Nel 1996 mio papà, raggiunti i 35 anni lavorativi richiesti a quel tempo, andò in pensione all’età di 53 anni. Tuttavia, lo attendeva un nuovo lavoro. Parlando con me di cosa avrebbe potuto fare e del tempo che si ritrovava a gestire, gli proposi a bruciapelo: “Io sono missionario, tu non puoi che lavorare nel gruppo missionario del paese.” Di carattere molto pratico e pieno di buona volontà, a mio papà fu sufficiente quell’invito improvviso. Da allora per circa 15 anni ha lavorato quasi ogni giorno insieme ad un altro pensionato nel gruppo missionario Mivo ‘75.
Questo gruppo ha sostenuto e continua a sostenere progetti di missionari, saveriani e non, inviando decine e decine di migliaia di euro attraverso la procura. Sono il frutto della fatica e del sudore uniti alle offerte richieste per il servizio fatto. Tale lavoro lo vedeva impegnato nella raccolta di materiale di riciclo, nello svuotamento di cantine e soffitte nel paese, che faceva come volontario chiedendo un’offerta per le missioni. Lavoro che richiedeva forza fisica e ripagava con non poca stanchezza a fine giornata. Mio papà aveva lavorato per 35 anni come rappresentante viaggiatore di articoli casalinghi. Concretamente viaggiava molto in auto, si presentava nei negozi sempre in giacca e cravatta, insomma veniva da un’esperienza lavorativa completamente diversa.
Da circa 3 anni, mia mamma, ora 74enne, soffre di Alzheimer. Agli inizi era piuttosto leggero, non si ricordava solo i nomi delle persone incontrate in giornata, ma lentamente la situazione è andata peggiorando. Da un anno a questa parte, a causa anche della reclusione forzata in casa per mesi a motivo del Covid19, la situazione è precipitata. La mamma non è in grado di lavarsi, vestirsi e pulirsi o muoversi da sola con stabilità motoria. Non poche volte si rivolge al papà chiedendogli chi sia, lui che giorno e notte le è accanto, il suo angelo custode. Mio papà, 78 anni a marzo nello stesso giorno del nostro fondatore, da anni soffriva di reumatoide alle ginocchia. Non poteva fare le scale, non poteva chinarsi e non era in grado di camminare sicuro senza il sostegno della stampella. Vedendo che la situazione della mamma richiedeva sempre maggior assistenza, lo scorso anno decise di farsi ricoverare per l’installazione della protesi a entrambe le ginocchia. Per due volte ha sostenuto oltre un mese di degenza e riabilitazione in ospedale durante la pandemia.
Con l’aggravarsi delle condizioni della mamma, si è trovato nella situazione di dover cambiare radicalmente e in fretta il suo orario giornaliero, il suo stile di vita e il tempo personale, senza alcuna preparazione o tempo di riflessione, come i tre mesi o cinquanta giorni di Tavernerio. Ogni giorno si adatta alle esigenze della mamma, che a motivo della malattia cambia di umore spesso, passa dal sorriso alle lacrime in un minuto, cambia idea rapidamente e quindi smette di fare quello che aveva iniziato a fare oppure, al contrario, all’improvviso dice di voler fare questo o quello. Lui, svelto, intuitivo, dinamico e attivo, ora si siede accanto alla mamma e in silenzio aspetta le sue richieste, i suoi rifiuti, le sue reazioni. Lui, uomo energico dalle mani grosse e cuore grande, le lava i capelli, le mette la crema per il viso, le fa la doccia, le pulisce la dentiera, la pettina e la veste. Alla sera non può vedere la televisione dopo le 8 e mezzo perché la mamma va a letto e vuole che anche lui faccia altrettanto. Come del resto durante il giorno il papà non può allontanarsi o assentarsi da casa perché la mamma lo cerca e lo chiama immediatamente.
Parlare di formazione permanente non significa limitare il discorso a programmi di aggiornamento accademico o, in termini digitali, di un aggiornamento del proprio sistema di vita personale. Formazione permanente è lasciarsi interpellare prima e saper rispondere poi alle richieste e alle necessità che di volta in volta vengono dall’ambiente umano, culturale e sociale in cui si vive. È un processo di cambiamento e trasformazione non facile né indolore perché non è scelto né voluto dall’individuo, perché non offre risposte preconfezionate, perché non poche volte si presentano all’improvviso richieste o necessità a cui non si ha tempo di prepararsi. A noi saveriani, invece, per rispondere alle richieste e necessità della missione, sono offerti tempi, studi, preparazione, risorse e strumenti. Un privilegio che diventa responsabilità di cui render conto quando si rifiutano.
Dallo scorso anno, ciascuno di noi si è ritrovato in una situazione che non si è cercato e neppure desiderava. La pandemia ha fatto sospendere e cancellare attività, progetti, spostamenti, visite e perfino vacanze. Questo ci ha messo a disposizione tanto tempo, tempo da gestire e da impegnare magari facendo cose nuove, riscoprendone di vecchie, cimentandosi in qualche tentativo online. La pandemia è stata e continua a essere anche tempo e occasione di formazione permanente. È anche tempo di bilanci onesti e oggettivi. Chiedo a me per primo come dal febbraio dello scorso anno fino a giugno di quest’ anno ho saputo e voluto rispondere alla situazione in cui mi sono ritrovato a motivo delle misure anti-Covid che hanno limitato o annullato tante attività. Come ho trascorso il tempo che mi sono ritrovato a disposizione? Accidia giustificata? “È colpa della pandemia, non mia!”. Oppure creatività attivata? Anche con la modalità online si possono svolgere diverse attività: certe anche meglio, altre con più frequenza e con in maggior numero di partecipanti.
La formazione permanente non è semplicemente legata a determinate tappe della vita, ma è un processo di trasformazione che si presenta a più riprese, che avviene lungo tutto il corso della vita. Sono necessità e situazioni nuove che si presentano e a cui siamo chiamati a rispondere. Spesso sono esterne al singolo, ovvero non causate o ricercate, ma che ci coinvolgono e interpellano direttamente. La formazione permanente è una questione di motivazione. La solidità e validità della motivazione e la convinzione dell’individuo riguardo a essa sono in grado di far compiere cambiamenti e trasformazioni a se stessi per l’interesse e il bene degli altri indipendentemente dalla propria età. Mio papà, a 78 anni, si sta ancora lasciando formare dalla realtà in cui vive. La sua motivazione è la persona che ama, sua moglie. Mio papà, esempio di formazione permanente.
28 maggio 2021, nel 55esimo anniversario di matrimonio di papà e mamma.
Un grazie di cuore al mio “fratello di vocazione” padre Mauro Loda che ha visitato i miei e celebrato la messa di anniversario con loro.
p. Renato Filippini, sx
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