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Per amore del mio popolo non tacerò

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Per amore  del mio popolo non tacerò

Per amore del mio popolo non tacerò è il motto della XXVII Giornata in memoria dei missionari martiri (24 marzo 2019), che ci ricorda non solo il grido antico del profeta Isaia per le sofferenze del suo popolo al ritorno dall’esilio, ma anche quello più recente del vescovo Oscar Romero, ucciso il 24 marzo 1980, per aver denunciato le violenze e le ingiustizie che crocifiggevano il popolo salvadoregno. Un grido sempre attuale, cui si è ispirato nel 1982 un documento della Chiesa campana, per dire “basta!” a tutte le mafie, assumendo il fenomeno camorristico come una domanda dalla quale farsi interpellare nella propria azione pastorale e di evangelizzazione. Questo grido di dolore e amore dei vescovi campani fu recepito pastoralmente soprattutto da un gruppo di preti di Casal di Principe, diocesi di Aversa, con il loro vescovo Gianni Gazza, già prelato di Abaetetuba (Brasile) e superiore generale dei Missionari Saveriani. Essi riuscirono a trovar spazio nelle loro riunioni per interrogarsi sul da farsi nel contesto della guerra di camorra, di morti ammazzati, di paura diffusa, e scrissero a loro volta una lettera di denuncia della camorra, con lo stesso titolo del documento dei vescovi, Per amore del mio popolo non tacerò (25 dicembre 1991). Tra i firmatari don Peppe Diana, già segretario del vescovo Gazza, che il 14 marzo 1982 l’aveva ordinato prete. Il 19 marzo 1994, a poco più di due anni dalla firma di quella lettera, don Peppe sarà ucciso dalla camorra nella sua chiesa parrocchiale.

Ispirati dal grido di Isaia, di mons. Romero e di don Diana, a distanza di qualche decennio, sentiamo più che mai attuale l’appello dei preti di Casal di Principe: “Il nostro impegno profetico di denuncia non deve e non può venire meno”. Non solo per sconfiggere le mafie, ma anche per far fronte alle nuove derive xenofobe, nazionaliste e razziste del nostro paese e dell’Europa. “Dio ci chiama a essere profeti” – scrivevano ancora i preti campani – perché “le nostre Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla realtà”. E non mancavano di rivolgersi anche “ai preti nostri pastori e confratelli”, ai quali chiedevano “di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si richiede una testimonianza coraggiosa”.

Un appello quest’ultimo spesso inascoltato nell’omiletica corrente, tradizionalmente attenta a non addentrarsi nelle pieghe più contorte della storia, con qualche eccezione, come per esempio a Brescia, dove il teologo Giacomo Canobbio, in occasione della festa di S. Angela Merici (27 gennaio 2019) non ha esitato a dire che “[…] celebrare le feste può diventare provocazione per la nostra coscienza e se non lo diventa vuol dire che il nostro cuore si è indurito e […] arriviamo a negare l’umano profondo che c’è in noi, pensando che solo noi dovremmo essere accolti e non le persone più sfruttate e deboli. Non dobbiamo avere paura di dire queste cose e non possiamo neppure dire che questa è politica. Sì, è politica, ma nel senso alto del termine. […] I governanti che abbiamo stanno tradendo la nostra identità e chi vuole effettivamente sentirsi discepolo di Gesù dovrebbe domandarsi se l’approvazione che dà ai governanti non sia il peccato più grosso che si possa compiere. […] Quando si montano le paure si cancella l’umano, che tutti noi vorremmo sperimentare. […] L’impegno educativo che lei [Angela Merici] si è assunta […] non è nient’altro che mostrare a tutti l’atteggiamento dell’accoglienza nel nome di Gesù. E i discepoli di Gesù, coloro che pretendono di esserlo, non possono mai dimenticare questo. Sono provocazioni che […] dovrebbero farci domandare: e io di chi voglio essere discepolo, di un qualche governante che twitta o del Signore Gesù?".

Mario Menin sx

(in: https://www.saveriani.it/missioneoggi/archivio-m-o/item/per-amore-del-mio-popolo-non-tacero)

Mario Menin
06 Aprile 2019
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