L'11 maggio 2022, il cardinale Joseph Zen, 90 anni, è stato arrestato dalla polizia di Hong Kong con l’accusa di «collusione con forze straniere», una delle quattro tipologie di reati contemplate dalla contestatissima legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino. È stato rilasciato su cauzione, dopo alcune ore. La notizia del suo arresto ha destato forti timori in Vaticano dove il portavoce, Matteo Bruni, nel pomeriggio, prima che il cardinale e gli altri arrestati con lui fossero rilasciati, aveva distribuito una dichiarazione scritta nella quale esprimeva la «preoccupazione della Santa Sede».
La vicenda che ha coinvolto il cardinale Joseph Zen, salesiano novantenne, per sette anni dal 2002 al 2009 arcivescovo di Hong Kong, per un momento ha portato indietro la storia agli anni della Guerra fredda e alle persecuzioni contro i più alti rappresentanti della Chiesa cattolica nei Paesi satelliti di Mosca e nella grande nazione asiatica, sotto regime comunista.
Zen da tempo è nel mirino dell’autorità cinesi. A gennaio una campagna di stampa lo ha accusato di aver organizzato in prima persona le proteste dei giovani di Hong Kong del 2019. Ha sempre difeso la libertà religiosa, condannando la rimozione delle croci sulle chiese in Cina e si è schierato dalla parte di chi chiede più democrazia, partecipando alle udienze nei tribunali che hanno visto imputati politici e manifestanti accusati di attentare alle istituzioni e celebrando messe in suffragio dei martiri di Tienanmen. Ma mai si era arrivati ad un provvedimento di restrizione della sua libertà.
La speciale sezione della polizia di Hong Kong, incaricata di vigilare sulla sicurezza cinese, ha fermato il cardinale e altre persone con l’accusa di aver amministrato il fondo di una organizzazione, istituita nel 2019 e sciolta lo scorso ottobre, che sosteneva i manifestanti delle proteste a favore della democrazia nell’estate del 2019 nel pagamento delle spese legali e sanitarie dopo le violente repressioni della polizia cinese.
Zen è anche il più grande “nemico” dell’accordo tra Vaticano e Cina, siglato nel 2018, e più volte ha criticato la politica di apertura alla Cina del Pontificato di Bergoglio (http://www.settimananews.it/chiesa/vaticano-cartellino-rosso-card-zen/). Le posizioni critiche di Zen si erano fatte più sfumate ultimamente, ma la vicenda di ieri complica la situazione.
Francesco Sisci, accademico italiano in Cina e grande sostenitore sulla stampa cattolica main stream degli accordi siglati tra la Santa Sede e la Cina, in un commento pubblicato su Settimana News, sostiene che «in questo momento forse non era la cosa più giusta arrestare un anziano di 90 anni che per quanto sia non può essere troppo pericoloso, ma che pericoloso lo diventa solo dopo questo arresto». Sisci sottolinea che « … adesso questo complica tutto per la Santa Sede e crea un problema nuovo, su una cosa che sembrava invece risolta. … Pechino sembra in gravi difficoltà nell’affrontare insieme la crisi russa e quella del Covid e come spesso accade in tali situazioni fa più errori del dovuto».
La diocesi di Hong Kong ha diffuso questo comunicato in cui esprime preoccupazione e chiede che il vescovo emerito novantenne sia trattato secondo giustizia.
"La diocesi cattolica di Hong Kong - recita la nota - è estremamente preoccupata per le condizioni e la sicurezza del cardinale Joseph Zen e offre le sue preghiere speciali per lui. Abbiamo sempre sostenuto lo stato di diritto. Confidiamo che in futuro continueremo a godere della libertà religiosa a Hong Kong in base alla Legge fondamentale. Esortiamo la polizia di Hong Kong e le autorità giudiziarie a trattare il caso del cardinale Zen in conformità con la giustizia, tenendo in considerazione la nostra concreta situazione umana. Come cristiani, siamo fermamente convinti che: 'Il Signore è il mio pastore; nulla mi manca'. (Sal. 23:1)".
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