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Una voce profetica anche per le chiese dell'Africa

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Arcivescovo Mzee Christophe Munzihirwa

Il 29 ottobre 2023 è il 27° anniversario dell'omicidio dell'Arcivescovo di Bukavu, Mzee Christophe Munzihirwa. In questa occasione, ricordiamo la sua libertà e il suo coraggio nel confrontarsi con i potenti del suo tempo. "Mzee era un profeta", piace dire alle commemorazioni. Tuttavia, mi sembra che ci sia un altro aspetto di Mzee che non riceve abbastanza attenzione. È la figura del profeta che egli era e che è ancora per le chiese dell'Africa, di cui la chiesa della RDC è lo specchio.

Christophe Munzihirwa 02Durante la sua visita alla RDC, Papa Francesco, rivolgendosi ai vescovi cattolici, ha parlato di Munzihirwa come "un servo di Dio, un pastore coraggioso e una voce profetica, che ha custodito il suo popolo offrendo la sua vita".[1] Cerchiamo di capire in cosa consista questo "profetismo ad intra" che la memoria di Mzee richiede, prendendo ispirazione dai tre assi della missione profetica descritti da Léonard K. Santedi, ovvero: annunciare, denunciare e rinunciare. (cf. ID, "Interpellations et exigences. Témoignage d’un théologien africain", Spiritus, 185(12/2006), 587-598).

Un profeta per annunciare

Attraverso le sue parole e azioni, Munzihirwa incarnava le caratteristiche di un profeta. Nella Bibbia, i profeti assumono tre funzioni principali: annunciare, denunciare e rinunciare. Un profeta non è un agitatore politico, e ancor meno uno che predice catastrofi. Egli è lì per indicare ciò che va bene e ciò che fa desiderare di vivere. Un fedele servo di Dio e non un leader politico, la prima missione del profeta è annunciare la primazia dell'azione divina nella storia dell'umanità, anche quando quella storia sembra agitata e sotto il controllo dei potenti. Egli è un costante ricordo della presenza di un Dio che non abbandona mai il suo popolo. In questo modo, egli testimonia la speranza, sicuro che il male non ha l'ultima parola: il Figlio di Dio ha vinto la morte.

Munzihirwa incarna questa figura del profeta come annunciatore della vicinanza divina. Francesco illustra questo punto citando un estratto del suo messaggio inviato a tutti alla vigilia della sua morte: "In questi giorni, cosa possiamo ancora fare? Restiamo saldi nella nostra fede. Confidiamo che Dio non ci abbandonerà e che da qualche parte nascerà un piccolo raggio di speranza per noi. Dio non ci abbandonerà se ci impegniamo a rispettare la vita dei nostri vicini, indipendentemente dall'etnia a cui appartengono".

Come profeta che annuncia la buona notizia, Mzee si contrappone alla figura del pastore (vescovi e preti) che è ora di moda nel nostro paese. Uno che confonde la proclamazione della Parola di Dio per nutrire la speranza dei fedeli con l'agitazione politica. Come un membro del partito di opposizione, passa tutto il suo tempo a rimproverare le autorità politiche evidenziando ciò che non va nella società. Certamente, anche in uno stato come la RDC, nelle mani di banditi in cravatta che si sostituiscono e si susseguono senza ridurre la corruzione e l'ingiustizia, rimangono comunque alcune buone notizie. Vorremmo che coloro che affermano di discendere dalla linea dei profeti come Mzee identificassero alcune buone notizie e le comunicassero al popolo. Perché alla fine, è ciò che sostiene la speranza e fa desiderare di continuare a vivere.

Un profeta per denunciare

Munzihirwa non annunciava solo la vicinanza di Dio al suo popolo. Denunciava anche qualsiasi azione umana che offendesse la primazia di Dio. Come profeta fedele e coraggioso, la sua vita è stata tolta perché le sue parole interferivano con tutti coloro che volevano strutturare la società al di fuori della legge divina, cioè in disprezzo del rispetto assoluto della dignità di ogni vita umana e del piano divino di felicità per tutti. Durante la sua vita, non ha avuto paura di denunciare i mali che affliggevano il regime corrotto di Mobutu e i suoi dignitari. Subito dopo il genocidio dei Tutsi e degli Hutu moderati in Ruanda nel 1994, dovette affrontare la crisi dell'arrivo massiccio dei rifugiati Hutu ruandesi nell'est del Zaire. E anche di fronte a questo caos, Mzee ha mantenuto la sua posizione e ha parlato senza paura. Non ha esitato a denunciare il silenzio colpevole e complice della comunità internazionale. Come leader visionario, ha chiamato i potenti del mondo a intervenire per prevenire la tragedia umana che si profilava all'orizzonte. Purtroppo, la storia mostra che aveva ragione. E il peggio non poteva essere evitato, come attesta il Rapporto Mapping "riguardante le violazioni più gravi dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale commesse tra il marzo 1993 e il giugno 2003 nel territorio della Repubblica Democratica del Congo 2010" (cf. Rapporto Mapping, in www.genreenaction.net).

Mzee non taceva mai per paura. Assumendo il suo ruolo di profeta senza compiacenza, non era né un cortigiano né un adulatore dei politici e dei potenti. Come servo di Dio soltanto, si opponeva ai falsi profeti che trasformano il dono e la missione della profezia in una professione, un mezzo di sostentamento. Le sue parole disturbavano la Chiesa ad intra e il mondo ad extra. Non si può escludere che le sue parole e azioni non abbiano fatto piacere a certi membri

della gerarchia ecclesiastica. Come possiamo non vedere in Munzihirwa una figura di pastore che è l'antitesi dei pastori che sono alleati obiettivi degli uomini e delle donne al potere nei nostri paesi in cambio di regali in contanti e altri benefici come la costruzione e la riparazione di edifici religiosi, il patrocinio di celebrazioni diocesane e parrocchiali, pellegrinaggi, ecc. E tutto ciò con fondi spesso derivati dalla corruzione o sottratti alle casse dello stato.

Il domenicano camerunese Eloi Messi Metogo ha spesso avvertito del motivo per cui la voce pubblica della Chiesa in Africa rimane inudibile. Secondo lui: "Molti vescovi e preti hanno un rapporto ambiguo con i leader politici e i direttori di aziende: anziché evangelizzarli, chiedono loro soldi". E si chiedeva: "In queste questioni, quali effetti possono avere le lettere pastorali più vigorose contro la dittatura e la corruzione?" (ID, "Aparecida 2007, un point de vue africain", Spiritus, 193(12/2008), p. 474). Parole molto rilevanti e attuali! In Camerun dicono: "La bocca che mangia non parla". E aggiungono: "La bocca che parla potrebbe parlare per fame"! "Moni swit" - il denaro è dolce - dicono i Krio della Sierra Leone. Questo per dire che, di fronte all'attrattiva del guadagno, l'ascesi richiesta dalla missione profetica non è alla portata di tutti. I Munzihirwa non si trovano in ogni angolo della strada. Sono una razza rara.

Un profeta per rinunciare

Per essere credibile, un profeta deve essere coerente. Prima di essere un bravo oratore, egli è un testimone. La Parola di Dio che egli proclama agli altri, cerca di incarnarla nella sua vita. Ciò che egli deplora negli altri come contrario alla Parola di Dio e alla sua legge, cerca di non caderci. Il profeta di Dio deve rinunciare a tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio e alle esigenze del suo Regno. Mzee è riconosciuto per questo senso di disinteresse e la sua capacità di vivere solo per Dio e per gli altri. Senza questo disinteresse, sarebbe difficile comprendere il suo coraggio al punto da giungere al martirio.

Nel breve periodo in cui Munzihirwa è rimasto Arcivescovo di Bukavu, flagello del tribalismo aveva appena rivelato il suo volto brutale in Burundi e nei vicini Ruanda. Lo Zaire di Mobutu aveva perso ogni orientamento etico e gli abusi di potere imperversavano. Il disordine era al suo apice. L'era era quella del sauve -qui - peut. Eppure l'arcivescovo non ha abbandonato il suo ruolo di pastore né si è piegato a valori contrari, diffusi all'epoca. Anzi, non ha approfittato del suo ruolo di arcivescovo. Oggi, non è riconosciuto come persona che possedeva beni materiali o patrimoni personali.

A mio parere, se c'è una virtù che milita a favore della canonizzazione di Mzee, è il suo disinteresse. E le nostre chiese hanno un grande bisogno di questo spirito. Munzihirwa era un uomo povero, nel senso evangelico del termine e in senso concreto. Non era uno di quei poveri per voti religiosi il cui lusso non manca di nulla (San Guido M. Conforti). Mi sembra che uno dei principali fattori che minano il profetismo nelle nostre chiese africane sia l'attaccamento ai beni materiali; il denaro per essere precisi. Ed è un'illusione pensare che questa sete di possedimenti sia esorcizzata dall'ordinazione sacerdotale o episcopale. Il contrario potrebbe essere addirittura vero. Il clericalismo tanto denunciato oggi da Papa Francesco non è solo un abuso di potere. È anche uno stile di vita lussuoso alimentato da una ricerca esagerata di privilegi materiali. Sarebbe una bugia immaginare che in Africa coloro conosciuti come "profeti di Dio" siano immuni da questo virus. Per esperienza, so com'è fatta quella tentazione.

Durante la sua visita alla RDC, Papa Francesco ha parlato ai sacerdoti, diaconi, seminaristi e religiosi uomini e donne della tentazione del comfort mondano che porta le persone a servirsi anziché servire gli altri. "È triste", ha detto, "molto triste chiudersi in se stessi e diventare burocrati freddi della mente. Così, anziché servire il Vangelo, ci preoccupiamo di gestire le finanze e di svolgere qualche attività che ci favorisca". E ai suoi fratelli vescovi ha esortato: "No, per favore, lasciamo fuori dal vigneto del Signore il business! Un pastore non può essere un uomo d'affari, non può! Siamo pastori e servitori del popolo di Dio, non amministratori di beni, non uomini d'affari, pastori!"

E poi Francesco ha presentato loro la bella figura dell'arcivescovo di Bukavu, come esempio da imitare: "Di fronte al popolo sofferente e all'ingiustizia, il Vangelo esige che alziamo la voce. Quando alziamo la voce secondo Dio, ci esponiamo al rischio. Questo è ciò che ha fatto uno dei vostri fratelli, il servo di Dio Monsignor Christophe Munzihirwa, un pastore coraggioso e una voce profetica, che ha custodito il suo popolo offrendo la sua vita".

Anche se Mzee è stato assassinato a causa del suo coraggio nel parlare, la natura esemplare della sua vita va oltre questo aspetto della profezia. Tocca molti aspetti della sua vita, dall'esercizio del potere come servizio e donazione di sé, al rifiuto di approfittare della sua posizione per arricchirsi e così via!

Un uomo di Dio che ha lavorato per l'avvento di un mondo giusto, riconciliato e pacifico. Eppure le disuguaglianze sono ancora visibili e il business bellico continua a guadagnare molto a spese delle vite umane. Un profeta assassinato. È così che Mzee sarà commemorato nelle nostre chiese. Forse pregheremo anche per la conversione dei suoi esecutori, che non sono ancora stati trovati. Mzee ha combattuto la buona battaglia fino alla fine (1 Timoteo 6:12). La sua spiritualità è ora accessibile a noi grazie al suo confratello Rigobert Kyungu SJ, che ha scritto una tesi di dottorato su di lui, difesa presso l'Università Gregoriana di Roma e intitolata: "Libertà interiore come frutto del discernimento spirituale. Un tentativo di ritratto spirituale del Servo di Dio Monsignor Christophe Munzihirwa, SJ, Arcivescovo di Bukavu (1926-1996)". Questa è una fonte spirituale da cui possiamo imparare a seguire Cristo e servire il popolo che ha redento con il suo sangue. Attendiamo il giorno in cui Dio farà giustizia a Munzihirwa e lo offrirà ufficialmente ai cristiani africani come modello di santità e intercessore affidabile. Continuiamo a chiedere con fede e desiderio che il suo profetismo possa brillare ancora di più. Possano altri pastori seguire il suo esempio. Perché prima di essere un profeta per il mondo, era un profeta per la Chiesa in Africa, i cui pastori sono le guide.

[1] I discorsi del Papa si trovano qui:  VIAGGIO APOSTOLICO DEL PAPA FRANCESCO nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e nel SUD SUDAN (Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan)

Une voix prophétique aussi pour les églises d’Afrique

Mgr Mzee Christophe Munzihirwa

Le 29 Octobre 2023 est le 27e anniversaire de l’assassinat de l’archevêque de Bukavu, Mzee Christophe Munzihirwa. A une telle occasion, on se souvient volontiers de sa liberté et de son courage pour affronter les puissants de son époque. « Mzee fut un prophète », aime-t-on à rappeler lors des activités commémoratives. Pourtant, il me semble qu’il existe l’autre face de Mzee qui n’est pas trop mise en évidence. C’est celle de la figure du prophète qu’il a été et qu’il est encore « aussi pour » les églises d’Afrique et dont celle de la RDC est le miroir.

Christophe Munzihirwa 02En effet, lors de sa visite en RDC, le pape François, s’adressant à l’épiscopat catholique avait parlé de Munzihirwa comme « d’un serviteur de Dieu, un pasteur courageux et une voix prophétique, qui a gardé son peuple en offrant sa vie »[1]. Essayons de voir en quoi consiste ce « prophétisme ad intra » que commande la mémoire de Mzee en s’inspirant de trois axes de la mission prophétique que désigne l’abbé Léonard Santedi, à savoir : annoncer, dénoncer et renoncer. (cf. ID., « Interpellations et exigences. Témoignage d’un théologien africain », Spiritus, 185(12/2006), 587-598).

Prophète pour annoncer

Par ses paroles et ses actes, Munzihirwa a incarné les traits caractéristiques d’un prophète. Dans la Bible, celui-ci assume principalement trois fonctions : annoncer, dénoncer et renoncer. Le prophète n’est pas un agitateur politique et encore moins un qui prédit des catastrophes. Il est là pour indiquer ce qui va et qui donne envie de vivre. Serviteur fidèle de Dieu et non un leader politique, le prophète a d’abord comme mission d’annoncer le primat de l’action divine dans l’histoire des hommes ; même quand cette histoire semble agitée et sous contrôle de puissants. Il rappelle sans cesse la présence d’un Dieu qui n’abandonne jamais son peuple. Ainsi faisant, il est le témoin de l’espérance, car rassuré que le mal n’a pas le dernier mot : le fils de Dieu a vaincu la mort.

Munzihirwa incarne bien cette figure du prophète comme annonciateur de la proximité divine. François illustre ce trait en citant un extrait de son message envoyé à tous à la veille de sa mort  en disant : « En ces jours, que pouvons-nous encore faire ? Restons fermes dans la foi. Ayons confiance que Dieu ne nous abandonnera pas et que, de quelque part, une petite lueur d`espérance naîtra pour nous. Dieu ne nous abandonnera pas si nous nous engageons à respecter la vie de nos voisins, quel que soit le groupe ethnique auquel ils appartiennent ».

Prophète qui annonce la bonne nouvelle, Mzee contraste avec une certaine figure du pasteur (évêques et prêtres) désormais à la mode chez nous. Cellle qui confond l’annonce de la parole de Dieu pour nourrir l’espérance des fidèles avec l’agitation politique. Type membre de l’opposition, elle transforme l'homélie en une tribune pour récriminer contre les autorités politiques en insistant sur ce qui ne va pas dans le pays. Certainement, même dans un Etat comme la RDC, aux mains de bandits en cravate qui se remplacent et se succèdent sans que la corruption, les injustices et les antivaleurs ne baissent, les bonnes nouvelles ne manquent. On aimerait que ceux qui se réclament de la lignée de prophètes comme Mzee en repérer les traces et les communiquer au peuple. Car au final, c’est cela qui soutient l’espérance et aide à porter le poids du quotidien.

Prophète pour dénoncer

Munzihirwa n’a pas seulement annoncé la proximité de Dieu auprès de son peuple. Il a aussi dénoncé toute action humaine qui offusque le primat de Dieu. Prophète fidèle et courageux, la vie lui a été arrachée car sa parole gênait tous ceux qui voulaient structurer la société en dehors de la loi divine. C’est-à-dire au mépris du respect absolu de la dignité de toute vie humaine et du dessein divin du bonheur pour tous. En effet, de son vivant, il n’avait pas peur de dénoncer les maux qui gangrenaient le régime corrompu de Mobutu et ses dignitaires. Juste après le génocide de Tutsi et de Hutu modérés au Rwanda en 1994, il eut à faire face à la crise de l’arrivée massive de réfugiés Hutu rwandais à l’Est du Zaïre. Et même face à ce chaos, Mzee se tint débout et fit entendre sa parole sans peur. Il n’hésita pas à fustiger le silence coupable et complice de la communauté internationale. En leader visionnaire, il sollicita l’intervention de puissants de ce monde pour éviter un drame humain qui se profilait à l’horizon. Malheureusement l’histoire lui a donné. Et le pire n’a pas pu être évité comme en témoigne le Rapport Mapping « concernant les violations les plus graves des droits de l’homme et du droit international humanitaire commises entre mars 1993 et juin 2003 sur le territoire de la République démocratique du Congo 2010 » (cf. Rapport Mapping, in www.genreenaction.net).

Mzee n’avait pas de langue de bois. Assumant sans complaisance son rôle de prophète, il n’était pas un courtisant ni un flatteur de l’homme politique et du puissant. Serviteur de Dieu seul, il était contre les faux prophètes qui font du don et de la mission prophétique un métier, un gagne-pain. Sa parole dérangeait l'Eglise ad intra et le monde ad extra. Il n’est pas exclu que sa parole ait troublé certains membres de la hiérarchie ecclésiale. Comment ne pas voir dans Munzihirwa une figure de pasteur aux antipodes avec certains pasteurs alliés objectifs des hommes et femmes aux affaires dans nos Etats moyennant de cadeaux en espèce, en nature et d’autres avantages comme la construction et la réfection des édifices religieux, la sponsorisation des fêtes diocésaines, paroissiales, des pèlerinages…Et tout cela avec de fonds souvent issus de la corruption ou détournés de caisses de l’Etat. Bref des dons payés par l'argent sale.

Le dominicain camerounais Eloi Messi Metogo a souvent alerté sur la raison pour laquelle la parole publique des hommes d’Eglise en Afrique reste inaudible. Selon lui : « Bien des évêques et des prêtres entretiennent de rapports ambigus avec les dirigeants politiques et les chefs d’entreprises : au lieu de les évangéliser, ils leur demandent de l’argent ».  Et il se demandait : « dans ces questions, quel effet les lettres pastorales les plus vigoureuses peuvent-elles avoir contre la dictature et la corruption ? » (ID., « Aparecida 2007, un point de vue africain », Spiritus, 193(12/2008), p. 474). Paroles très actuelles. On dit au Cameroun : la bouche qui mange ne parle pas. Et on se presse à ajouter : celle qui parle, parle peut-être car elle a faim ! « « Moni swit » - l’argent est sucré- disent les Krio de la Sierra Leone. C’est pour dire que face à l’appât du gain, l’ascétisme que commande la mission prophétique n’est pas donné à tous. On ne trouve pas les Munzihirwa à chaque coin de la route. Ils sont une race rare.

Prophète pour renoncer

Le prophète pour être crédible doit être cohérent. Avant d’être un bon parleur, il est un témoin. La parole de Dieu qu’il annonce aux autres, il essaie de l’incarner dans sa vie. Ce qu’il déplore chez les autres, il se garde d’y tomber. Le prophète de Dieu renonce à tout ce qui est contraire à la volonté de Dieu et aux exigences de son Royaume. On reconnait à Mzee ce sens du renoncement et son aptitude à vivre pour Dieu seul et pour les autres. Sans ce renoncement, il serait difficile de comprendre son courage jusqu’au martyre.

Le peu de temps que Munzihirwa est resté comme archevêque de Bukavu, le fléau du tribalisme venait de révéler sa face laide au Burundi et au Rwanda voisin. Le Zaïre de Mobutu avait perdu tout repère éthique et l’abus du pouvoir faisait rage. Le désordre était à son comble. L’ère était à la sauve -qui - peut. Et pourtant l’archevêque ne déserta pas de son rôle de pasteur et ne céda à aucune anti-valeur ; pourtant monnaie courante à ce temps. Mieux encore, il ne tira pas profit de son rôle d’archevêque. On ne lui reconnait aujourd’hui aucun bien personnel matériel ou immobilier.

A mon avis, s’il y a une vertu qui milite davantage en faveur de la canonisation de Mzee, c’est son sens du renoncement. Et ce sens, nos églises en a grandement besoin. Munzihirwa était un homme pauvre, au sens évangélique du terme et de façon concrète. Il n’était pas de ces pauvres par vœux religieux mais dont l’opulence ne manque de rien (Saint Guido M. Conforti). Or, il me semble qu’un de facteurs majeurs qui mine le prophétisme de nos églises d’Afrique est l’attachement aux biens matériels ; l’argent pour être précis. Et il est illusoire de faire croire que cette soif de posséder est exorcisée par l’ordination presbytérale ou épiscopale. Il y a même à penser l’inverse. Le cléricalisme tant dénoncé par le pape François de nos jours n’est pas qu’un abus du pouvoir. Il est aussi un train de vie luxueux qui se nourrit par une recherche exagérée des privilèges matériels. Il serait mensonger d’imaginer qu’en Afrique ceux qui sont connus comme de « prophètes de Dieu » sont immunisés contre un tel virus. Par expérience personnelle, je sais combien il est difficile de résister à cette tentation.

Pendant sa visite en RDC, en s’adressant aux prêtres, aux diacres, aux séminaristes, aux religieux et aux religieuses le pape François avait évoqué la tentation du confort mondain qui pousse à se servir et non à servir. Il est triste, disait-il « très triste de se replier sur soi-même en devenant de froids bureaucrates de l’esprit. Alors, au lieu de servir l’Évangile, nous nous soucions de gérer les finances et de mener à bien quelque affaire avantageuse pour nous ». Et à ses frères évêques il exhortait avec insistance : « Non, le commerce, s'il vous plaît, laissons-le en dehors de la vigne du Seigneur ! Un pasteur ne peut pas être un homme d'affaires, il ne peut pas ! Nous sommes pasteurs et serviteurs du peuple de Dieu, pas des administrateurs de biens, pas des hommes d'affaires, des pasteurs ! ».

Et après, François leur présentait la belle figure de l’archevêque de Bukavu, comme un exemple à imiter : « Face au peuple qui souffre et face à l'injustice, l'Évangile exige que nous élevions la voix. Quand nous élevons notre voix selon Dieu, nous risquons. C'est ce qu'a fait l’un de vos frères, le serviteur de Dieu Mgr Christophe Munzihirwa, un pasteur courageux et une voix prophétique, qui a gardé son peuple en offrant sa vie ». Si Mzee a été assassiné à cause de son courage de dénoncer, l’exemplarité de sa vie va au-delà de cette facette du prophétisme. Elle touche à plusieurs aspects de sa vie allant de l’exercice du pouvoir comme service et don de soi, au refus de se servir de sa fonction pour s’enrichir et autres !

Un homme de Dieu qui a œuvré pour l’avènement d’un monde juste, reconcilié et pacifié. Et pourtant les inégalités sont encore visibles et le business de la guerre continue à remporter gros au prix de vies humaines. Un prophète assassiné. C’est ainsi que sera commémoré Mzee dans nos églises. Également, on priera peut-être pour la conversion de ses bourreaux qui courent toujours. Mzee a mené le bon combat jusqu’au bout (1Tm 6, 12). Sa spiritualité nous est aujourd’hui accessible grâce à son confrère Rigobert Kyungu qui lui a consacré une thèse doctorale, défendue à l’Université Grégorienne à Rome ayant comme titre : « La liberté intérieure comme fruit du discernement spirituel. Tentative d’un portrait spirituel du Serviteur de Dieu Monseigneur Christophe Munzihirwa, SJ, Archevêque de Bukavu (1926-1996) ». Il y a là une source spirituelle où puiser pour apprendre à marcher à la suite du Christ et au service du peuple qu’il a racheté par son sang. Nous attendons le jour où Dieu rendra justice à Munzihirwa et l’offrira officiellement aux chrétiens africains comme un modèle de sainteté et un intercesseur fiable. Nous continuons à demander avec foi et empressement que son prophétisme brille encore plus. Que d’autres pasteurs suivent son exemple. Car avant d’être un prophète pour le monde, il l’a été pour les églises d’Afrique dont les pasteurs sont des guides.  

[1] Les discours du pape sont à trouver ici : « VOYAGE APOSTOLIQUE DU PAPE FRANÇOIS en RÉPUBLIQUE DÉMOCRATIQUE DU CONGO et au SOUDAN DU SUD (Pèlerinage Œcuménique de Paix au Soudan du Sud) »


A prophetic voice also for the churches of Africa

Archbishop Mzee Christophe Munzihirwa

29 October 2023 is the 29th anniversary of the murder of the Archbishop of Bukavu, Mzee Christophe Munzihirwa. On such an occasion, we remember his freedom and his courage in confronting the powerful of his time. "Mzee was a prophet", people like to say at commemorative events. Yet it seems to me that there is another Mzee’s side that is not given too much prominence. It is the prophet figure that he was and still is also for the churches of Africa, and of which the DRC’s church is the mirror.

Indeed, during his visit to the DRC, Pope Francis, addressing the Catholic bishops, spoke of Munzihirwa as "a servant of God, a courageous pastor and a prophetic voice, who guarded his people by offering his life"[1]. Let us try to see what this "prophetism ad intra" that the memory of Mzee demands consists of by drawing inspiration from the three axes of the prophetic mission described by Léonard K. Santedi, namely: announcing, denouncing and renouncing. (cf. ID, « Interpellations et exigences. Témoignage d’un théologien africain », Spiritus, 185(12/2006), 587-598).

A prophet to announce

Through his words and deeds, Munzihirwa embodied the characteristics of a prophet. In the Bible, prophets assume three main functions: to proclaim, to denounce and to renounce. A prophet is not a political agitator, and even less one who predicts catastrophes. He is there to indicate what is going well and what makes people want to live. A faithful servant of God and not a political leader, the prophet's first mission is to proclaim the primacy of divine action in the history of mankind, even when that history seems agitated and under the control of the powerful. He is a constant reminder of the presence of a God who never abandons his people. In so doing, he bears witness to hope, reassured that evil does not have the last word: the Son of God has conquered death.

Munzihirwa embodies this figure of the prophet as herald of divine nearness. Francis illustrates this point by quoting an extract from his message sent to everyone on the eve of his death: "In these days, what can we still do? Let us remain firm in our faith. Let us trust that God will not abandon us and that, from somewhere, a small ray of hope will be born for us. God will not abandon us if we commit ourselves to respecting the lives of our neighbours, whatever ethnic group they belong to”.

As a prophet announcing the good news, Mzee contrasts with the figure of the pastor (bishops and priests) that is now fashionable in our country. One who confuses the proclamation of the word of God to nourish the hope of the faithful with political agitation. Like a member of the opposition party, he spends all his time recriminating against the political authorities by pointing out what is wrong in the society. Certainly, even in a state like the DRC, in the hands of bandits in ties who replace and succeed one another without reducing corruption and injustice, still there some good news remains. We would like those who claim to come from the line of prophets like Mzee to identify some goodies and communicate them to the people. Because at the end, that is what sustains hope and makes people want to go on living.

A prophet to denounce

Munzihirwa did not only announce God's closeness to his people. He also denounced any human action that offended the primacy of God. As a faithful and courageous prophet, his life was taken away because his words interfered with all those who wanted to structure society outside divine law; meaning, in defiance of absolute respect for the dignity of all human life and the divine plan of happiness for all. Indeed, during his lifetime, he was not afraid to denounce the evils that plagued the corrupt regime of Mobutu and his dignitaries. Just after the genocide of Tutsis and moderate Hutus in Rwanda in 1994, he had to deal with the crisis of the massive arrival of Rwandan Hutu refugees in eastern Zaire. And even in the face of this chaos, Mzee stood his ground and spoke out without fear. He did not hesitate to denounce the guilty and complicit silence of the international community. As a visionary leader, he called on the powerful people of the world to intervene in order to prevent the human tragedy that was looming on the horizon. Unfortunately, history shows that he was right. And the worst could not be avoided, as the Mapping Report "concerning the most serious violations of human rights and international humanitarian law committed between March 1993 and June 2003 on the territory of the Democratic Republic of Congo 2010" testifies (cf. Mapping Report, in www.genreenaction.net).

Mzee never kept quiet because of fear. Assuming his role as prophet without complacency, he was neither a courtier nor a flatterer of politicians and the powerful. As the servant of God alone, he was opposed to false prophets who turn the gift and mission of prophecy into a profession, a livelihood. His words disturbed the Church ad intra and the world ad extra. It cannot be ruled out that his words and actions did not please certain members of the ecclesiastical hierarchy. How can we fail to see in Munzihirwa a figure of a pastor who is the antithesis of the pastors who are objective allies of the men and women in power in our countries in return for gifts in cash and other benefits such as the construction and repair of religious buildings, sponsorship of diocesan and parish celebrations, pilgrimages, etc. And all this with funds often derived from corruption or embezzled from state coffers.

The Cameroonian Dominican Eloi Messi Metogo has often warned why the public voice of the Church in Africa remains inaudible. According to him: "Many bishops and priests have an ambiguous relationship with political leaders and company directors: instead of evangelising them, they ask them for money".  And he asked himself: "In these matters, what effect can the most vigorous pastoral letters have against dictatorship and corruption?" (ID, "Aparecida 2007, un point de vue africain", Spiritus, 193(12/2008), p. 474). Very relevant and updated words! In Cameroon they say: “the mouth that eats does not speak”. And they hasten to add: “the mouth that speaks may be speaking because of hunger”! "Moni swit" - money is sweet - say the Krio of Sierra Leone. This is to say that, faced with the lure of gain, the asceticism demanded by the prophetic mission is not available to everyone. The Munzihirwa are not to be found at every corner of the road. They are a rare race.

A prophet to renounce

To be credible, a prophet must be consistent. Before being a good speaker, he is a witness. The word of God that he proclaims to others, he tries to incarnate it in his life. What he deplores in others as being against the word of God and his law, he takes care not to fall into it. The prophet of God must renounce everything that is contrary to the will of God and the demands of his Kingdom. Mzee is recognised for this sense of selflessness and his ability to live for God alone and for others. Without this selflessness, it would be difficult to understand his courage to the point of martyrdom.

In the short time that Munzihirwa remained as Archbishop of Bukavu, the scourge of tribalism had just revealed its ugly face in Burundi and neighbouring Rwanda. Mobutu's Zaire had lost all ethical bearings and the abuse of power was raging. Disorder was at its height. The era was one of sauve -qui - peut. And yet the archbishop did not abandon his role as pastor or give in to any anti-values, which were spread at the time. Better still, he did not take advantage of his role as archbishop. Today, he is not recognised as having any personal material or property assets.

In my opinion, if there is one virtue that militates more in favour of Mzee's canonisation, it is his selflessness. And our churches are in great need of this spirit. Munzihirwa was a poor man, in the evangelical sense of the word and in a concrete way. He was not one of those poor by religious vows whose opulence lacks nothing (Saint Guido M. Conforti). It seems to me that one of the major factors undermining prophetism in our African churches is the attachment to material goods; money to be precise. And it is an illusion to believe that this thirst for possessions is exorcised by priestly or episcopal ordination. The opposite may be even true. The clericalism so denounced by Pope Francis today is not just an abuse of power. It is also a luxurious lifestyle that is fed by an exaggerated pursuit of material privileges. It would be a lie to imagine that in Africa those known as "prophets of God" are immune to such a virus. By experience, I know how does that temptation look like.

During his visit to the DRC, Pope Francis spoke to priests, deacons, seminarians and men and women religious about the temptation of worldly comfort that leads people to serve themselves instead of serving others. It is sad," he said, "very sad to turn in on ourselves and become cold bureaucrats of the mind. So, instead of serving the Gospel, we worry about managing finances and carrying out some business that benefits us". And to his brother bishops he urged: "No, business, please, let's leave it out of the Lord's vineyard! A pastor cannot be a businessman, he cannot! We are pastors and servants of the people of God, not administrators of goods, not businessmen, pastors!

And then Francis presented them the beautiful figure of the archbishop of Bukavu, as an example to be imitated: "In the face of suffering people and injustice, the Gospel demands that we raise our voices. When we raise our voice according to God, we risk it. This is what one of your brothers did, the servant of God Mgr Christophe Munzihirwa, a courageous pastor and a prophetic voice, who guarded his people by offering his life".

Although Mzee was assassinated because of his courage to speak out, the exemplary nature of his life goes beyond this aspect of prophecy. It touches on many aspects of his life, from the exercise of power as service and self-giving, to refusing to take advantage of his position to enrich himself and so on!

A man of God who worked for the advent of a just, reconciled and peaceful world. And yet inequalities are still visible and the war business continues to win big at the cost of human lives. A prophet murdered. This is how Mzee will be commemorated in our churches. Perhaps we will also pray for the conversion of his executioners, who are still not found. Mzee fought the good fight to the end (1 Tim 6:12). His spirituality is now accessible to us thanks to his confrere Rigobert Kyungu SJ, who wrote a doctoral thesis on him, defended at the Gregorian University in Rome and entitled: " Inner freedom as the fruit of spiritual discernment. An attempt of a spiritual portrait of the Servant of God Monsignor Christophe Munzihirwa, SJ, Archbishop of Bukavu (1926-1996)”. This is a spiritual source from which we can learn to follow Christ and serve the people he redeemed with his blood. We await the day when God will do justice to Munzihirwa and officially offer him to African Christians as a model of holiness and a reliable intercessor. We continue to ask with faith and eagerness for his prophetism to shine even brighter. May other pastors follow his example. Because before being a prophet for the world, he was a prophet for the Church in Africa, whose pastors are the guides.

 

[1] All the speeches of Pope Francis during his journey to DRC are to be found here: https://www.vatican.va/content/francesco/fr/speeches/2023/february/documents/20230203-vescovi-repdem-congo.html.

Louis Birabaluge sx
02 November 2023
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