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La Consacrazione, in dono e una scelta

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La Consacrazione, un dono e una scelta.

Sono passati 6 anni da quando ho detto il mio Eccomi Signore io vengo per fare la tua volontà. Il 15 Agosto 2009 emettevo i miei primi voti religiosi come missionario saveriano. Avvertivo che quello che stavo vivendo in quella celebrazione, commuovente e intensa, preparata da un anno di preghiera e di approfondimento della spiritualità e carisma saveriana, si radicava in me, non come un voto temporaneo, bensì come una promessa per sempre. Allo tempo stesso accoglievo quella chiamata, come un dono prezioso. Sperimentavo che non sono io ad aver scelto, ma è il Signore che mi ha scelto per primo. Risuonano ancora nel mio cuore le parole che sussurravo prima ancora che venissero cantate: Seigneur tu m’as séduit, et je me suis laissé séduire, tu m’as terrassé, tu m’as vaincu, tu as été le plus fort. Malheur, malheur, malheur à moi si je n’annonce la Parole du Seigneur.

Cinque anni dopo quel primo Eccomi, il 7 dicembre 2013 nel nostro Santuario Conforti a Parma, pronunciavo solennemente il mio definitivo Si, consacrandomi per sempre per stare con il Signore e per la missione, nella famiglia saveriana.

Questi eventi fondanti, nella mia vita quotidiana, nel mio ministero sacerdotale, mi hanno portato a scoprire sempre di più quanto la consacrazione è per me prima di tutto esperienza spirituale, esperienza di figliolanza, ma anche e soprattutto esperienza dell’essere amato; un essere generato e non un essere innestato. Questa consapevolezza rende armoniosa in me l’integrazione di tutti gli aspetti e le dimensioni del mio vivere, operare, come un dono. Il mio essere missionario saveriano entra nella stessa dinamica: sono inviato in quanto amato. Ed è in quanto amato che riesco ad amare con un amore totale.

La consacrazione come esperienza spirituale

            Partendo dalla mia, pur piccola, esperienza di consacrato, avverto forte il desiderio di vivere una vita spirituale aperta sempre più all’incontro filiale con il Signore anche attraverso il servizio ministeriale e di animazione missionaria che mi è stato affidato. Solo entrando più intensamente in questa dimensione spirituale, sperimento di aver forza, slancio e coraggio per rinnovare giorno dopo giorno il mio Si al Signore per arrivare a manifestare e trasmettere il bello nascosto in questa vita.

In questi primi mesi del mio ministero sacerdotale scopro che la vita spirituale, trampolino di slancio del mio vivere da consacrato, è autentica solo s’intreccia col vissuto della gente cui sono mandato e con cui vivo, i miei confratelli saveriani. Sono consacrato per essere segno del Regno, testimoniando a tutti e dappertutto la vita piena in Cristo. Questo domanda un’intensa vita di preghiera, luogo privilegiato di colloquio con il Signore, senza la quale verrei meno

In questi anni sto maturando una consapevolezza: il mio essere consacrato, non significa allontanamento dagli avvenimenti della vita, dalle attività che fanno la vita, un ritiro per vivere tranquillo, lontano da ogni tensione del mondo, ma piuttosto un vivere in mezzo a tutte le realtà. Si tratta di spostare il centro di gravità, il centro della mia attenzione; di cambiare l’ordine delle mie priorità. Solo lasciando che la mia vita si fondi in Cristo riesco ad avere uno sguardo redento, benedicente e di misericordia sulle cose. Questo modella il mio giudicare, il mio sguardo. Avverto di essere chiamato a vivere nel mondo come lievito che fermenta e dà consistenza alla pasta. Un vivere nel mondo, fermamente radicato in Cristo, centro vitale di tutte le cose. In lui infatti sono state ricapitolate tutte le cose. Questo mi porta a rivisitare continuamente la mia vita e il mio modo di agire. Nella meditazione, nell’esame di coscienza alla luce della Parola, scopro quanto il mio pensare, parlare, agire, sentire, sia specchio e non solo schermo di quella realtà avvolgente che è l’Amore infinito di Dio nostro Padre; quanto il mio operare, il mio vivere sia una testimonianza e un annuncio implicito di Colui che è morto per noi. Fare sperimentare nel già, la vita eterna: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo”. (Gv 17, 3).

Questo significa per me essere in continua ricerca. Più entro in contatto con il mio vero io, anche sotto le preoccupazioni della mia esistenza, più trovo qualcosa di vitale. Pur avendo, a volte, il cuore e la mente ricolmi di molte cose, tanto da chiedermi come posso fare fronte a tutte le attese, averto un profondo senso d’incompiutezza. Questo diventa uno scoprirsi ancora alla soglia di un cammino, un protendere lo sguardo verso un orizzonte a cui sono chiamato, un ridestarmi dalla sonnolenza e un rimettermi all’ascolto dell’Oggi in cui mi si rivela il Signore. Un anelare a quell’incontro con il Signore che ritempra il mio essere nella preghiera, nella meditazione, e che culmina nella celebrazione eucaristica.

Tutto questo significa per me essere in una continua tensione, progettazione per fare della vita dello Spirito il centro della mia consacrazione, del mio pensare e del mio agire, di tutto ciò che a me tocca fare come servizio; quel cercare Dio, amare Dio, trovare Dio in tutti e in tutto che è la preghiera che balbetto ogni mattino.

L’essere amato, fondamento della mia vita da consacrato

Il mio essere consacrato si nutre di una certezza che radica tutto il mio essere e la mia stessa esperienza di fede: l’aver sperimentato fin dal sorgere della mia vita di essere amato. Questa esperienza, per me, dà un significato nuovo ai voti. Sostanzialmente sperimento la mia storia in quella di Gesù: Tu sei il mio figlio in te trovo il mio compiacimento, è il proprio della mia fede, è ciò che mi costituisce anche a livello relazionale. Allora insieme ai giovani e gli adulti con i quali condivido il cammino di fede, mi trovo a vivere il mio ministero come un racconto di fede; un racconto del mio incontro col Signore. Di conseguenza, scorgo che il mio vivere il voto di povertà interroga i giovani, che si trovano a volte avvolti dalle aspirazioni al consumismo, al successo. Insieme a loro scopriamo quanto siamo chiamati a liberarci dal fascino della ricchezza, ma anche ad apprezzare ogni cosa senza necessariamente possederla. Un atteggiamento che ci porta ad un senso di gratitudine verso il Creatore che dona tutte le cose buone. Insomma, una sfida a vivere liberi dalle briglie del possedere, non solo come ideale, ma facendolo diventare stile di vita.

Lo stesso, per il voto di castità, questo invito ad essere segno dell’amore universale di Dio che non esclude nessuno. Averto esistenzialmente che questo voto mi sollecita ad incarnare un amore che vada ben al di là di ogni privatizzazione, delle moderne forme di tolleranza, che spesso nascondono la paura della differenza. Il mio vivere il voto di castità non diventa indifferenza, bensì un modo evangelico di vivere ogni relazione. Questo implica per me un processo di purificazione della mente, del cuore e del corpo, una grande libertà per amare Dio e tutto ciò che è suo, un cuore indiviso e perciò totalmente disponibile ad amare e servire tutti gli uomini. Perciò risuonano continuamente dentro me le parole di Paolo: Vi esorto dunque fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Rm. 12, 1-2). Questo dice il legame tra questo voto e quello dell’obbedienza che vivo come una immedesimazione a Cristo, cioè quell’entrare nel progetto di Dio: Padre, non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu! (Mc 14, 36). Questo nel concreto mi porta ad una obbedienza generosa e pronta, anche con gli altri, a guardare ogni vita con simpatia e intelligenza, cercando di scoprire insieme ciò che Dio desidera per noi. È ciò che dice molto bene l’affermazione del nostro XVCG 49 quando parla del missionario che deve essere un uomo in ascolto di Dio e attento al mondo, per scoprire con gioia e senso d’adorazione le intenzioni divine nella storia.

Sicuro che la perfetta obbedienza di Gesù al Padre è il frutto della sua perfetta consonanza con lui nello Spirito. A questo proposito mi risuonano alla memoria le parole di Benedetto XVI quando disse: credo che oggi, dopo che sono state chiarite tante questioni di fondo, il nostro grande compito sia in primo luogo quello di rimettere di nuovo in luce la priorità di Dio. La cosa importante oggi, è che si veda di nuovo che Dio c’è, che ci riguarda e che ci risponde”[1] Tutti i tre voti vengono compendiati in un quarto per noi saveriani: il voto di missione. Sono un consacrato mandato, a testimoniare quel incontro con il Risorto, a manifestare quello stesso amore filiale. Anche questo voto lo vivo con una grande gioia e serenità perché partecipo della missione del Figlio: “sarebbe un errore intendere la missione come un eroico compito personale, giacché l’opera è prima di tutto suo, al di là di quanto possiamo scoprire e intendere. Gesù è “il primo e il più grande evangelizzatore (EV 12).

La comunità, luogo di maturazione e di consacrazione continua

Un altro ambiente che mi aiuta a vivere pienamente il mio essere consacrato è la comunità, luogo di perdono, di rinascita e di festa. La comunità è il mio ambiente vitale e nel tempo stesso la mia famiglia, la mia casa. Luogo dove risuona dall’alba al tramonto la chiamata del Signore. Luogo dove, nelle sue diverse sfaccettature, riesco, cammin facendo, a cogliere la presenza di Dio che ci costituisce e ci rende dono gli uni per gli altri, cioè a vivere pienamente il nostro essere consacrati. È da maggio dell’anno scorso che faccio parte della comunità di Ancona, un dono prezioso per me, in cui rinnovo insieme ai miei confratelli il dono della consacrazione missionaria saveriana. Luogo dove, spinti da quel fare del mondo una sola famiglia in Cristo, caro al nostro santo fondatore CONFORTI, cerchiamo di renderlo concreto in ogni nostro incontro con i gruppi che accompagniamo e che ci incontrano o alle persone che ci frequentano. Luogo che mi permette concretamente di vivere da consacrato, la comunità è per me, come dice il XVCG, dono che accogliamo, ma è anche impegno concreto e voluto di fratelli mature che sentono come dovere proprio la costruzione della comunione fraterna (XVCG 20).

Per concludere, è con un sentimento di gratitudine grande e profondo, che vivo la mia consacrazione, perché il Signore si è degnato di scegliermi, di porre la sua mano su di me.

Allora tutto confluisce in una preghiera continua: Mi hai reso così ricco, mio Dio, lasciami dispensare agli altri a pieni mani. La mia vita è diventata un dialogo ininterrotto con Te, un unico grande dialogo. A volte quando me ne sto solo, gli occhi rivolti al cielo, le lacrime mi scorrono sul viso, lacrime che sgorgano da una profonda commozione e riconoscenza per il dono della consacrazione missionaria saveriana come fratello tra fratelli, e come sacerdote per l’umanità.

P. Benjamin MUGISHO BALIKA, SX

 

[1]          Benedetto XVI, Luce del mondo. Il papa, la chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, LEV, Città del Vaticano, 2010, p.199.

Mugisho Balika Benjamin sx
10 May 2015
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