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La missione oggi ai tempi del coronavirus

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Di fronte alla pandemia, che sta mettendo sottosopra l’Italia – e il mondo intero –, anche “Missione Oggi” cerca di fare la sua – piccola – parte per contenere la circolazione del virus, sospendendo le iniziative culturali in programma e modificando la gestione del suo lavoro redazionale, riducendo al minimo la presenza in sede, a Brescia, con i redattori che lavorano da casa, e immaginando la rimessa in moto degli eventi “Non solo libri / Teatro dell’anima” in estate-autunno, quando il contagio – si spera – sarà sotto controllo e si potrà riprendere a lavorare in sicurezza. Nonostante questa drastica sospensione di attività – che sta colpendo in maniera inedita tutti i settori lavorativi –, la redazione farà il possibile per stare vicina agli amici, lettori e sostenitori, attraverso la pubblicazione e l’invio della rivista cartacea e la condivisione della sua versione online, arricchita da altre notizie e riflessioni, per gli abbonati digitali.

In questa situazione, così inaspettatamente capovolgente, l’icona più eloquente della missione oggi – anche stando ai racconti evangelici, come quello di Marco: “Accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli [a Gesù] sui lettucci quelli che stavano male, dovunque udivano che si trovasse…” (Mc 6,55) – sono senz’altro i nostri ospedali. Con le tende-filtro all’accesso, allestite dalla Protezione civile, sono diventati dei veri e propri “ospedali da campo”, come quelli improvvisati attorno a Gesù e al gruppo dei dodici discepoli-apostoli. Mentre da una parte si svuotano le chiese e gli oratori, dall’altra si riempiono gli ospedali fino a scoppiare di malati. Se le comunità cristiane sembrano vivere una condizione di “quarantena”, in attesa di tempi migliori, gli ospedali sono diventati i nuovi templi delle opere di misericordia – corporali e spirituali –, con i medici e gli infermieri che, quali nuovi sacerdoti, non propinano solo cocktail di medicine, ma assistono e accompagnano i malati, soprattutto i più gravi, in agonia tra la vita e la morte, sostituendo anche parenti e amici, costretti alla lontananza per evitare contagi. L’Italia oggi dipende dai suoi ospedali. Sono più importanti delle fabbriche, delle scuole e pure… delle chiese. E non possono chiudere, perché sarebbe la sconfitta di milioni di italiani e dell’intero paese.

Ma i tempi del coronavirus possono far riscoprire il “dove” della missione oggi anche a comunità cristiane mortificate dalla chiusura di oratori e chiese. Non bastano, infatti, le alternative pastorali – soprattutto giovanili –, che hanno trovato spazio all’interno dei canali social Web. La community digitale non sostituisce la comunità reale. Per questo credo sia importante la riscoperta delle case e delle famiglie come luoghi ecclesiali. Invece di aspettare la riapertura degli oratori e delle chiese per tornare alle normali attività – quali, dopo questa pandemia? –, riallacciandoci alla missione pre-pasquale di Gesù e a quella post-pasquale della Chiesa delle origini, perché non puntiamo sulla missione in famiglia, nelle case? Le case, soprattutto di donne, sono state, d’accordo con gli Atti degli Apostoli, le prime chiese! In quest’ora di crisi, siamo riportati alle radici, anche pastoralmente, riscoprendo il sacerdozio comune dei battezzati laici. Può essere l’occasione per una nuova ecclesiogenesi, soprattutto attraverso l’ascolto e la celebrazione in famiglia della Parola di Dio, un ascolto rigenerativo della nostra fede e delle nostre comunità. Questa strana Quaresima, senza l’eucaristia, può farci sentire tutti catecumeni, vivendo questo “tempo di illuminazione e purificazione”, che ci separa dalla Pasqua, come un esodo che ci ricondurrà all’eucaristia, con una rinnovata consapevolezza ecclesiale e missionaria..

Editoriale Missione Oggi - Febbraio 2020

Mario Menin
12 March 2020
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