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Lettere dal carcere - Giappone

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Lettera di un detenuto ricevuta e tradotta dal missionario Saveriano p. Piergiorgio Moioli, ex cappellano del carcere di Kumamoto, in Giappone.

Dal carcere Torokko della città di Kumamoto

Carissimo Padre,

ci stiamo avvicinando all’estate. Va tutto bene da Lei? Ci sono novità? La Sua salute è buona?

Ho ricevuto con grandissimo piacere, e con profonda gratitudine, la Sua lettera (scritta in risposta alla mia) con insieme inserita nella busta l’immaginetta della Madonna. 

Da quanto tempo è arrivato alla Casa Regionale di Izumisano? L’ultima volta che mi trovavo lì era verso il 1983. L’aereoporto internazionale Kansai non era ancora stato costruito, e tutt’intorno non era vi era che campagna con lunghe distese di coltivazioni di cipolle. Al tempo abitavo in una vecchia casa ad un piano che era circondata da fabbriche di asciugamani, e anche ora quasi mi par di sentire il rumore incessante e monotono dei telai.

Dal porticciolo dei pescatori il vento portava il profumo del mare, e l’odore del pesce. Ricordo con nostalgia il sibilo del treno che passava in lontananza, e il calore della città. Vicino alla stazione di Izumisano, non troppo distante dal mare, abitava la mia nonna materna. Il villaggio si chiamava Nishimoto. Ricordo ancora che per noi ragazzi, durante le vacanze estive, la spiaggia diventava il nostro ambiente di avventure.

So che la Casa Regionale dei missionari Saveriani è collocata appena dietro il Comune di Izumisano, dalla parte delle colline dove c’è il parco di Danbara con annesso il cimitero, lo stesso dove ora riposa mia nonna.

Penso di averglielo già detto, ma mia mamma è morta sette anni or sono. È accaduto proprio nel periodo in cui è capitata la mia disgrazia, e da allora non sono più tornato alla casa natale. Non ho più ricevuto notizie dai miei, e non so se lì stiano tutti bene, o come stiano conducendo la loro vita. 

Non credo che i miei familiari e mio figlio si interessino più a me, così come del resto anch’io non mi sono interessato più di tanto a loro. Il figlio della sorella maggiore di mia mamma, quando è nato, ha sofferto di un qualche tipo di disabilità mentale, e se fosse ancora vivo ritengo che ora vivrebbe da qualche parte in solitudine.

Ciò che mi da’ la forza di vivere è il desiderio di pentirmi di ciò che ho fatto, di riscoprire il calore del cuore dell’uomo che io sono, di cercare di scovare senza esitazione ciò che è bene e cercare di viverlo in profondità.

Padre, la pianticella di bontà che Lei ha seminato dentro di me non voglio farla seccare, e per questo voglio unirmi a Lei nella preghiera.

Le ho poi messo nella busta cinque francobolli. Spero li possa utilizzare per scrivermi ancora. 

Ossequi.

K.K. 66 anni. Dovrà scontare carcere a vita.

Testo pubblicato in Quaderni del CSA, 4/2020. Clicca qui per scaricarlo

K.K. Prigioniero in Giappone
12 February 2021
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