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Polonia / La Chiesa educa cattolici o fanatici?

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Il fondamentalismo religioso è come l’alcolismo. Si trasmette di generazione in generazione, come in una corsa a staffetta senza fine, in cui genitori o educatori fanatici passano il testimone del fondamentalismo ai loro figli o allievi. Lo sostiene Eliza Michalik, giornalista della “Gazeta Wyborcza”, in un articolo in cui critica l’omelia dell’arcivescovo di Cracovia, Marek Jędraszewski, del 1° agosto 2019, che aveva definito la Lobby Lgtb “peste dell’arcobaleno”.

In Polonia raramente qualcuno osa alzare la voce contro il fondamentalismo religioso imperante, che, alla stregua dell’alcolismo, della tossicodipendenza, della dipendenza sessuale ecc., sta minacciando le nuove generazioni. A denunciarlo è la giornalista e blogger della “Gazeta Wyborcza”, Eliza Michalik, in seguito all’omelia dell’arcivescovo di Cracovia, Marek Jędraszewski, del 1° agosto 2019, il quale, commemorando il 75° anniversario dell’Insurrezione di Varsavia contro l’occupazione nazista (1 agosto – 2 ottobre 1944), si è scagliato contro l’ideologia gender, definendola “peste dell’arcobaleno”. Nel suo articolo del 6 agosto 2019, Michalik afferma appunto che il fondamentalismo religioso è argomento tabù in Polonia, nascosto da quasi tutti, con l’unica eccezione – a suo dire – dello psicoterapeuta Wojciech Eichelberger. Grazie a questo silenzio complice, la Chiesa cattolica, con le sue prese di posizione, come quella dell’arcivescovo Jędraszewski, rischia di educare non dei cattolici ma dei fanatici.

UN SILENZIO ASSORDANTE

Il silenzio su questa cattiva “educazione” cattolica, che la giornalista della “Gazeta Wyborcza” bolla come “indottrinamento”, non sorprende più nessuno, dal momento che la Chiesa cattolica, a livello gerarchico, “è forte quasi quanto il Sejm (Parlamento) polacco, e la sua influenza è maggiore di molti ministri e di molte grandi istituzioni statali”. Per rendersi conto della portata di questo silenzio assordante, Michalik invita a riflettere “sull’orrendo scandalo della pedofilia che dura da anni, con la partecipazione di vescovi e forse di uomini di Chiesa di rango ancora superiore, che nascondono la verità e i criminali in tonaca”. Tale scandalo è stato oggetto di ben due film-documentari: “Tell No One” e “Hide and Seek”, dei fratelli Marek e Tomasz Sekielski, andati in onda rispettivamente nel 2019 e 2020. “Sui crimini contro le donne – scrive ancora la giornalista – alcuni anni fa scoppiò il caso di un parroco che lasciò morire la sua partner nelle doglie del parto, perché non voleva chiamare un’ambulanza. I superiori in seguito trasferirono il prete in un’altra parrocchia, come se nulla fosse stato”.

LA CHIESA EDUCA CRISTIANI O FANATICI?

Secondo Michalik, “la Chiesa polacca è un’istituzione moralmente in crisi, avida e insensibile, che lavora principalmente per denaro e potere, nel suo interesse e di quello dei suoi protettori politici; che forma consapevolmente non dei cattolici, bensì dei fanatici, che a loro volta trasmettono il loro fanatismo ai figli, come in una intossicante corsa a staffetta senza fine, di generazione in generazione, che forma – non esiterei a sostenere questa tesi – con piena deliberazione, folle di nuovi seguaci per sé e folle di successivi elettori per i populisti”. L’accusa è piuttosto pesante, ma secondo la giornalista della “Gazeta Wyborcza” siamo di fronte ad un meccanismo antico, studiato e descritto dagli psicologi, non però in terra polacca, dove ormai anche i più coraggiosi ricercatori temono di chiedere finanziamenti per ricerche sul fondamentalismo religioso o di pubblicare informazioni sull’intossicamento da fondamentalismo dei bambini polacchi. Come dimostra il caso dello storico Jan Grabowski, accusato di essere antipatriottico per aver ricostruito il collaborazionismo della “polizia blu” con i nazisti. Il settimanale di destra “Do Rzeczy” (Sul Punto), il 24 maggio scorso, ha criticato il suo ultimo libro Na Posterunku. Udzial polskiej policji granatowej i kryminalnej w zagladzie Zydów (In servizio: il ruolo della polizia “blu” polacca e della polizia criminale nello sterminio degli ebrei) con un infamante articolo di Leszek Zebrowski, dal titolo “Perseverare nell’errore”.

Consentendo l’espressione pubblica del fondamentalismo e fanatismo religioso come cosa normale, legittima e rispettabile, ritenendola una semplice opinione diversa, secondo Eliza Michalik, la Polonia “si sta preparando un inferno” peggiore di quello da cui è uscita (comunismo), “per uscire dal quale ci vorranno decenni”. Infatti, l’uscita dal fondamentalismo religioso esige una coscienza storica e un’educazione diverse da quelle impiantate dall’attuale regime politico e dall’attuale gerarchia ecclesiastica. Una timida speranza viene, sul fronte politico dal risultato delle ultime elezioni presidenziali, vinte di stretta misura dal conservatore Duda, che perciò non può non tener conto dell’opposizione; sul fronte ecclesiastico, dalla presa di posizione del card. Konrad Krajewski, elemosiniere papale, che il 25 agosto 2019, facendo riferimento alla dichiarazione dell’arcivescovo Jędraszewski, ha condiviso con i pellegrini sulla via di Jasna Góra (Czestochowa, Polonia) questa riflessione relativa all’evangelizzazione delle minoranze sessuali: “Fanno parte della Chiesa, che ci piaccia o no”.

MA NON TUTTI TACCIONO

L’omelia dell’arcivescovo di Cracovia ha suscitato reazioni contrastanti all’interno della Chiesa cattolica, oltre che nella società civile. Il noto pubblicista domenicano fr. Tomasz Dostatni, che gestisce un canale su YouTube – “Otwarta Brama” (Porta Aperta) –, ha subito reagito criticando il sermone sulla “peste dell’arcobaleno” come antievangelico, poiché il Vangelo “non discrimina le persone – non c’è più giudeo né greco, schiavo o libero uomo o donna –, ma soprattutto non esclude né stigmatizza nessuno” (“Gazeta Wyborcza”, 

5 agosto 2019). L’arcivescovo di Cracovia, secondo Dostatni, avrebbe fatto meglio a citare il Catechismo della Chiesa Cattolica, che usa parole meno discriminatorie e più attente alle persone: «Le persone omosessuali si sentano davvero accolte “con rispetto, compassione e delicatezza” e senza alcun “marchio di ingiusta discriminazione”». Oppure papa Francesco, che di ritorno da Rio de Janeiro usò parole più empatiche nei confronti degli omosessuali: “Chi sono io per giudicare?”. 

A favore di Jędraszewski si è pronunciata invece la potente “Radio Maryja” (Radio Maria), che nel suo sito web ha lasciato scrivere al filosofo e pubblicista Jerzy Bukowski: “Se la Chiesa rinunciasse alla predicazione intransigente della parola di Dio per compiacere l’attuale maggioranza dominante o un’altra, e iniziasse ad applicare i principi del politically correct, smetterebbe di essere se stessa. L’arcivescovo Jędraszewski ha dimostrato ancora una volta di essere un indomito difensore della fede”.

Mario Menin

Articolo pubblicato in Missione Oggi 05/2020

Mario Menin sx
18 November 2020
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