(Uomo di desideri-sogni e di molta preghiera)
Il più grande studioso del Saverio, il gesuita tedesco Georg Schurhammer, ha impiegato più di trent’anni per dare alle stampe la prima edizione critica delle lettere e di altri documenti del grande missionario delle Indie.[1] Più di vent’anni di fatica gli è costata anche la pubblicazione dei quattro ponderosi volumi sulla sua vita.[2]
È senz’altro a questi studi che il card. Montini, arcivescovo di Milano, più tardi Paolo VI, si è ispirato per parlare ai giovani saveriani di Desio il 3 dicembre del 1959, in occasione della festa del Saverio. Infatti, quanto Montini disse in quell’occasione ai giovani saveriani combina con le parole rilasciate da Schurhammer al nostro p. Vittorino C. Vanzin, esattamente dieci anni prima: «il Saverio autentico è più santo e più simpatico [di quello leggendario che noi conosciamo]. Egli è veramente un suggestivo modello per tutti i missionari, perché ha superato le enormi difficoltà del suo apostolato con i propri sforzi, senza miracoli… Sì, ha fatto molti miracoli; ma quelli più noti non sono veri, ed in ogni caso i miracoli non l’hanno dispensato dalle fatiche comuni a tutti i missionari. Egli, ad esempio, non ha avuto il dono delle lingue, ed ha studiato il tamil, il malese e il giapponese con successo moderato…».[3]
Ma prima di entrare nel vivo del tema, vorrei raccontarvi una “storia” di quelle che sa imbastire Søren A. Kierkegaard, una “storia” che pare veramente accaduta, ma che nel nostro caso può fungere meglio da “parabola” della vita del Saverio.
C’era una volta…
C’era una volta un uomo, un europeo, che, in viaggio in Estremo Oriente, conobbe una ragazza cinese, con cui s’incontrò una sola volta, in una stazione ferroviaria. Fu amore a prima vista, ma non riuscì a scambiare con lei neppure una parola. Non ne conosceva la lingua e non era in grado di scriverle e nemmeno di decifrarne le lettere. Ritornato in patria, decise di imparare il cinese per comunicare con lei. Dopo aver molto cercato, riuscì a trovare il modo di imparare la lingua dell’amata. Si buttò a capo fitto nello studio dell’idioma, a tal punto da diventare un celebre sinologo, invitato a tenere conferenze in tutto il mondo. Gli studi, i viaggi e gli impegni si moltiplicarono a tal punto che se all’inizio trovava ancora tempo per scriverle e leggerne le lettere, col passare del tempo gli riusciva sempre più difficile. Inoltre, lei non sapeva più dove spedirgli le lettere. Il “nostro eroe” diventò così importante che finì per dimenticare la giovane donna che aveva acceso in lui il desiderio di imparare il cinese.[4]
In questa “storia”, che a prima vista sembra non avere nulla a che fare con il Saverio, possiamo invece leggerne in filigrana l’avventura spirituale e missionaria, in positivo e negativo, ma anche la nostra avventura pastorale, sia come singoli sia come comunità, e pure l’avventura della Chiesa. Una storia-parabola che ci può aiutare a discernere se anche noi abbiamo corso e corriamo il rischio di dimenticare la “cinese” di cui ci eravamo perdutamente innamorati e per cui ci siamo tanto spesi, imparando una lingua estranea ed entrando in una cultura differente, magari ostile.[5] Penso in particolare ai missionari, ma anche a voi presbiteri, qui presenti, che avete già macinato anni di pastorale e… di cambiamenti.
Per il discepolo-missionario di Cristo, infatti, il fondamento di tutta la vita è un’alleanza stretta, una comunione intima, con Dio, un amore impegnato. È quello che comunemente chiamiamo “spiritualità” o “vivere secondo lo Spirito”, sedotti e condotti dallo Spirito. C’è chi preferisce parlare di “mistica” anziché di “spiritualità”. In ogni modo, si tratta del nucleo incandescente della fede, senza il quale tutto perde senso, sapore, odore, colore ecc.
Nella lettera alla Chiesa di Efeso, il libro dell’Apocalisse rimprovera la comunità perché ha abbandonato il suo “primo amore”: «Hai abbandonato il tuo amore di prima» (Ap 2,4). Mentre ci accingiamo – per l’ennesima volta – a vivere l’Avvento, questa è la grande sfida che ci attende: la fedeltà all’alleanza, al primo patto, al “primo amore”.
Ebbene, vediamo come il Saverio visse la parabola della fedeltà all’incanto del “primo amore”. Cercherò di offrire alcuni spunti, servendomi anche di quanto Montini disse agli studenti saveriani di liceo a Desio il 3 dicembre 1959, proprio in occasione della festa del titolare dei saveriani, oltre che patrono universale delle missioni. Molto opportunamente – poiché si trattava di giovani missionari in formazione – Montini scelse una frase riferita al Saverio, ancora prete novello di passaggio a Bologna, da un compagno di stanza, che, raccontando di lui, ebbe a dichiarare: «Fuit vir desideriorum et multæ orationis».[6]
Interpretata nel senso del narratore della vita del santo, questa frase altro non significa se non che il Saverio fu un uomo di grandi desideri (sogni), sempre coniugati con il gusto del “primo amore”, perfezionato nella preghiera e nel dialogo costante con Dio. Ma vediamo di approfondirne il senso, come ha fatto più recentemente anche il grande esegeta gesuita Xavier Léon Dufour.[7]
Un “uomo di desideri”
Anzitutto, «uomo di desideri». Una definizione che, a prima vista, ci lascia perplessi. Infatti, che cosa ha da spartire la spiritualità cristiana con i desideri se, su un totale di dieci comandamenti (le dieci parole), almeno due – il nono e il decimo[8] – sono dedicati al loro spegnimento ancora prima che divampino nel cuore, prima cioè che il pensiero diventi passione?[9]
La sequela di Cristo non consiste forse nel liberare il cuore da tutte le vibrazioni dei desideri umani? Lo stesso maestro del Saverio, Ignazio, non aveva basato la sua spiritualità sull’indifferenza, invitando i seguaci a pensare alle cose senza essere attirati a desiderarle o a odiarle? E non dovevano essi saper frenare e dominare se stessi anche nelle più legittime e belle espressioni della psicologia umana?[10] «Tutto questo è vero», afferma Montini, «ma è anche vero che per essere dei veri discepoli di Cristo e dei veri missionari bisogna essere gente che sa… desiderare».[11]
Il desiderio, infatti, è il motore della vita umana, non solo, ma anche di quella cristiana.[12] E solo chi desidera molto, ama molto. Il segreto consiste nel sintonizzare il desiderio sulla stessa lunghezza d’onda della volontà, al fine di entrare in possesso dell’oggetto che merita di essere desiderato e che Dio ha nascosto nel campo come il nostro “tesoro” e la nostra “perla di grande valore”.[13] Possiamo chiederci, allora, se il nostro desiderio ha già trovato il suo oggetto e se la nostra volontà lo insegue fedelmente, «perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34).
Il Saverio seppe saldare – come fu concesso a pochi missionari prima di lui, forse solo a Paolo – il suo cuore di apostolo al “tesoro” dei popoli non cristiani, che il Signore aveva “nascosto” per lui nel campo lontano dell’Asia. Per questo si mise in viaggio, come inviato del papa e legato del re del Portogallo, per raggiungere quanto prima (quantocitius) il suo “tesoro” in Asia (citra et ultra Gangem) e così annunciare la buona notizia del Vangelo al maggior numero possibile di non cristiani.
Per questo, pur desiderando molto la compagnia e gustando profondamente l’amicizia, nei suoi poco più di 10 anni di missione riuscì a sopportare con gioia la lontananza dai suoi migliori amici, l’abbandono e la solitudine, per stare vicino al suo “tesoro”. Inoltre, pur ricevendo poche lettere (soltanto 5 da Roma e 2 dal Portogallo), non smise di scrivere ai suoi compagni e amici (scrisse più di 130 lettere), per metterli al corrente della sua attività e per chiedere illuminazione, consigli e preghiere, al fine di far brillare meglio la “perla di grande valore” trovata in Estremo Oriente.
Infine, avendo battezzato migliaia di persone (circa 30mila) e organizzato un sistema – una rete – invidiabile di comunità ecclesiali, non si fece scrupolo di lasciare le une e le altre in mano altrui, pur di aprire nuove strade al Vangelo, fino alla morte, che lo colse ancora giovane (46enne) appunto in viaggio, nel modo in cui visse, sulla soglia dell’Impero Celeste, la Cina.
… e “di molta preghiera”
Tutto questo il Saverio poté realizzare perché, oltre a essere «vir desideriorum» (un uomo di desideri/sogni), fu un uomo «multæ orationis» (di molta preghiera).[14] Infatti, il desiderio da solo non basta. Se bastasse, saremmo tutti dei grandi missionari. Invece, molto spesso si confonde con l’ambizione, con la vanità, poiché si nutre della nostra insufficienza. Inoltre, si spegne facilmente, poiché subisce tutte le volubilità dei nostri diversi stati d’animo e s’inquina di desideri altri, contrari.[15] Per potenziarlo, ricorriamo tante volte a mezzi inadeguati, facendo coincidere il nostro amore con l’amore di Dio, l’amor sui con l’amor Dei direbbe Agostino.[16] Insomma, ci muoviamo con troppa disinvoltura davanti a Cristo, invece di metterci al suo seguito per seguirne le orme.
Cerchiamo anche mezzi più convenienti per lo svolgimento delle nostre attività missionarie o pastorali, giustificandoli in nome di una maggior agilità che ci offrirebbero, ma poi inesorabilmente ci accorgiamo che i mezzi, invece di facilitarci la strada, ce la complicano. I mezzi, infatti, hanno una strana potenzialità camaleontica, quasi diabolica, che li trasforma in fini, rendendo meno trasparente il fine ultimo, anche agli occhi dei destinatari della nostra missione. Sicché tali nuovi mezzi-fini, per quanto noi li consideriamo intermedi, penultimi, finiscono per tarpare le ali al nostro desiderio e per appesantire il nostro cammino.[17]
Il Saverio vinse queste tentazioni e superò le tante desolazioni del suo ministero, perché fu un uomo «di molta preghiera». Impressiona il suo spirito di preghiera e pure il tempo dedicato – molte ore della notte – «all’orazione mentale e alla meditazione delle cose divine»[18]. Nella preghiera il Saverio ritrovava la potenza del desiderio, la consolazione, il gusto e l’incanto del “primo amore”, la fiducia in Dio e l’audacia di continuare a servirlo, anche quando sembrava vinto, sbaragliato, dalle prove fisiche e morali. Ridotto alla passività dagli elementi naturali oppure dall’incomprensione e dalla cattiveria degli uomini, nella preghiera ritrovava luce e consolazione per perseverare vicino al suo “tesoro”.
In buona sostanza, si può dire veramente missionario, buon pastore (presbitero), solo colui che, come il Saverio, ha grandi desideri (sogni) ed è dotato di spirito di preghiera. Inoltre, riprendendo la storia-parabola di Kierkegaard, possiamo concludere che il missionario (e il buon pastore, presbitero) sarà efficace nella sua azione nella misura in cui sarà fedele al suo “tesoro” e non perderà l’incanto del “primo amore”. Sicché la missione evangelizzatrice non è soltanto un’azione o una serie di azioni che ci trasforma in eminenti specialisti (sinologi) di una lingua, di una cultura o di qualsivoglia altra attività (caritativa) – che però hanno perso il gusto dell’incontro con la gente (la “cinese” di Kierkegaard) –, ma anzi e più propriamente una passione che continua fino alla morte.
Va compreso in questo senso l’apostolo Paolo, quando afferma di se stesso: “Sono stato crocifisso con Cristo, e non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,19-20). Paolo di Tarso è diventato evangelo di Gesù, così come il Saverio è diventato il suo più profondo desiderio, sogno, che ha performato tutta la sua esistenza: aprire nuove strade al Vangelo di Gesù Cristo alle genti delle Indie (dell’Estremo Oriente), continuando a sognare la Cina, la prima ed esclusiva missione dei saveriani per oltre cinquant’anni!
p. Mario Menin SX
Festa di S. Francesco Saverio
Missionari Saveriani
Brescia, 2 dicembre 2021
[1] Cf. G. Schurhammer – I. Wicki (edd.), Epistolæ S. Francisci Xaverii aliaque eius scripta, 2 voll., apud MHSI 67-68, Romæ 1944-1945. Su questa edizione critica è stata condotta anche la più recente traduzione in lingua italiana delle lettere del Saverio: cf. S. Francesco Saverio, Le lettere e altri documenti, Città Nuova, Roma 1991.
[2] Cf. G. Schurhammer, Franz Xaver. Sein Leben und seine Zeit, 4 voll., Herder, Freiburg-Basel-Wien 1955-1973. Si tratta di uno studio fondamentale, punto discriminante per giudicare l’attendibilità degli studi precedenti e punto di partenza per qualsiasi altra ricerca sul grande apostolo.
[3] V. C. Vanzin, «Francesco Saverio in Giappone. Dopo quattrocento anni. Intervista con il padre Schurhammer che da trent’anni studia la vita e l’opera del grande apostolo», “Fede e Civiltà” 47 (5/1949) 131-132.
[4] Cf. Dolores Aleixandre, rscj, Mémoire vive du “Jeu Pascal”. Mystique et Tâches de la Vie Réligieuse aujourd’hui. Conferenza tenuta all’USG, Roma 3 maggio 1998, testo policopiato, p. 7: cit. da M. Barros, «À procura do encanto perdido: a espiritualidade cristã nesta mudança de milênio», in L. C. Susin (org.), Sarça ardente. Teologia na América Latina: prospectivas, Soter-Paulinas, São Paulo 2000, p. 435.
[5] Cf. M. Barros, «À procura do encanto perdido: a espiritualidade cristã nesta mudança de milênio», in L. C. Susin (org.), Sarça ardente. Teologia na América Latina: prospectivas, Soter-Paulinas, São Paulo 2000, p. 436.
[6] Cf. G.B. Montini, «S. Francesco Saverio uomo di desiderio e di preghiera. La spiritualità di un grande missionario», “Fede e Civiltà” 61 (10/1963) 74-76. La frase viene comunemente attribuita a Francesco Palio.
[7] Cf. Xavier Léon Dufour, Francesco Saverio. Vita avventurosa e dimensione mistica dell'apostolo delle Indie primo missionario gesuita, Piemme 1995.
[8] Cf. Es 20,17: «Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo».
[9] Cf. F. Dalla Vecchia, «Non desiderare…», in “Quaderni Teologici del Seminario di Brescia”, Desiderio, Morcelliana, Brescia 2018, pp. 115-134.
[10] Cf. G.B. Montini, «S. Francesco Saverio uomo di desiderio e di preghiera. La spiritualità di un grande missionario», “Fede e Civiltà” 61 (10/1963) 74-75.
[11] G.B. Montini, «S. Francesco Saverio uomo di desiderio e di preghiera. La spiritualità di un grande missionario», “Fede e Civiltà” 61 (10/1963) 75.
[12] Cf. R. Maiolini, «Desiderium naturale… Dei? Per una teologia fondamentale che ripensi la relazione tra desiderio, fede e Dio», in “Quaderni Teologici del Seminario di Brescia”, Desiderio, Morcelliana, Brescia 2018, pp. 79-113.
[13] Cf. Mt 13,44-46: “Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”.
[14] G.B. Montini, «S. Francesco Saverio uomo di desiderio e di preghiera. La spiritualità di un grande missionario», “Fede e Civiltà” 61 (10/1963) 75-76.
[15] Cf. M. Zani, «Sul desiderante: essere di desiderio e desiderio d’essere», in “Quaderni Teologici del Seminario di Brescia”, Desiderio, Morcelliana, Brescia 2018, pp. 11-45.
[16] Cf. A. Gazzoli, «Desiderare la vita beata. Spunti di riflessione a partire dalla “Lettera a Proba” di San’Agostino di Ippona», in “Quaderni Teologici del Seminario di Brescia”, Desiderio, Morcelliana, Brescia 2018, pp. 135-152.
[17] Cf. Mt 10,9-10: «Non procuratevi oro, né argento, né moneta di rame nelle vostre cinture, né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché l’operaio ha diritto al suo nutrimento».
[18] Testimonianza del padre Teixeira, cit. in S. Francesco Saverio, Le lettere e altri documenti, Città Nuova, Roma 1991, p. 37.
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