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Veronesi P. Mario

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Mario Veronesi
10 Novembre 1912 - Rovereto (Tn)
4 Aprile 1971 - Jessore (Bangladesh)

    Il P. Mario Veronesi era nato a Rovereto (Trento) il 10 novembre 1912 da Germano ed Albina Passamai ed aveva deciso di farsi missionario quando aveva circa 25 anni ed era presidente di giovani di Azione Cattolica ed animatore dell’Oratorio “Rosmini” della sua città.

    In tre anni di studio impegnativo si preparò e superò gli esami di ammissione al liceo e subito dopo (agosto 1941) entrò nel Noviziato Saveriano di S. Pietro in Vincoli (Ravenna), ove emise la sua Prima Professione l’8 settembre 1952. Passato a Parma per il liceo e la teologia, vi dimostrò il suo spirito di sacrificio, la sua capacità di donarsi agli altri, il suo amore alla preghiera. Egli emise in quella sede la sua Professione perpetua il 15 settembre 1945 e vi fu ordinato presbitero il 7 marzo 1948.

    Dovette attendere fino al 17 dicembre 1952 per partire per la Missione. Fu inviato in Bangladesh (allora Pakistan Orientale) nell’attuale diocesi di Khulna. Partì sprovvisto di lauree e di diplomi, ma ricco di un grande cuore, pieno di quel genuino amor di Dio che si esprime in amore per il prossimo e che trovò là l’ambiente adatto per esplodere nella pratica delle opere di misericordia. Né gli mancarono occasioni di farlo soprattutto quando inondazioni, cicloni, carestie devastavano quel Paese. In una di quelle disastrose situazioni non esitò ad alloggiare in chiesa la gente le cui case erano sommerse dalle acque.

    Per quel popolo e per quel paese, dove lo spettro della fame è continuamente incombente, egli si cavò spesso letteralmente il pane di bocca per darlo a qualche affamato e spese ogni giorno le sue energie di Apostolo del Vangelo e di fratello innamorato dei fratelli. La sua carità non aveva limiti. Studiava sempre qualche nuovo progetto per aiutarli a vivere. Fece scavare del serbatoi per l’acqua; procurò della canne di bambù, per chi voleva costruire stuoie o ceste; materiale per fabbricare borse che poi, vendute, davano modo di mantenere le famiglie.

    Il popolo lo stimava, lo amava e lo riteneva un santo ed attribuiva avvenimenti straordinari alla sua preghiera ed alla sua benedizione.

Il Martirio

    Alla sua carità mancava solo la donazione totale della sua persona, ma questa non tardò ad arrivare. L’occasione si presentò quando il 25 marzo 1971 scoppiò in Bangladesh una sanguinosa guerra civile che seminò centinaia di migliaia di morti e causò il più grande esodo di profughi registrato nella storia: circa dieci milioni di persone fuggite nella vicina India.

     Ci furono morti e feriti ovunque fino dal primo giorno e non mancarono nemmeno nella cittadina di Jessore non lontano dalla quale c’era un grosso accampamento militare. Il 3 aprile i missionari di quella località pregarono il P. Veronesi, che si trovava a Shimulia, un villaggio distante una quindicina di chilometri, di andare in loro aiuto per tranquillizzare la gente, soccorrere i feriti, dare una mano per i problemi che si presentavano di momento in momento. 

    Egli non esitò nemmeno un istante e partì immediatamente assieme al P. Cobbe, suo aiutante nella Missione. Quando arrivò a Jessore e si rese conto della gravità della situazione e dei pericoli incombenti, rimandò il P. Cobbe a Shimulia e, pur sapendo dei pericoli a cui andava incontro, decise di non lasciare soli i confratelli, le suore e la gente. 
E restò.

    Il giorno seguente, 4 aprile, Domenica delle Palme, attese alle confessioni per tutta la durata della messa della benedizione delle palme, poi celebrò nella cappella delle suore. Nel pomeriggio si recò nell’ospedale civile per confortare i degenti, prelevare una malata e trasportarla nell’ospedale della missione per un intervento chirurgico. Fu il suo ultimo atto di carità. Dopo aver consegnato la donna alle infermiere, posteggiò l’ambulanza e si accinse ad entrare nella residenza per mangiare un boccone.

   Aveva appena aperto il cancelletto che due soldati pakistani, penetrati nel recinto della missione, lo fermarono puntandogli contro le loro armi. Egli alzò immediatamente le braccia ma, nonostante ciò ed il fatto che portasse visibilmente il bracciale della Croce Rossa, gli spararono brutalmente al cuore. Cadde a terra con la braccia aperte, come un crocefisso.

     Ora la sua salma riposa davanti alla chiesa del villaggio di Shimulia dal quale era partito per il suo generoso atto di carità e la sua tomba é sempre coperta di fiori e visitata da tanta gente che si raccomanda alla sua intercessione.

DG
04 Aprile 1971
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