Skip to main content

La testimonianza come martirio

1435/500

Giornata dei Martiri Saveriani

Il prossimo 14 di ottobre, secondo venerdì del mese missionario, celebriamo la Giornata dei Martiri Saveriani. Come Famiglia Carismatica Saveriana, siamo invitati a fare memoria grata dei nostri confratelli e delle nostre sorelle martiri, piccolo drappello all’interno della moltitudine di martiri del Vangelo. La loro testimonianza ci ricorda che la consacrazione missionaria è inseparabile dal martirio.

Offriamo questa riflessione di Antonio Russo, che prendendo spunto da un libro di Eberhard Schockenhoff, si chiede «come e se il tema della vocazione al martirio abbia un senso anche per altri, per la fede e la vita di tutti i cristiani e della Chiesa intera». (Redazione)

Nell’ormai lontano 1973, il gesuita Xavier Tilliette, parlando di un famoso «Convegno Castelli» che si era tenuto l’anno prima a Roma — con la partecipazione, oltre che dello stesso Tilliette, fra gli altri di Ricoeur, Levinas, Gadamer, Rahner, Vattimo, Ellul, Marcel — scriveva che la nozione di testimonianza è stata demonetizzata attraverso un uso abusivo e sconsiderato del termine. Per recuperarne il senso originario, occorre tener presente che per un cristiano «Gesù Cristo è il testimone fedele e veridico e i suoi discepoli sono i suoi testimoni». E i martiri sono, secondo l’etimologia del termine, dei testimoni, anzi i testimoni per eccellenza, tanto che in essi la testimonianza trova il suo compimento. Ma qual è la sua accezione non lata, nei suoi caratteri principalissimi?

Su questo tema si concentra il pregevole volume, «Fermezza e resistenza. La testimonianza di vita dei martiri» (Queriniana, Brescia, 2017), di Eberhard Schockenhoff, professore all’Università di Freiburg, una delle figure più affermate nel panorama teologico contemporaneo, deceduto nel luglio 2020. …

Può il tema della vocazione al martirio avere un senso «anche per altri, per la fede e la vita di tutti i cristiani e della Chiesa intera»?

Per mettere a fuoco e valutare questo aspetto, occorre sottrarre i martiri dalla sfera meramente celebrativa, e avere una rappresentazione precisa dei loro propositi di uomini di fede, nella loro vita concreta. Nel suo libro, Schockenhoff riconosce che i martiri «sono ammonitori scomodi», manifestano tratti di una durezza sconcertante, che nella società attuale provoca «in molti uno strano malessere» (pag. 26). Proprio questo disagio è uno dei motivi di fondo che giustificano e rendono più che mai necessaria una teologia del martirio, che si spinga al di là della pura e semplice ricerca storico-antropologica, per così acquistare consapevolezza del senso del sacrificio della vita dei martiri, e poi individuare e mettere in chiaro «i moventi che guidarono i martiri di tutti tempi» (pag. 31).

Il punto di volta obbligato, su cui innestare altre considerazioni, è costituito dalla concezione che i primi cristiani avevano dei martiri, cioè dell’idea di «una strettissima unione a Cristo, come il compimento non solo del suo amore perfetto, ma anche della sua cruenta morte sulla croce» (pag. 37). Questa visione, fondata sui testi biblici, nel corso della storia si è diramata in varie configurazioni e ha conosciuto ampliamenti, trasformazioni … fino al concilio Vaticano II (Lumen gentium, 42, 3) dove si parla di martirio, accettato liberamente, come «suprema probatio caritatis» (suprema prova di carità). Infine, non pochi martiri moderni, come Massimiliano Kolbe, hanno reso «una testimonianza speciale dell’amore seguendo il modello biblico di Stefano (cfr. Atti, 7, 55-60), perdonando i loro carnefici e pregando per loro» (pag. 135). … … …

Alcune considerazioni:

  1. La confessione di fede e l’impegno per la realizzazione del regno di Dio non possono essere visti come due realtà disgiunte tra di loro. Per le prime comunità cristiane la testimonianza non era un affare esclusivamente privato, ma richiedeva una confessione pubblica, con evidenti ripercussioni, anche di tipo politico, sulla vita pubblica dei fedeli, in netto contrasto con la concezione totalitaria «del culto romano dell’imperatore, e reclamava contro di esso il diritto di Dio all’obbedienza degli uomini» (pag. 221). Tutto ciò si intrecciava e si combinava, a sua volta, con l’annuncio del regno di Dio e della sua giustizia (Matteo, 6, 33) e il Discorso della montagna, con la sua obbligazione morale a favore dell’impegno per la giustizia, che poteva condurre anche al martirio, alla persecuzione e alla morte, come Gesù stesso aveva annunciato e incarnato esemplarmente nella sua persona.
  2. L’impegno per la realizzazione del regno di Dio, «dopo l’attestazione della fede nella creazione [...] deve essere visto come seconda motivazione fondamentale della concezione teologica del martirio. I perseguitati a causa della giustizia possono quindi legittimamente essere definiti martiri nel senso proprio e “qualificati testimoni di Cristo”» (pag. 222).
  3. Occorre tenere nella massima considerazione la coappartenenza tra amore di Dio e amore del prossimo, come emerge da tutti i testi del Nuovo Testamento, che non ammette eccezioni e si traduce in una «intima unione tra amore di Dio e amore del prossimo» (pag. 223). In proposito, per Schockenhoff, san Tommaso, nel suo commento alla Lettera ai Romani, riconosce a chiare lettere che «per Cristo non soffre solo chi soffre per la fede in Cristo, ma anche colui che per amore di Cristo soffre per qualsiasi opera della giustizia» (pag. 228). … …

È possibile qualificare il martirio racchiudendolo solo all’interno del cristianesimo o è possibile intendere il termine in senso più ampio?

Il Vaticano II, in Lumen gentium 16, trattando del rapporto Chiesa-non cristiani, dice che tutti sono ordinati alla salvezza e che perciò il disegno salvifico abbraccia non soltanto coloro a cui furono dati per primi i due Testamenti, ma «anche coloro che riconoscono il Creatore» e si impegnano a «compiere con le opere la volontà di Dio». Si può, quindi, a ragione per Schockenhoff, affermare che «anche non cristiani, per mezzo della loro fedeltà alla coscienza e del loro energico impegno a favore della giustizia e della pace, possono compiere atti di amore di Dio che consentono di definire martirio il loro volontario morire. Si può allora parlare con Karl Rahner di stili variabili del martirio e distinguere il martirio subito per la giustizia o per altre convinzioni morali» (pag. 231). … …

Per Schockenhoff, qual è l’insegnamento che possiamo trarre oggigiorno dai martiri?

  1. «La speranza cristiana nella vittoria della vita passa attraverso la croce e la morte, non le tocca soltanto di striscio» (pag. 241).
  2. La memoria dei martiri ci fa acquistare consapevolezza del fatto, rinsaldando così la fede dei singoli e della comunità, che ci sono state persone che hanno respinto la via comoda dell’adattamento, orientando le loro azioni verso istanze di religiosa assolutezza.
  3. L’esempio di vita dei martiri, quale emerge nella libera accettazione per Cristo del dolore e della morte violenta, ci mostra e dimostra che la speranza cristiana supera e realizza pienamente le contingenti situazioni esterne.
  4. E così la loro testimonianza può essere presa come riferimento costante per la difesa di un «impegno personale dei fedeli a testimoniare Cristo nella propria vita e a non desistere nella dedizione per la causa per la quale i martiri morirono» (pag. 244).

Privato di questi suoi tratti, il termine testimonianza/martirio verrebbe a essere singolarmente impoverito, proprio nel suo significato più genuino e si risolverebbe in una sistematica negazione dei concetti fondamentali del cristianesimo.

 

 

Leggi qui l’articolo completo di Antonio Russo

 


Le témoignage comme martyre

Journée des martyrs xavériens

Le 14 octobre, deuxième vendredi du mois missionnaire, nous célébrons la Journée des martyrs xavériens. En tant que Famille Charismatique Xavérienne, nous sommes invités à nous souvenir avec reconnaissance de nos frères et sœurs martyrs, un petit groupe parmi la multitude des martyrs de l’Évangile. Leur témoignage nous rappelle que la consécration missionnaire est inséparable du martyre.

Nous vous proposons cette réflexion d’Antonio Russo qui, s’inspirant d’une publication d’Eberhard Schockenhoff, se demande « comment et si le thème de la vocation au martyre a aussi un sens pour les autres, pour la foi et la vie de tous les chrétiens et de toute l’Église ». (Comité éditorial)

En 1973, le jésuite Xavier Tilliette, parlant d’un célèbre "Congrès Castelli" qui s’était tenu l’année précédente à Rome – où il avait participé avec Ricoeur, Levinas, Gadamer, Rahner, Vattimo, Ellul, Marcel - a écrit que la notion de témoignage a été dévalorisée par une utilisation abusive et imprudente du terme. Pour retrouver son sens originel, il faut garder à l’esprit que pour un chrétien « Jésus-Christ est le témoin fidèle et véridique et ses disciples sont ses témoins ». Et les martyrs sont, selon l’étymologie du terme, des témoins, voire les témoins par excellence, si bien que le témoignage trouve en eux son accomplissement. Mais quel est son sens direct, dans ses caractères les plus propres du terme ?

Sur ce thème se concentre le précieux volume, « Fermeté et résistance. Le témoignage de vie des martyrs » (Queriniana, Brescia, 2017), écrit par Eberhard Schockenhoff, professeur à l’Université de Fribourg, l’une des figures les plus réussies de la scène théologique contemporaine, décédé en juillet 2020. ...

Le thème de la vocation au martyre peut-il avoir un sens « aussi pour les autres, pour la foi et la vie de tous les chrétiens et de toute l’Église » ?

Pour focaliser et évaluer cet aspect, il est nécessaire de sortir les martyrs de la sphère purement célébrative, et d’avoir une représentation précise de leurs finalités d’hommes de foi, dans leur vie concrète. Dans son livre, Schockenhoff reconnaît que les martyrs "sont des avertisseurs gênants" (ammonitori scomodi), ils manifestent des traits d’une dureté déconcertante, ce qui dans la société actuelle provoque "un étrange malaise chez beaucoup" (p. 26). C’est précisément ce malaise qui est l’une des raisons fondamentales qui justifient et rendent plus nécessaire que jamais une théologie du martyre, qui va au-delà de la pure et simple recherche historico-anthropologique, afin d’acquérir une conscience du sens du sacrifice de la vie des martyrs, puis d’identifier et de clarifier « les mobiles qui ont guidé les martyrs de tous les temps » (p. 31).

Le tournant obligé, sur lequel greffer d’autres considérations, est constitué par la conception que les premiers chrétiens se faisaient des martyrs, c’est-à-dire de l’idée « d’une union très étroite avec le Christ, comme accomplissement non seulement de son parfait amour, mais aussi de sa mort sanglante sur la croix » (p. 37). Au cours de l’histoire, cette vision, fondée sur des textes bibliques, s’est diversifiée en plusieurs configurations et a subi des extensions, des transformations... jusqu’au Concile Vatican II (Lumen gentium, 42, 3) qui parle du martyre, librement accepté, comme suprema probatio caritatis (preuve suprême de charité). Enfin, de nombreux martyrs modernes, comme Maximilien Kolbe, ont donné « un témoignage d’amour particulier sur le modèle biblique d’Etienne (cf. Actes, 7,55-60), en pardonnant à leurs bourreaux et en priant pour eux » (p. 135). ...

Quelques considérations :

  1. La confession de foi et l’engagement pour la réalisation du royaume de Dieu ne peuvent être considérés comme deux réalités séparées l’une de l’autre. Pour les premières communautés chrétiennes, le témoignage n’était pas une affaire exclusivement privée, mais nécessitait une confession publique, avec des répercussions évidentes, même de nature politique, sur la vie publique des fidèles, à l’opposé de la conception totalitaire « du culte romain de l’empereur, et il revendiquait contre lui le droit de Dieu à l’obéissance des hommes » (p. 221). Tout cela était entrelacé et combiné, tour à tour, avec la proclamation du royaume de Dieu et sa justice (Mt 6,33) et le Sermon sur la montagne, avec son obligation morale en faveur de l’engagement pour la justice, qui pouvait aussi conduire au martyre, à la persécution et à la mort, comme Jésus lui-même l’avait annoncé et incarné de manière exemplaire en sa personne.
  2. L’engagement pour la réalisation du royaume de Dieu, « après l’attestation de foi dans la création [...] doit être vu comme la deuxième motivation fondamentale de la conception théologique du martyre. Les personnes persécutées pour la justice peuvent donc légitimement être définies comme des martyrs au sens propre et des témoins qualifiés du Christ » (p. 222).
  3. La co-appartenance entre l’amour de Dieu et l’amour du prochain doit être prise en considération, comme il ressort de tous les textes du Nouveau Testament, qui n’admet aucune exception et se traduit par une « union intime entre l’amour de Dieu et l’amour du voisin » (p. 223). A cet égard, selon Schockenhoff, saint Thomas, dans son commentaire de la Lettre aux Romains, reconnaît clairement que « pour le Christ non seulement ceux qui souffrent pour la foi au Christ souffrent, mais aussi ceux qui souffrent pour l’amour du Christ œuvre de justice » (p. 228). ...

Est-il possible de qualifier le martyre en l’enfermant uniquement dans le christianisme ou est-il possible d’entendre le terme dans un sens plus large ?

Vatican II, dans Lumen Gentium 16, traitant de la relation entre l’Église et les non-chrétiens, dit que tous sont ordonnés au salut et que, par conséquent, le dessein de salut embrasse non seulement ceux à qui les deux Testaments ont été donnés pour la première fois, mais « aussi ceux qui reconnaissent le Créateur » et s’engagent à « accomplir la volonté de Dieu par des œuvres ». Selon Schockenhoff, on peut donc affirmer à juste titre que « même les non-chrétiens, par leur fidélité à la conscience et leur engagement énergique pour la justice et la paix, peuvent accomplir des actes d’amour de Dieu qui permettent de définir leur mort volontaire comme martyre. On peut alors parler, avec Karl Rahner, de différents styles de martyre et distinguer le martyre subi pour la justice ou pour d’autres convictions morales » (p. 231). ...

Pour Schockenhoff, quel est l’enseignement que l’on peut tirer aujourd’hui des martyrs ?

  1. « L’espérance chrétienne dans la victoire de la vie passe par la croix et la mort ; elle ne les touche pas seulement en passant » (p. 241).
  2. Le souvenir des martyrs nous fait prendre conscience de l’événement, renforçant ainsi la foi des individus et de la communauté, qu’il y a eu des gens qui ont rejeté la voie facile de l’adaptation, dirigeant leurs actions vers des instances d’un absolu religieux.
  3. L’exemple de la vie des martyrs, tel qu’il émerge dans la libre acceptation pour le Christ de la douleur et de la mort violente, nous montre et démontre que l’espérance chrétienne surmonte et réalise pleinement les situations extérieures contingentes.
  4. Et ainsi leur témoignage peut être pris comme une référence constante pour la défense d’un « engagement personnel des fidèles à témoigner du Christ dans leur propre vie et à ne pas lâcher dans le dévouement à la cause pour laquelle les martyrs sont morts » (p. 244).

Privé de ces traits, le terme témoin/martyre s’en trouverait singulièrement appauvri, précisément dans son sens le plus authentique et aboutirait à un déni systématique des concepts fondamentaux du christianisme.

Lisez l’article complet d’Antonio Russo ici


O testemunho como martírio

Jornada dos Mártires Xaverianos

No dia 14 de outubro, segunda sexta-feira do mês missionário, celebramos o Dia dos Mártires Xaverianos. Como Família Carismática Xaveriana, somos convidados a fazer uma grata memória de nossos irmãos e irmãs mártires, um pequeno grupo dentro da multidão de mártires do Evangelho. Seu testemunho nos lembra de que a consagração missionária é inseparável do martírio. Oferecemos esta reflexão de Antonio Russo, que, a partir de uma publicação de Eberhard Schockenhoff, pergunta "como e se o tema da vocação ao martírio faz sentido também para os outros, para a fé e a vida de todos os cristãos e de toda a Igreja". (Redação)

No distante 1973, o jesuíta Xavier Tilliette, falando de um famoso "Convegno Castelli" realizado no ano anterior em Roma - com a participação, além do próprio Tilliette, entre outros de Ricoeur, Levinas, Gadamer, Rahner, Vattimo, Ellul , Marcel - escreveu que a noção de testemunho foi desmonetizada por meio de um uso abusivo e imprudente do termo. Para recuperar seu significado original, é necessário ter em mente que para um cristão "Jesus Cristo é a testemunha fiel e verdadeira e seus discípulos são suas testemunhas". E os mártires são, segundo a etimologia do termo, testemunhas, aliás, são testemunhas por excelência, tanto que neles o testemunho encontra a sua plenitude. Mas qual é o seu significado profundo, que se revela em suas principais características?

Sobre esse tema se concentra o valioso volume, «Firmeza e resistência. O testemunho de vida dos mártires” (Queriniana, Brescia, 2017), de Eberhard Schockenhoff, professor da Universidade de Freiburg, uma das figuras de maior sucesso no cenário teológico contemporâneo, falecido em julho de 2020. ...

O tema da vocação ao martírio pode ter um significado "também para os outros, para a fé e a vida de todos os cristãos e de toda a Igreja"?

Para focalizar e avaliar este aspecto, é necessário retirar os mártires da esfera puramente celebrativa e ter uma representação precisa de seus propósitos como homens de fé, em sua vida concreta. Em seu livro, Schockenhoff reconhece que os mártires “são advertências incômodas”, manifestam traços de uma dureza desconcertante, que na sociedade atual causa “um estranho mal-estar em muitos” (p. 26). Precisamente esta inquietação é uma das razões fundamentais que justificam e tornam mais do que nunca necessária uma teologia do martírio, que vá além da pura e simples pesquisa histórico-antropológica, para tomar consciência do sentido do sacrifício da vida dos mártires, e depois identificar e esclarecer "os motivos que guiaram os mártires de todos os tempos" (p. 31).

O ponto de inversão obrigatório, sobre a qual enxertar outras considerações, é constituído pela concepção que os primeiros cristãos tinham dos mártires, ou seja, da ideia de "uma união muito estreita com Cristo, como realização não só do seu perfeito amor, mas também da sua morte sangrenta na cruz" (p. 37). Esta visão, fundada em textos bíblicos, ao longo da história, ramificou-se em várias configurações e sofreu extensões, transformações ... até o Concílio Vaticano II (Lumen gentium, 42, 3) onde se fala de martírio, livremente aceito, como "suprema probatio caritatis" (suprema prova de caridade). Finalmente, não poucos mártires modernos, como Maximiliano Kolbe, deram "um testemunho especial de amor segundo o modelo bíblico de Estêvão (cf. Atos 7, 55-60), perdoando os seus algozes e rezando por eles" (p. 135). ...

Algumas considerações:

  1. A confissão de fé e o compromisso com a realização do reino de Deus não podem ser vistos como duas realidades separadas uma da outra. Para as primeiras comunidades cristãs, o testemunho não era um assunto exclusivamente privado, mas exigia uma confissão pública, com evidentes repercussões, mesmo de natureza política, na vida pública dos fiéis, em forte contraste com a concepção totalitária "do culto romano do imperador, e reivindicava contra ele o direito de Deus à obediência dos homens” (p. 221). Tudo isso se entrelaçava e combinava, por sua vez, com a proclamação do reino de Deus e sua justiça (Mateus 6,33) e o Sermão da Montanha, com sua obrigação moral em favor do compromisso com a justiça, que podia levar até mesmo ao martírio, à perseguição e à morte, como o próprio Jesus havia anunciado e encarnado exemplarmente em sua pessoa.
  2. O compromisso com a realização do reino de Deus, "após a atestação da fé na criação [...] deve ser visto como a segunda motivação fundamental da concepção teológica do martírio. As pessoas perseguidas por causa da justiça podem, portanto, ser legitimamente definidas como mártires em sentido próprio e "testemunhas qualificadas de Cristo" "(p. 222).
  3. A correlação entre amor a Deus e amor ao próximo deve ser levada em máxima consideração, como decorre de todos os textos do Novo Testamento, que não admite exceções e se traduz numa "união íntima entre o amor de Deus e o amor ao próximo" (página 223). A este respeito, segundo Schockenhoff, São Tomás, no seu comentário à Carta aos Romanos, reconhece claramente que "por Cristo sofrem não só os que sofrem pela fé em Cristo, mas também os que por amor de Cristo sofrem por qualquer obra de justiça” (Pág. 228). ... ...

É possível qualificar o martírio encerrando-o apenas no interno do cristianismo ou é possível entender o termo em um sentido mais amplo?

O Vaticano II, na Lumen Gentium 16, tratando da relação entre a Igreja e os não cristãos, diz que todos são ordenados à salvação e que, portanto, o plano salvífico abrange não só aqueles a quem os dois Testamentos foram dados em primeiro lugar, mas "também aqueles que reconhecem o Criador" e se comprometem a "realizar a vontade de Deus com as obras". De acordo com Schockenhoff, portanto, pode-se afirmar com razão que “mesmo os não cristãos, por meio de sua fidelidade à consciência e seu compromisso enérgico com a justiça e a paz, podem realizar atos de amor a Deus que permitem definir como martírio a sua morte voluntária. Se pode então afirmar com Karl Rahner a existência de estilos variados de martírio e distinguir, entre eles, o martírio sofrido por justiça ou por outras convicções morais” (p. 231). ... ...

Para Schockenhoff, qual é o ensinamento que podemos tirar hoje dos mártires?

  1. "A esperança cristã na vitória da vida passa em cheio pela cruz e pela morte, não as atinge apenas de leve" (p. 241).
  2. A memória dos mártires nos faz tomar consciência do fato, fortalecendo assim a fé dos indivíduos e da comunidade, que houve pessoas que rejeitaram o caminho da comodidade, orientando religiosamente todas as suas ações em direção ao absoluto.
  3. O exemplo da vida dos mártires, tal como emerge na livre aceitação por Cristo da dor e da morte violenta, nos mostra e demonstra que a esperança cristã supera e realiza plenamente as situações externas e contingentes da vida.
  4. E assim o seu testemunho pode ser tomado como referência constante para a defesa de um "compromisso pessoal dos fiéis de dar testemunho de Cristo na própria vida e de não desistir de dedicar-se à mesma causa pela qual morreram os mártires" ( página 244).

Desprovido desses traços, o termo testemunho/martírio ficaria singularmente empobrecido, justamente em seu sentido mais genuíno e resultaria em uma negação sistemática dos conceitos fundamentais do cristianismo.

Leia o artigo completo de Antonio Russo aqui

 


El testimonio como martirio

Jornada de los Mártires Javerianos

El próximo 14 de octubre, segundo viernes del mes misionero, celebramos la Jornada de los Mártires Javerianos. Como Familia Carismática Javeriana, estamos invitados a recordar con gratitud a nuestros hermanos y hermanas mártires: un pequeño grupo dentro de la multitud de mártires del Evangelio. Su testimonio nos recuerda que la consagración misionera es inseparable del martirio.

Ofrecemos esta reflexión de Antonio Russo, quien, inspirándose en una publicación de Eberhard Schockenhoff, se pregunta «cómo y si el tema de la vocación al martirio tiene sentido también para los demás, para la fe y la vida de todos los cristianos y de toda la Iglesia» (Redacción).

En el ya lejano 1973, el jesuita Xavier Tilliette, hablando de un famoso “Congreso Castelli” que se había celebrado el año anterior en Roma - con la participación, además del propio Tilliette, de Ricoeur, Levinas, Gadamer, Rahner, Vattimo, Ellul, Marcel, entre otros - escribía que la noción de testimonio ha sido devaluada por un uso abusivo y desconsiderado del término. Para recuperar su sentido original, hay que tener en cuenta que para un cristiano «Jesucristo es el testigo fiel y veraz y sus discípulos son sus testigos». Y los mártires son, según la etimología del término, testigos, más aún, testigos por excelencia, hasta el punto de que en ellos el testimonio encuentra su plenitud. Pero, ¿cuál es su significado no alargado, en sus principales características?

Este es el tema central del valioso volumen «Fermezza e resistenza. La testimonianza di vita dei martiri» (Queriniana, Brescia, 2017), de Eberhard Schockenhoff, profesor de la Universidad de Friburgo, una de las figuras más consolidadas del panorama teológico contemporáneo, fallecido en julio 2020.

¿Puede tener sentido el tema de la vocación al martirio «también para otros, para la fe y la vida de todos los cristianos y de toda la Iglesia»?

Para enfocar y valorar este aspecto, es necesario sacar a los mártires del ámbito meramente celebrativo, y tener una representación precisa de sus intenciones como hombres de fe, en su vida concreta. En su libro, Schockenhoff reconoce que los mártires «son amonestadores incómodos», que manifiestan rasgos de una dureza desconcertante, que en la sociedad actual provoca «una extraña incomodidad en muchos» (p. 26). Precisamente esta incomodidad es una de las razones de fondo que justifican y hacen más necesaria que nunca una teología del martirio, que vaya más allá de la mera investigación histórico-antropológica, a fin de tomar conciencia del sentido del sacrificio de la vida de los mártires, y luego identificar y aclarar «los motivos que guiaron a los mártires de todos los tiempos» (p. 31).

El punto clave obligado, sobre el cual agregar otras consideraciones, es la concepción que tenían los primeros cristianos sobre los mártires, es decir, la idea de «una unión muy estrecha con Cristo, como cumplimiento no sólo de su amor perfecto, sino también de su muerte cruenta en la cruz» (p. 37). Esta visión, basada en los textos bíblicos, se ha difundido a lo largo de la historia en diversas configuraciones y ha sufrido ampliaciones, transformaciones... hasta llegar al Concilio Vaticano II (Lumen Gentium, 42, 3) donde se habla de martirio, libremente aceptado, como «suprema probatio caritatis» (prueba suprema de caridad). En fin, no pocos mártires modernos, como Maximiliano Kolbe, han dado «un especial testimonio de amor siguiendo el modelo bíblico de Esteban (cfr. Hechos, 7, 55-60), perdonando a sus verdugos y rezando por ellos» (p. 135). [...]

Algunas consideraciones

  1. La confesión de fe y el compromiso por la realización del reino de Dios no pueden considerarse dos realidades distintas entre sí. Para las primeras comunidades cristianas, el testimonio no era un asunto exclusivamente privado, sino que exigía una confesión pública, con evidentes repercusiones, incluso políticas, en la vida pública de los fieles, en claro contraste con la concepción totalitaria «del culto romano al emperador, y reclamaba ante éste el derecho de Dios a la obediencia de los hombres» (p. 221). Todo esto se entrelazaba y combinaba, a su vez, con el anuncio del reino de Dios y su justicia (Mt. 6,33) y el Sermón de la Montaña, con su obligación moral de compromiso con la justicia, que podía llevar incluso al martirio, la persecución y la muerte, como Jesús mismo lo había anunciado y encarnado ejemplarmente en su persona.
  2. El compromiso por la realización del reino de Dios, «después de la declaración de fe en la creación [...] debe considerarse como la segunda motivación fundamental de la concepción teológica del martirio. Por lo tanto, los perseguidos por causa de la justicia pueden ser definidos legítimamente como mártires en sentido propio y «testigos cualificados de Cristo» (p. 222).
  3. Hay que tener muy en cuenta la pertenencia mutua entre amor a Dios y amor al prójimo, como se desprende de todos los textos del Nuevo Testamento, que no admite excepciones y se traduce en una «íntima unión entre el amor a Dios y el amor al prójimo» (p. 223). A este respecto, para Schockenhoff, Santo Tomás, en su comentario a la Epístola a los Romanos, reconoce claramente que «por Cristo no sufre sólo el que sufre por la fe en Cristo, sino también el que por amor a Cristo sufre por cualquier obra de justicia» (p. 228). […]

¿Es posible calificar el martirio encerrándolo sólo en el cristianismo o es posible entender el término en un sentido más extenso?

El Vaticano II, en la Lumen Gentium 16, al tratar sobre la relación entre la Iglesia y los no cristianos, dice que todos están ordenados a la salvación y que, por tanto, el plan salvífico abraza no sólo a aquellos a los que los dos Testamentos fueron dados por primera vez, sino «también a aquellos que reconocen al Creador» y se comprometen a «cumplir la voluntad de Dios con sus obras». Por lo tanto, para Schockenhoff, se puede afirmar con razón que «incluso los no cristianos, por su fidelidad a la conciencia y su compromiso perseverante con la justicia y la paz, pueden realizar actos de amor a Dios que permitan definir su muerte voluntaria como martirio». Se puede hablar entonces con Karl Rahner de estilos variables de martirio y distinguir el martirio sufrido por la justicia o por otras convicciones morales» (p. 231). […]

¿Cuál es la lección que podemos extraer de los mártires de hoy, para Schockenhoff?

  1. «La esperanza cristiana en la victoria de la vida pasa a través de la cruz y la muerte, éstas la afectan no sólo en lo superficial» (p. 241).
  2. El recuerdo de los mártires nos hace conscientes del hecho, reforzando así la fe de los individuos y de la comunidad, de que hubo personas que rechazaron el camino cómodo de la adaptación, dirigiendo sus acciones hacia instancias de radicalidad religiosa.  
  3. El ejemplo de vida de los mártires, tal como surge en su libre aceptación por Cristo del dolor y la muerte violenta, nos muestra y demuestra que la esperanza cristiana supera y realiza plenamente las situaciones externas contingentes.
  4. Y así su testimonio puede ser tomado como referencia constante para la salvaguarda de un «compromiso personal de los fieles de dar testimonio de Cristo en su propia vida y de no desistir en su entrega a la causa por la que murieron los mártires» (p. 244).

Privado de estos rasgos, el término testimonio/martirio quedaría singularmente empobrecido en su significado más genuino y se concluiría en una negación sistemática de los conceptos fundamentales del cristianismo.

El artículo completo de Antonio Russo puede leerse aquí 

Antonio Russo
07 Ottobre 2022
1435 visualizzazioni
Disponibile in
Tag

Link &
Download

Area riservata alla Famiglia Saveriana.
Accedi qui con il tuo nome utente e password per visualizzare e scaricare i file riservati.