Skip to main content

Loro non hanno tradito

1943/500

Il martirio, oggi, non è di moda. Se ne parla poco persino in Chiesa. Certo, chi entra in una chiesa quasi sempre incontra immagini di santi martiri del passato, mentre, lungo l’anno, la liturgia che lì si celebra fa memoria ricorrente del loro martirio. Ma, a ben guardare, il martirio non è un argomento frequente nei discorsi e nelle omelie.

Il martirio non attrae la cultura contemporanea, specie quella occidentale. Per essa non sembrano più esistere valori universali, né amore a cui legare tutta l’esistenza, né un Dio a cui donare tutto se stessi.

Il martirio puzza di vecchio e stantio. I cosiddetti martiri della patria, quelli onorati dalla retorica nazionalista, spesso sanno di ridicolo perché risultano vite sprecate per ideali superati dall’evolversi della storia. Eppure molti di essi erano sinceramente e generosamente impegnati a migliorare le sorti del loro popoli.

La gente arriva a disprezzare il martirio quando questo nome è usato per celebrare terroristi che si fanno esplodere tra folle innocenti. Si finisce per considerarlo un epifenomeno del radicalismo religioso e nazionalista.

La domanda perentoria “Non vorrete creare dei martiri?”, che nel linguaggio comune viene posta al fine di scongiurare la diffusione di certi modelli di comportamento che sono fuori dalle norme o antisociali, in realtà nasconde un pregiudizio verso l’esperienza del martirio.

Noi cristiani dobbiamo riappropriarci della parola martirio e riscoprire i martiri della fede.

Il morire per Cristo è la testimonianza suprema della fede perché assimila il credente a Gesù stesso che muore innocente sulla croce. E come Cristo rinuncia a rispondere a Pilato per parlare, invece, con il dono della sua stessa vita, così il martire afferma la verità del dono fatto da Cristo col morire egli pure per Lui. L’accettare la morte per Cristo è la prova della fede nella sua resurrezione, una fede mossa dall’amore per Lui. Infatti, è il rapporto con Cristo che spiega il martirio cristiano; restare fedeli al Signore è l’unico motivo per accettare di morire per Lui, così come il Signore è stato fedele e ha sacrificato se stesso per noi.

I martiri sono stati nella maggior parte dei casi delle creature fragili, ma nella loro debolezza risplende l’onnipotenza di Dio che, attraverso la loro testimonianza, continuamente provoca l’umanità alla conversione e sostiene la vita della Chiesa. In questo sta la vittoria dei martiri: il loro sangue genera nuovi cristiani e rinnova la vita della Chiesa. 

Questa forma di testimonianza suprema è una chiamata che il Signore potrebbe fare nell’esistenza di ciascuno di noi. In molti paesi, dove i cristiani sono perseguitati, questa è una prospettiva ben presente. Tuttavia, eventi recenti ci ricordano che perfino nella tranquilla e libera Europa non è da escludere la possibilità di essere chiamati a versare il proprio sangue e la propria vita per Cristo.

Sappiamo che San Guido M. Conforti ha riflettuto a lungo sul martirio. In un primo tempo lo ha addirittura presentato ai missionari come una meta gloriosa, per cui le prime generazioni di saveriani cantavano “laggiù, del martirio, la palma gloriosa noi sospiriam.” Poi, invece, la sua riflessione si è concentrata sul morire per Cristo giorno per giorno. Ed è questa la visione che trova espressione nella Lettera Testamento laddove equipara i voti religiosi a “una specie di martirio, a cui, se manca l’intensità dello spasimo, supplisce la continuità di tutta la vita” (LT 2). A ben vedere, le due visioni non si contrappongono. Da una parte, il dover affrontare la morte a causa della propria fede in Cristo è una eventualità prospettataci da Gesù stesso (cf. Gv 16, 1-4); e ci fa bene ricordare questa eventualità perché ci offre un criterio con cui mettere in questione la qualità della nostra fede. D’altra parte, se i martiri non sono andati in cerca della morte ma l’hanno subita, la loro vita è stata però una preparazione al momento in cui il Signore li avrebbe chiamati a lasciarsi sacrificare come “agnello sgozzato”. I martiri erano pronti come un’atleta che si è allenato per la gara finale.

Noi cristiani dobbiamo riscoprire i nostri martiri e presentarli al mondo con orgoglio. Essi infatti hanno donato la vita per un ideale che non muore: per Cristo e l’avvento del suo Regno. Sono questi i veri eroi.

E come famiglia saveriana abbiamo il privilegio di annoverare tra noi fratelli e sorelle che hanno dato testimonianza fino a morire per Gesù. Si tratta di sacerdoti, fratelli, sorelle saveriane e laici, in tutto una ventina di persone, che nella pur breve storia della famiglia saveriana carismatica hanno versato il loro sangue mentre servivano il Vangelo e la Chiesa in Asia, Africa e America Latina.

È importante mantenere viva tra noi la loro memoria, perché è motivo di gratitudine verso Dio che in essi ci conferma di essere presente tra noi (cf. Mt 10,19-20). Il loro ricordo – e alcuni li abbiamo conosciuti personalmente – ci rassicura che anche noi, con l’aiuto del Signore, possiamo essere fedeli fino in fondo. Ma mantenere viva la memoria non significa semplicemente ricordare. I martiri vivono in comunione con noi e partecipano alla nostra vita. Il loro sacrificio ha dato frutti che continuano fino ad oggi attraverso la loro comunione e la loro intercessione. I nostri martiri sono una risorsa a cui possiamo fare ricorso con sicurezza. Loro non hanno tradito.


They have never betrayed

Martyrdom, today, is out of fashion. Even the Church seldom talks about it. To be sure, whoever enters a church will almost invariably meet images of saint martyrs from the past, while along the year the liturgy that is celebrated in that place will recurrently remember their martyrdom. However, at a closer glimpse, one discovers that martyrdom is not a frequent topic of discussion or of homilies.

Martyrdom is not appealing to contemporary culture, especially to Western culture. It seems that, for this culture, there are no longer universal values, nor a love that binds up an entire existence, nor a God to whom to give one’s whole being.

Martyrdom stinks of old and rot. The so-called martyrs of the motherland, those that nationalistic rhetoric likes to honour, often appear ridiculous because they represent lives wasted in the pursuit of ideals that have become obsolete as history evolved. And, yet, many of those individuals were sincerely and generously committed to improving the destiny of their own peoples.

The public goes as far as to despise martyrdom when this noun is utilised to celebrate terrorists that blow themselves up in the midst of innocent crowds. People end up considering martyrdom to be a by-product of religious radicalism and nationalism.

The peremptory question “You are not going to create some martyrs, are you?”, which in common speech is asked when trying to avert the diffusion of certain models of behaviour that violate the norms or are antisocial, in reality conceals a bias against the experience of martyrdom.

We Christians must reclaim the word martyrdom and rediscover the martyrs for the faith.

Dying for Christ is the supreme witness given to the faith, for in martyrdom the believer conforms to Jesus who, though innocent, died on the cross. As Christ gave up answering Pilate’s questions and instead talked through the gift of his own life, so the martyr affirms the truth of the gift Christ made with his death by dying for Him. Accepting to die for Christ proves the faith in the resurrection, a faith that is put in motion by love for Him. Hence, it is the relation with Christ the reason behind Christian martyrdom. To remain loyal to the Lord is the only motivation for accepting to die for Him, in the same way as the Lord is loyal and sacrifices himself for us.

In the majority of cases, the martyrs were fragile creatures, but God’s omnipotence shines in their weakness, for through their testimony God keeps provoking humanity into conversion and supports the life of the Church. Therein lies the victory of the martyrs: their blood generates new Christians and renews the life of the Church.

Such a supreme form of witness to one’s faith is something the Lord may call anyone of us to give in the course of our existences. In many countries, where Christians are being persecuted, this is a very much concrete possibility. Nevertheless, recent events remind us that even in quiet and free Europe one should not rule out the probability of being called to shed his or her blood and life for Christ.

We know that St. Guido M. Conforti reflected on martyrdom for a long time. At an early stage, he even presented it to his missionaries as a glorious achievement, so much so that the first generations of Xaverians used to sing a song saying “laggiù del martirio la palma gloriosa noi sospiriam” (“there in those lands we aspire to gain the glorious palm of martyrdom”). Later, instead, his reflection concentrated on dying for Christ every day. This is the vision that finds expression in the Testament Letter, where he equates the religious vows to “a kind of martyrdom which, if it lacks the intensity of the supreme agony, is compensated by a life-long gift of self” (TL 2). With hindsight, the two visions do not conflict. On the one hand, having to face death because of one’s faith in Christ is a chance Jesus himself envisaged for us (see Jn 16: 1-4); in fact, it is good for us remembering this possibility, for it provides a criterion for questioning the quality of our faith. On the other hand, although the martyrs did not look for their own death but were brought to it, their lives had been a preparation to that moment when the Lord would have asked them to allow themselves to be “sacrificed like a lamb.” The martyrs were ready, like an athlete who has trained for the final race.

We Christians must rediscover our martyrs and proudly present them to the world. They have given their life for an ideal that does not die: for Christ and the advent of his Reign. These are the true heroes.

As for our Xaverian family, we have the privilege of counting among our ranks brothers and sisters that have been good witnesses to the point of dying for Christ. These include priests, brothers, Xaverian sisters and lay people – altogether around 20 individuals – that in the still short history of the Xaverian charismatic family shed their blood while serving the Gospel and the Church in Asia, Africa and Latin America.

It is vital to keep alive among us their memory, because it is a reason for being grateful to God who, through them, confirms his presence among us (see Mt. 10: 19-20). Remembering them – some of whom we had the chance to know personally – reassures us that we too, with God’s help, can be faithful to the end. However, keeping alive the memory does not simply mean remembering. The martyrs live in communion with us and participate in our lives. Their sacrifice has borne fruits that continue till today through their communion and intercession. Our martyrs are an asset which we can always rely on. They have never betrayed.


Ils n'ont pas trahi

Le martyre n'est pas à la mode aujourd'hui. Même dans l'Église on en parle peu. Bien sûr, ceux qui entrent dans une église rencontrent presque toujours des images de saints martyrs du passé, et tout au long de l'année, la liturgie  y célébrée est un souvenir récurrent de leur martyre. Mais, à y regarder de plus près, le martyre n'est pas un sujet fréquent dans les discours et les homélies.

La culture contemporaine  ne semble pas être attirée par le martyr, en particulier la culture occidentale. Pour la culture occidentale,  il ne semble plus exister de valeurs universelles, ni d'amour auquel  lier toute son existence ou un Dieu auquel   se donner tout entier. Le martyre est considéré  vieux et dépassé. Les soi-disant martyrs de la patrie, ceux honorés par la rhétorique nationaliste, sont  souvent qualifiés de ridicules parce qu'ils ont gaspillé leur vie sur base des idéaux dépassés par l'évolution de l'histoire. Et pourtant, nombreux  d'entre eux s’étaient  engagés avec sincérité et générosité en vue d’améliorer le sort de leurs peuples.

Les gens en viennent à mépriser le martyre lorsque ce nom est utilisé pour célébrer des terroristes qui se font  exploser sur des foules innocentes. On finit à le réduire à un simple épiphénomène du radicalisme religieux et nationaliste. La question péremptoire « Ne voudrez-vous pas créer des martyrs ? », qui dans le langage courant est posée afin d'empêcher la diffusion de certains modèles de comportement insolites ou antisociaux ; en réalité ce langage cache   un préjugé envers l'expérience du martyre. Nous, chrétiens, devons nous approprier  du mot martyre et redécouvrir les martyrs de la foi.

Mourir pour le Christ est le témoignage suprême de la foi car par cet acte, le croyant ressemble/imite  Jésus lui-même qui meurt innocent sur la croix. Et de même que le Christ renonce à répondre à Pilate avec les paroles, mais avec le don de sa propre vie, ainsi le martyr affirme la vérité  du don fait par le Christ en mourant lui-même pour Lui.  Accepter la mort pour le Christ est la preuve de la foi en sa résurrection, une foi mue par l'amour pour Lui. En effet, c'est la relation avec le Christ qui explique le martyre chrétien ; la fidélité au Seigneur est la seule raison d'accepter de mourir pour lui comme Jésus a été fidèle et s'est sacrifié soi-même pour nous.

Les martyrs étaient dans la plupart des cas des créatures fragiles, mais dans leur faiblesse brille la toute-puissance de Dieu qui, par leur témoignage, provoque continuellement l'humanité à la conversion et soutient la vie de l'Église. C'est là que réside la victoire des martyrs : leur sang engendre de nouveaux chrétiens et renouvelle la vie de l'Église.

Cette forme de témoignage suprême est un appel que le Seigneur pourrait faire à chacun de nous. Dans de nombreux pays, où les chrétiens sont persécutés, c'est une réalité très présente. Cependant, les événements récents nous rappellent que même dans une Europe pacifique et libre, la possibilité d'être appelés à verser son sang et  donner sa vie pour le Christ n’est pas exclue.

Nous savons que saint Guido M. Conforti a longuement réfléchi sur le martyre. Dans un premier temps,  il le présenta aux missionnaires comme fin glorieuse, pour laquelle les premières générations de Xavériens chantèrent « laggiù, del martirio, la palama gloriasa noi sospiriam ». Dans un second lieu, au contraire,  sa réflexion  s'est concentrée sur le martyr quotidien : mourir  pour le Christ jour après jour. Et c'est la vision présentée dans la Lettre Testament  où il considère les vœux religieux comme « une sorte de martyre de toute une vie dont la durée supplée à l’intensité de la souffrance si cette dernière fait défaut » (LT 2). A y regarder de plus près, les deux visions ne s'opposent pas. D'une part, affronter la mort à cause de la foi en Jésus Christ est une éventualité que Jésus lui-même nous a proposée (cf. Jn 16, 1-4) ; et cela nous fait du bien de nous souvenir de cette possibilité car elle nous offre un critère pour remettre en question la qualité de notre foi. D’autre part, si les martyrs n'ont pas recherché la mort,  car ils l’ont subie, leur vie a été, pourtant,  une préparation au moment où le Seigneur les aurait appelés à se laisser sacrifier comme un « agneau immolé ». Les martyrs étaient  prêts comme un athlète qui s'entraîne pour la course finale.

Nous, chrétiens, devons redécouvrir nos martyrs et les présenter au monde avec fierté. En fait, ils ont donné leur vie pour un idéal qui ne meurt pas : pour le Christ et l'avènement de son Royaume. Ceux-ci sont les vrais héros.

En tant que famille xavérienne, nous avons le privilège de compter parmi nous des frères et sœurs qui ont témoigné au point de mourir pour Jésus.   Ce sont des prêtres, des frères, des sœurs xavériennes et des laïcs, en tout une vingtaine de personnes, qui, dans la brève histoire de la famille charismatique xavérienne, ont versé leur sang au service de l'Évangile et de l'Église en Asie, en Afrique et en Amérique latine.

Il est important de garder vivant leur souvenir parmi nous, car c'est un motif de gratitude envers Dieu qui, en eux, confirme qu'il est présent parmi nous (cf. Mt 10, 19-20). Leur souvenir - et nous en avons connu personnellement certains - nous rassure que nous aussi, avec l'aide du Seigneur, nous pouvons être fidèles jusqu'au bout. Mais garder vive la mémoire   ne consiste pas seulement à nous  souvenir d’eux. Les martyrs vivent en communion avec nous et participent à notre vie. Leur sacrifice a porté des fruits qui se poursuivent encore aujourd'hui par leur communion et leur intercession. Nos martyrs sont une ressource que nous pouvons utiliser avec confiance. Ils n'ont pas trahi.


Ellos no han traicionado

El martirio no está de moda hoy. Incluso en la Iglesia poco se habla de ello. Por supuesto, quienes entran en una iglesia casi siempre encuentran imágenes de santos mártires del pasado, y durante todo el año, la liturgia es un recuerdo recurrente de su martirio. Pero, visto más de cerca, el martirio no es un tema frecuente en discursos y homilías. 

El martirio no atrae a la cultura contemporánea, especialmente la occidental. Para ésta, parece que ya no existan valores universales, ni amor al que se pueda vincular toda la existencia, ni un Dios al que se pueda entregar todo sí mismo. 

El martirio huele a algo viejo y rancio. Los llamados mártires de la patria, aquellos honrados por la retórica nacionalista, a menudo suenan a algo ridículo, pues resultan ser vidas desperdiciadas en ideales superados por la evolución de la historia. Sin embargo, muchos de ellos se comprometieron sincera y generosamente a mejorar la suerte de sus pueblos. 

La gente llega a despreciar el martirio cuando este nombre se usa para celebrar a los terroristas que se hacen estallar entre multitudes inocentes. Al final, esto es considerado como un epifenómeno del radicalismo religioso y nacionalista. 

La perentoria pregunta “¿No querrás crear mártires?”, que en el lenguaje común se hace para evitar la difusión de ciertos modelos de comportamiento fuera de lo común o antisociales, en realidad esconde un prejuicio hacia la experiencia del martirio. 

Los cristianos deberíamos recuperar la palabra martirio y redescubrir a los mártires de la fe. 

Morir por Cristo es el testimonio supremo de la fe porque asemeja al creyente al mismo Jesús que muere inocente en la cruz. Y así como Cristo renuncia a contestar a Pilato para hablar, por el contrario, con el don de su propia vida, así el mártir afirma la verdad del don hecho por Cristo al morir él también por Él. Aceptar la muerte por Cristo es la prueba de la fe en su resurrección, una fe movida por el amor a Él. De hecho, es la relación con Cristo lo que explica el martirio cristiano; permanecer fiel al Señor es la única razón para aceptar morir por él, así como el Señor fue fiel y se sacrificó por nosotros. 

Los mártires fueron en la mayoría de los casos criaturas frágiles, pero en su debilidad resplandece la omnipotencia de Dios que, a través de su testimonio, continuamente provoca a la humanidad a la conversión y sostiene la vida de la Iglesia. En esto radica la victoria de los mártires: su sangre genera nuevos cristianos y renueva la vida de la Iglesia.

Esta forma de testimonio supremo es un llamado que el Señor podría hacer en la existencia de cada uno de nosotros. En muchos países, donde los cristianos son perseguidos, esta es una perspectiva muy actual. Sin embargo, los acontecimientos recientes nos recuerdan que incluso en la pacífica y libre Europa no se puede excluir la posibilidad de ser llamado a derramar la propia sangre y la propia vida por Cristo.

Sabemos que San Guido M. Conforti reflexionó extensamente sobre el martirio. En un principio incluso lo presentó a los misioneros como una meta gloriosa, por la que las primeras generaciones de Javerianos cantaron “allá lejos, del martirio, la palma gloriosa suspiramos”. Luego, su reflexión se centró en morir por Cristo día a día. Y esta es la visión que encuentra expresión en la Carta Testamento, cuando equipara los votos religiosos a “una especie de martirio en el que la falta de intensidad del tormento está suplida por el hecho de que se prolonga durante toda la vida” (CT 2). 

Viéndolo bien, las dos visiones no se contraponen. Por un lado, tener que afrontar la muerte por la propia fe en Cristo es una eventualidad que nos propuso el mismo Jesús (cfr. Jn 16,1-4); y nos hace bien recordar esta posibilidad porque nos ofrece un criterio con el cual cuestionar la calidad de nuestra fe. Por otro lado, si los mártires no iban en busca de la muerte, sino que la padecían, su vida era, sin embargo, una preparación para el momento en el que el Señor los llamaría a dejarse sacrificar como “cordero degollado”. Los mártires estaban preparados como un atleta que se entrena para la competición final. 

Los cristianos debemos redescubrir a nuestros mártires y presentarlos al mundo con orgullo. Ellos, de hecho, dieron su vida por un ideal que no muere: por Cristo y el advenimiento de su Reino. Estos son los verdaderos héroes. 

Y como familia javeriana tenemos el privilegio de contar entre nosotros a hermanos y hermanas que dieron testimonio hasta morir por Jesús. Son sacerdotes, hermanos, hermanas javerianas y laicos, en total una veintena de personas, que en la breve historia de la familia carismática javeriana derramaron su sangre sirviendo al Evangelio y a la Iglesia en Asia, África y América Latina. 

Es importante mantener vivo su recuerdo entre nosotros, porque es motivo de gratitud a Dios que en ellos nos confirma que está presente entre nosotros (cfr. Mt 10, 19-20). El recuerdo de ellos, y a algunos los hemos conocido personalmente, nos asegura que también nosotros, con la ayuda del Señor, podemos ser fieles hasta el final. Pero mantener viva la memoria no significa sólo recordar. Los mártires viven en comunión con nosotros y participan de nuestra vida. Su sacrificio ha dado frutos que continúan hasta el día de hoy a través de su comunión e intercesión. Nuestros mártires son un recurso al que podemos recurrir con confianza. Ellos no han traicionado.

Bachino sx
01 Ottobre 2021
1943 visualizzazioni
Disponibile in
Tag

Link &
Download

Area riservata alla Famiglia Saveriana.
Accedi qui con il tuo nome utente e password per visualizzare e scaricare i file riservati.