto si las tres palabras anteriores pueden realmente mantenerse juntas. Pienso, sin embargo, por experiencia, que la inclusión de las tres realidades mencionadas, tendrá profundidad y valor en la medida en que entren en una “red” de relaciones a 360 grados con toda realidad o contexto en el que estemos llamados a vivir, y donde para los problemas que se encuentran no hay “recetas” de soluciones preconfeccionadas, sino sólo ese esfuerzo y perseverancia de estar en “red” ya sea como individuos que como comunidad, para encontrar juntos las respuestas más adecuadas.

Otro aspecto sobre el que hay que reflexionar, y que veo en mi servicio actual (Parma, cuarto piso), es constatar a veces el sufrimiento en esos retornos forzados a Italia de tantos hermanos ancianos enfermos, ya no tratables (¿?), y para los que no se considera adecuada una presencia prolongada en la comunidad de “misión”. Es aquí donde me pregunto si, con estas decisiones, nuestra dimensión “ad extra” pueda realmente perder calidad como testimonio. Me pregunto qué familia “normal” tiene el valor de enviar a un ser querido a miles de kilómetros de sus afectos sólo porque su salud se vuelve ‘inmanejable’ (en la comunidad). Me pregunto: ¿no es realmente posible encontrar in loco una solución mejor para él y para todos? En el anterior Capítulo General, se insistió mucho en que nuestro carisma del primer anuncio a los no cristianos nos debe comprometer totalmente con nuestra vida y ad extra. ¡Cuán verdadero, profundo y necesario ha sido el testimonio de nuestros mártires para hacer crecer la lógica del Reino de Dios en tierras de misión! Cuánto deseo que el testimonio de nuestros hermanos “diversamente jóvenes”, con sus achaques, pueda seguir siendo una fuerza de testimonio en tierras de misión, si son recibidos con “amor” en sus propias comunidades, que se comprometen a ‘reorganizar’ su vida misionera, si es necesario. Creo que este es un tema que hay que afrontar o sobre el que hay que compartir respetuosamente, para encontrar las soluciones adecuadas como Familia misionera. ¿Cómo conseguir que se reconozca la justa dignidad, hasta el final, al hermano enfermo que desea acabar su vida en la misión?

Veo bien que se establezca una comisión o grupo que se ocupe de la salud de los hermanos para manejar bien esta vasta problemática.

Mirando hacia el futuro, creo que otro aspecto que puede considerar el Capítulo, es la formación de los jóvenes javerianos nacidos y crecidos en las distintas circunscripciones o Iglesias jóvenes. ¿Cómo se pueden implementar, en la medida de lo posible, las comunidades interculturales o internacionales en una fraternidad que testimonie el valor de la familia javeriana? Me gustaría hacer una propuesta si es posible: que durante los años de teología se dé la posibilidad, para aquellos que lo deseen, de realizar una experiencia formativa (uno/dos meses), sobre todo durante el periodo veraniego o en el tiempo libre de estudios, con los enfermos del “cuarto piso” apoyando el trabajo del OSS (Operador Socio Sanitario) y el servicio de animación con las personas encargadas de organizarlo.

Gracias y buen camino hacia el Capítulo, con afecto P. Daniele Targa.


AMAR A NOSSA VOCAÇÃO MISSIONÁRIA

Sou grato àqueles que me solicitaram para escrever algo pessoal em vista do próximo XVIII Capítulo Geral a ser realizado na RDC em Bukavu, em julho de 2023, que terá como tema fundamental: Amar a nossa vocação missionária.

Deixe-me prefaciar isto dizendo que não sou um que gosta de escrever, não sou uma "bela pluma" e não gosto de escrever, mas como me pediram para fazê-lo a fim de dar uma pequena reflexão pessoal sobre este importante evento que nos une como a família missionária Xaveriana no mundo, faço-o com prazer. No início me perguntei por que eu, vendo que há tantos irmãos que conheço que têm tantas boas idéias, com os pés no chão e sobretudo com experiências de vida e missão melhores e maiores do que as minhas... No entanto, ainda tento escrever algo…

Cada Capítulo deve ser sempre enquadrado em seu período ou momento histórico. Para mim, são páginas do Evangelho às quais eu respeitosamente me curvo e peço perdão pela dificuldade em aceitar as decisões tomadas, às vezes devido à minha distração ou descuido em voltar a reler e refletir sobre o conteúdo proposto, a fim de agir da melhor maneira possível.

Nos meus primeiros oito anos de vida missionária trabalhei com a animação missionária e vocacional em Taranto e depois mais oito anos em Bangladesh. Agora há mais de 10 anos estou na Itália entre um breve período de animação missionária em Macomer e um trabalho mais prolongado de pastoral paroquial e animação juvenil a pedido do bispo, em Udine, durante o período em que cuidava da saúde de meu pai. Agora, nos últimos anos, venho ajudando nossos irmãos do IV andar, em Parma. Posso dizer que sou totalmente feliz por todas essas experiências ou "graças" de Deus, que vivi e estou vivendo em minha jornada missionária.

Lendo as atas da última COSUMA, realizada em Tavernerio, tomo nota da situação preocupante, especialmente na Itália, do declínio das vocações nas últimas décadas e o conseqüente aumento da idade média dos irmãos que trabalham ou residem em nossas comunidades, e, claro, da imparável diminuição dos nossos números. Penso que este é um assunto que devemos levar em consideração para refletirmos concretamente sobre como "salvar" a família Xaveriana na Europa, descobrindo que tipo de presença somos chamados a viver quando as forças físicas e mentais estão diminuindo.

Os três pilares de nosso carisma (ad gentes, ad extra e ad vitam), também eu os considero importantes e inseparáveis uns dos outros. Mas nesta "mudança epocal" como o Papa Francisco gosta de dizer, onde a missão está mudando sua maneira de ser, e olhando para o futuro, eu me pergunto se as três palavras acima ainda podem realmente ficar juntas. Penso, entretanto, por experiência, que a inclusão das três realidades acima mencionadas, terá profundidade e valor na medida em que elas entram em uma "rede" de relações a 360 graus com cada realidade ou contexto em que somos chamados a viver, onde para os problemas que encontramos não existem soluções prontas, mas somente um esforço perseverante para estar e continuar nesta "rede" tanto como indivíduos quanto como comunidade, para encontrarmos juntos as respostas mais adequadas.

Outro aspecto a ser refletido, e que vejo em meu serviço atual (Parma, quarto andar), é às vezes notar o sofrimento naqueles retornos forçados à Itália de tantos irmãos idosos que estão doentes, já não facilmente maleáveis(?), e para os quais não é considerada apropriada uma presença prolongada na comunidade de "missão". É aqui que eu me pergunto se, com estas decisões, nossa dimensão "ad extra" não possa realmente perder qualidade como testemunho. Não imagino que uma família "normal" tenha a coragem de enviar um ente querido longe de seus afetos, a milhares de quilômetros de distância, só porque sua saúde se torna "ingerível" (na comunidade). Eu me pergunto: não é realmente possível encontrar uma solução melhor localmente para ele e para todos? No capítulo geral anterior, foi fortemente enfatizado que nosso carisma de primeiro anúncio aos não cristãos deve nos comprometer totalmente com nossas vidas e ad extra. Quão verdadeiro, profundo e necessário foi, e está sendo, o testemunho de nossos mártires para fazer crescer a lógica do Reino de Deus em terras de missão! Gostaria que o testemunho de nossos confrades "diferentemente jovens" com suas dores e limitações pudesse ser uma força de testemunho em terras de missão. Isto só é possível se forem recebidos com "amor" em suas próprias comunidades, que se comprometem, por esta razão, "a reorganizar" a vida missionária, se necessário. Penso que este é um tema que precisa ser melhor abordado ou compartilhado a fim de encontrar as soluções corretas como família missionária. Como podemos dar a dignidade certa ao irmão doente que deseja terminar sua vida na missão?

Seria uma boa ideia a criação de um comitê ou grupo para lidar com esta grande questão que é a saúde dos confrades.

Olhando para o futuro, outro aspecto, creio, a ser considerado para o capítulo é a formação de jovens Xaverianos nascidos e criados nas diversas circunscrições ou igrejas jovens. Como implementar o máximo possível comunidades interculturais ou internacionais em uma fraternidade que testemunha o valor da família Xaveriana? Gostaria de fazer uma proposta se for possível: durante os anos de teologia deveria haver a possibilidade, para quem desejar, de ter uma experiência formativa (um/dois meses), especialmente durante o período de verão ou em seu tempo livre dos estudos, com os doentes do "quarto andar" auxiliando trabalho dos OSS (Operadores Sócio-Sanitários) e o serviço de animação com as pessoas encarregadas de organizá-lo.

Obrigado e bom caminho rumo ao capitolo, com afeto P. Daniele Targa

Daniele Targa sx
13 October 2022
1289 Views
Available in
Tags

Link &
Download

Area reserved for the Xaverian Family.
Access here with your username and password to view and download the reserved files.