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Passione Confortiana

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Meditare la Passione come saveriano

Devo confessare che continuo in crisi, spero una crisi feconda, una crisi che possa diventare ogni giorno di più, un “kairos”. Abbiamo celebrato una CO.SU.MA. che si è conclusa con una sfida e un impegno… identitario!

I confratelli, Superiori Maggiori, sono rimasti coerenti con i capitoli e con la Direzione generale che in varie occasioni hanno parlato di “crisi di identità” (XVII CG 33).

Una identità cosciente e chiara richiede anche una visione propria delle cose, degli eventi e della stessa Parola di Dio. Quale luce identitaria mi aiuta a leggere oggi e domani la Passione di Gesù Cristo? Quale “passione” fra le quattro dei vangeli?

San Guido confessa che il crocefisso gli diceva tante cose. Quindi devo, come saveriano, rileggere i testi della passione attento a cosa mi dice, e credendo che Egli, il Maestro Crocifisso, parla e parla anche prima di esprimersi con parole:

«Il Crocefisso è il gran libro (…) Esso ci parla con una eloquenza che non ha l'eguale; con l’eloquenza del sangue. È il libro più sublime (…) Nessun altro libro può parlare con maggiore efficacia».

Ho meditato ancora una volta il discorso/meditazione del giovane prete Guido Maria Conforti. Era il 4 aprile 1890[1]. Non erano passati due anni dalla sua ordinazione sacerdotale (22 settembre 1888). Il sottotitolo già ci orienta: «Propter nimiam charitatem tradidit semetipsum pro nobis» … (Ef 5,2).

Ecco l’amore. E avvertirà chi ascolta, subito, nelle prime battute:

«Solo vi prego di por fisso lo sguardo più che alla crudeltà ed acerbità di dolori che noi lo vedremo patire, alla sua eccessiva carità, che sola lo spinse a dare per noi la vita, e nei tormenti gli accrebbe virtù e forza per sostenersi.

Però non ci rimaniamo per questo dal seguitare le vestigia del nostro amato bene, fermiamo lo sguardo sulla sua carità che sola gli fu consigliera di dare per noi la vita, e nei tormenti gli accrebbe virtù e forza da sostenersi».

La carità, anzi, la carità “eccessiva”.

Diventa un ritornello ripetuto più e più volte: 

«Con eccesso di infinita carità sacrifica sé stesso in un mare di pene e di dolori»

Vuole che contempliamo anzitutto e preferibilmente gli

«ineffabili eccessi di amore»

«l'eccesso di tanta carità»

Ci chiede di scoprire con l’occhio della fede

«un Dio che sì eccessivamente ci amò».

Contemplando il Crocifisso, scopro che l’amore va oltre ogni misura, è “eccessivo”. Eppure è l'amore che «il fa patire e morire».

Nella meditazione confortiana si ha l’impressione che l’amore del Padre per me è incontenibile: ha bisogno di sfogarsi. Non la comprendo fino in fondo ma sembra tanto efficace la nota con cui conclude la preghiera del Getsemani:

«Eccoci, fedeli Cristiani, giunti al termine da Cristo sì ardentemente aspettato in cui la sua carità verso di noi si fu sfogata senza misura»

E comincia il suo cammino con «mansuetudine ed umiltà».

Anche la morte è meditata come momento di obbedienza e di amore ed avviene, notiamolo, sull’altare.

«Dopo tre ore di penosissima agonia esecrato e maledetto dall'umana ingratitudine l'Unigenito del Padre, l'increata sapienza, il Verbo umanato vittima d'obbedienza e d'amore dal sublime altare del suo dolore, esala l'estremo spirito».

Ha esalato lo spirito, ma continua a parlare!

Anzi il nostro oratore sembra dire: ora non parlo più, parla Lui, il Crocefisso.

«Ma più di tutto parli questo crocifisso ed esangue Signore. (…) Non pare a noi che la divina bontà sia giunta al sommo dell'infocato amor suo? Che più possiamo richiedere da un Dio per noi crocefisso, lacerato orrendamente, diluviante nel proprio sangue? E noi ci par egli che da questo legno pendente a noi rivolga questi amorosi accenti: Figli che più far potea per voi, e non ho fatto. Ah! dite, dite, che sapete ormai desiderare per accontentare le vostre brame, per convincervi che io vi amo? Avvi egli disagio cui non abbia provato, ignominia a cui non siami assoggettato, pene dolori, ambascie, cui non abbia volenteroso sofferte? Amati cristiani, non vi si commuovono le viscere in ascoltare dal Redentore questi amorosi rimproveri? Il cuore non vi palpita forte in petto all'eccesso di tanta carità, perocché che altro brama questo esangue Signore se non che gli rendiamo amore per amore? Amor ci richiede questo lacero corpo; queste piaghe profonde, sì, quante sono esse sono tante bocche per le quali ancor defunto ci grida e ci supplica di amarlo; amor ci dicono queste mani trafitte e queste braccia aperte in atto di darci l'amplesso paterno; amor ci domanda questo petto squarciato per accoglierci nell'intimo dei suoi recessi».

Nella “Parola del padre” ai piedi della croce vedrà scritto: Così si ama!

Nei discorsi ai partenti, il suo Crocifisso, già trafitto dalla lancia, continua a parlare, ma insieme stacca la mano dalla croce e “addita” il mondo:

«Il Missionario è la personificazione più bella e sublime della vita ideale[2]. Egli ha contemplato in ispirito Gesù Cristo che addita agli Apostoli il mondo da conquistare al Vangelo, non già colla forza delle armi, ma colla persuasione e coll'amore e ne è rimasto rapito»

Potrei continuare, ma… lo sappiamo ormai a memoria:

«Parmi che da questa adorabile immagine Egli rivolge a voi quelle parole che diciannove secoli or sono rivolgeva agli Apostoli ed alle turbe a prova della divinità della sua missione: “Quando io sarò innalzato dalla terra, sopra la croce, attirerò a me tutte le cose”».

Non mi resta che tentare di ascoltare!

Alfiero Ceresoli, s.x.
Lunedì santo 2022


[1] FCT 8°, PP.°, p. 698-712

[2] Partivano per la Cina i pp. Pasquale De Martino, Lorenzo Fontana, Angelo Lampis, Vittorino Callisto Vanzin.

Alfiero Ceresoli sx
13 Abril 2022
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