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Lettera a P. Silvano Garello

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LETTERA A P. SILVANO GARELLO, PASSATO DA QUESTO MONDO AL PADRE IL GIORNO 18 GENNAIO 2017 (31.12.38-18.01.2017)

°°°

“Voglio cantare al Signore finché ho vita,

cantare al mio Dio finché esisto.

A Lui sia gradito il mio canto;

la mia gioia è nel Signore”. (Sl. 103)

Carissimo Silvano,

Avrei voluto essere con i nostri confratelli nella cattedrale di Khulna per salutarti e affidarti al Signore nel tuo viaggio di ritorno a Lui. Lo faccio dall’Italia scrivendoti quest’ultima lettera. Ci siamo incontrati di sfuggita qui a Roma nel collegio Conforti, dove io trascorrevo la mia convalescenza dopo l’intervento al cuore e tu eri di passaggio. Ti avevano detto di fermarti più a lungo in Italia per curarti, ma tu non hai voluto ascoltare nessuno. Forse avevi il presentimento del tuo passaggio al Padre e sei voluto tornare nella terra della tua missione, che tanto hai amato e per la quale hai speso tutte le tue energie senza risparmiarti.

Scherzosamente ti chiamavamo “il profeta” e nessuno di noi ha mai messo in dubbio che tu eri innamorato di quel Gesù, che volevi annunciare opportune et inopportune come S. Paolo. Ci siamo incontrati la prima volta a Parma negli ultimi due anni di teologia, poiché io provenivo dal seminario regionale di Chieti. Erano gli anni ferventi del Concilio e noi siamo stati i primi fortunati a celebrare l’Eucarestia in lingua italiana. Poi tutti e due siamo stati assegnati alla scuola apostolica di Vicenza, che pullulava di ragazzi, allora chiamati “apostolini”. Quanto fervore e quanto entusiasmo in quegli anni! Ed il lavoro certo non mancava. Ti ricordi? Il primo anno, per l’insegnamento, ci venne assegnata la prima media, che contava 60 alunni, divisi in 3 sezioni: due per me ed una per te. Frequentavamo contemporaneamente Padova, tu per la liturgia a Santa Giustina ed io al Livianum per lettere e filosofia. E poi, ogni sabato e domenica, fuori nei paesi del vicentino a predicare le giornate missionarie. Tu avevi anche l’incarico dell’animazione missionaria e, attraverso di te, tanti ragazzi sentirono la chiamata alla missione.

La nostra era una comunità composita: 11 confratelli, di cui alcuni anziani. Ricordi i pp. Cailotto, Nardello, ecc. e i nostri tentativi di trasmettere lo spirito del concilio attraverso gli incontri settimanali? Era anche l’epoca dei cosiddetti “quinquennali”, una istituzione andata poi in disuso, ma tanto utile perché creava fraternità. In che cosa consisteva? Nei primi 5 anni di ordinazione i giovani padri, durante il periodo estivo, venivano richiamati per corsi di aggiornamento, inizialmente in una casa che si affacciava sul lago di Garda e poi nella nostra casa saveriana di Tavernerio.

Dopo i quattro anni trascorsi insieme, a te, più fortunato, venne chiesto di andare, dopo l’anno di lingua inglese a Londra, nell’allora Pakistan Orientale ed io venni trasferito nella scuola apostolica di Cremona per l’insegnamento. Andato in Pakistan, tu ti trovasti quasi subito nella tragica vicenda della guerra di liberazione dal Pakistan, un’immane tragedia di sangue, che segnò anche la morte di P. Mario Veronesi, riconosciuto poi martire della patria, di cui tu poi scrivesti una splendida biografia. La guerra lasciò in te qualche traccia di esaurimento, per cui i superiori pensarono bene di rimpatriarti. Dopo di allora le nostre tracce si persero, per ritrovarle quando anch’io nel 1977 giunsi in Bangladesh.

Furono quelli gli anni gloriosi della missione in Bangladesh, in cui i Saveriani si resero protagonisti del rinnovamento della missione attraverso quelle che vennero chiamate “VIE NUOVE”. Ci fu un dibattito molto vivace, che avvolte diventava scontro tra posizioni contrastanti, ma sempre creativo e propositivo. Si inventò così la “Linea Rishi”, come scelta prioritaria degli esclusi, dei fuoricasta, a cui poi si aggiunse quella dei tribali. Fummo anche i primi, non solo in Bangladesh, ad iniziare il dialogo interreligioso (parlo dell’ultimo squarcio degli anni settanta), per il quale si esigeva una preparazione adeguata e perciò alcuni confratelli furono mandati a studiare Islam ed Induismo. Il settore sanitario, sempre tanto a cuore a noi missionari, che aveva trovato il suo fiore all’occhiello nel Fatima Hospital (con i medici saveriani: Remo Bucari, Gildo Cperchio e Claudio Modonutti), successivamente, attraverso l’opera instancabile di p. Alfonso Oprandi, trovò una formula di cooperazione con equipe mediche italiane, che da 25 anni ormai va avanti con una testimonianza cristiana di grande spessore.

Non ci fu aspetto della vita bengalese che non venisse tenuta in considerazione a cominciare dai disabili, per i quali p. Gabriele Spiga costruì la Casa della Speranza (Ashar Bari) e finire con gli Street children di p. Riccardo Tobanelli. Senza parlare del grande ruolo svolto dalla BTS (Boyra Technical School) nel preparare tecnici per la società bengalese. Non si può terminare l’elenco senza menzionare le tante attività intraprese da p. Giovanni Abbiati, tragicamente scomparso per un incidente automobilistico, per la promozione della donna in Bangladesh.

Un’attenzione tutta particolare meriterebbe l’azione strettamente evangelizzatrice, che ha visto in te, caro P. Silvano, un protagonista senza pari. In collaborazione con il Centro Catechetico di Jessore, fondato e gestito dai Saveriani succedutisi nelle varie decadi (p. Marino Rigon, p. Marcello Storgato, p. Attilio Boscato, p. Giacomo Rigali, p. Pio Mattevi e ultimo p. Sergio Targa) hai prodotto una quantità enorme di testi e sussidi per la catechesi e le celebrazioni liturgiche, di cui è difficile dare un elenco completo. Sempre all’opera nell’intentare e inventare poster di tutti i tipi e di tutti i colori in aiuto agli agenti della pastorale. Eri solito dire, quando non c’era ancora il computer, che, a forza di scrivere, l’indice della tua mano destra era diventato calloso. Da non dimenticare infine l’apporto che tu hai dato alla formazione del clero locale negli 8 anni in cui fosti rettore del seminario minore di Khulna.

Caro Silvano, forse i più restii ad ascoltarti eravamo proprio noi tuoi confratelli, ma lo facevamo senza cattiveria e ci perdonerai. Te ne vai in un momento in cui siamo ridotti di numero e molti di noi avanzati in età. Fino a qualche giorno fa, in ordine di età, io ero il terzo dopo di te. Adesso, subito dopo p. Livio Salvetti vengo io. Negli anni ’90 il nostro numero superava i 40. Adesso siamo meno della metà. Siamo noi gli ultimi missionari saveriani nel Bangladesh? Volgendo lo sguardo al fervore dei nostri giovani anni, ci piange un po’ il cuore. Ma siamo nella linea di Giovanni il Battista: “Occorre che Lui (la chiesa locale) cresca ed io diminuisca”. Prega per noi il Signore perché non ci venga mai a mancare l’entusiasmo e la gioia dell’annuncio.

Antonio Germano Das sx.

Roma, 19.01. 2017

Antonio Germano sx
20 Enero 2017
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