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La Vocazione: i primi passi...

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LA VOCAZIONE: I PRIMI PASSI…

LE VIE DEL SIGNORE SONO DAVVERO MISTERIOSE E MERAVIGLIOSE!

Grazie alle belle testimonianze di vari confratelli, in particolare della SL, su iSaveriani 86, ho cambiato idea! Non mi sentivo invogliato né ispirato a rispondere al pur caloroso e ripetuto invito di P. Mula a condividere la mia esperienza sulla vita consacrata in quest’anno che papa Francesco ha voluto dedicarle. Ma appunto, la lettura, au hasard in un ‘tempo morto’ (?), di quelle testimonianze mi ha sbloccato e invogliato a dire qualcosa anch’io. Mi fermerò però sulle primissime esperienze per parlare dei ‘primi passi’ vocazionali in senso globale, piuttosto che specificamente della dimensione religiosa. (Per parlare di tutto il cammino… mi ci vorrebbe un tomo grosso grosso… e ancora!).

Comincio con una chiarificazione ‘genetica’…

Come tanti altri saveriani, io da ragazzo di 10-12 anni, volevo ‘farmi missionario’, solo missionario, ‘vero missionario’, quindi ‘lontano’, tra i pagani; non religioso, di cui del resto sapevo poco o nulla. Davo invece per scontato, secondo la mentalità clericale pre-conciliare (e anche dopo!), che per essere un vero missionario dovevo diventare ‘anche’ prete. Dunque missionario, quindi anche prete, ma non religioso: non per esclusione positiva, ma per totale ignoranza della prospettiva.

Naturalmente a partire dal noviziato ho capito sempre meglio che il progetto di vita saveriano, che il Fondatore ha ricevuto carismaticamente per noi e che ci ha proposto chiaramente nelle sue Costituzioni e nella LT, comprende anche la consacrazione religiosa, vissuta per la missione in un’intensa vita di famiglia. Ma l’una de l’altra le ha volute come ‘modalità evangeliche esistenziali’, non come secondi fini!, proprio allo scopo di poter vivere comunitariamente e più radicalmente la dedizione totale allo “scopo ‘unico’ ed ‘esclusivo’” della nostra vita: la missione ad gentes, ad extra, ad vitam!

La consacrazione religiosa non è quindi, per Conforti e per noi saveriani, un’aggiunta o un secondo elemento parallelo alla missione, ma una radicalizzazione della prima e unica vocazione missionaria! Per cui sento sempre fastidio quando si parla di vita missionaria e di vita o consacrazione religiosa, oppure quando si sottolinea a parte la dimensione religiosa, senza finalizzarla direttamente alla finalità missionaria, che sola le dà forma, colore, motivazione, modalità espressive caratteristiche, personali, comunitarie e istituzionali… Ma veniamo al racconto dei primi passi del mio cammino vocazionale missionario.

Come /quando è nata in me la ‘mia vocazione’?

Non saprei proprio dirlo! Me la sono trovata addosso, già chiara, evidente e perentoria, almeno a 9-10 anni. (Che poi gli psicologi non vengano a dirmi che è impossibile a quell’età avere già una percezione chiara di una vocazione!). Penso che anche l’esperienza unica, proprio sui nove anni, dell’esodo ‘biblico’ con tutta la famiglia dal mondo paradisiaco, ma chiuso delle dolomiti, … per sbucare, dopo due notti e un giorno chiusi in un camion e rimorchio, sulle pianure luminose e le colline ampie e fertili della Toscana, mi hanno certamente allargato psicologicamente anche gli orizzonti sul mondo.

Ma senz’altro la ‘chiamata’ stava maturando dentro anche prima. Ricordo infatti (ed altri me l’hanno confermato) che quand’ero ancora lassù sui pascoli delle montagne trentine, quindi tra i 6-8 anni, con la complicità di un carissimo coetaneo (Fabio, poi coadiutore SdB e attualmente ancora missionario in Etiopia) eravamo soliti costruire, nascosti nei boschi, dei piccioli altarini con muschio e scorze d’alberi, su cui facevamo (o piuttosto facevo, perché Fabio si prestava soprattutto da chierichetto) poi delle solenni celebrazioni, omelie incluse, se ben ricordo… Purtroppo un cugino della stessa età, dispettoso, appena li scopriva, distruggeva malvagiamente e regolarmente tutti i nostri piccoli santuari!

“Fin dal ventre di mia madre”?! (Cfr Ger 1,5; Is 49,1)

Ma il più bello, cioè l’origine prima e precocissima della mia vocazione, l’ho saputo molto più tardi. Ma io lì, io c’entravo ancora molto poco! L’ho appreso dalle confidenze intime della mamma sul letto dell’ospedale di Sarteano (SI), nel maggio-giugno 1975, qualche mese prima della sua morte (8 settembre 1975). Mi ha svelato allora un segreto per cui dovrei davvero far mie, con emozione, stupore e in azione di grazie, scusate l’immodestia, ma non posso farci niente, le stesse parole citate sopra. Semmai, a pensarci ora, posso solo trovare lì una spiegazione plausibile della mia strana, incomprensibile sicurezza e testardaggine vocazionale già all’età di 10-12 anni.

Mi ha confidato dunque mamma Maria che, da ragazza, lei voleva seriamente farsi suora missionaria. Ma poi le vicende della vita le avevano fatto incontrare il già 35-36enne Giuseppe, di bella presenza e di belle speranze, unico figlio maschio del ‘re delle Cerede’, per cui si era sposata (i dettagli sono miei; lei mi ha accennato solo al fatto). Ma, aggiungeva lei, la nostalgia o il pensiero delle missioni le restava profondamente impresso nell’animo, e ad ogni figlio che nasceva pregava di cuore che il Signore se lo prendesse come missionario. Ma i figli nascevano, uno dopo l’altro, sani e forti ad alta quota (al Passo Cereda, 1367 m. s/m), ma nessuno che desse il benché minimo segno di aver dentro quella inclinazione.

Ebbene, io sono arrivato l’ottavo sui dieci, dopo cinque fratelli e due sorelle. La mamma mi ha confidato che, quando stava aspettando me, aveva intensificato al massimo la sua insistente e accorata preghiera e la sua ’offerta’ per le missioni, tanto che avrebbe dato una specie di… ultimatum al Signore: o questo o basta! Io sono dunque una prova in più che il Signore non sa proprio resistere agli ’ultimatum’ delle mamme (cfr Gv 2,1-5; santa Elena, ecc. ecc.)!… E così il ‘germe missionario’ me lo son trovato dentro, senza volerlo né saperlo, ma chiarissimo e perentorio, ‘già fin dal seno di mia madre’, anche se l’ho scoperto molto dopo, naturalmente!. (Liberi di non crederci, evidentemente!)

Poi è cresciuto dentro, silenziosamente, oltre che per le preghiere intense di mia madre, anche grazie al clima missionariamente caldo, sia in famiglia che nelle parrocchie di Primiero/TN, specialmente quella di Sagron-Mis, che frequentavamo normalmente in blocco scendendo, anche con la neve alta d’inverno, dal Passo Cereda.

Un altro fattore di crescita vocazionale sono state certamente anche le letture missionarie della poca stampa che mi capitava tra le mani, ma che mi faceva tanto sognare!

Toscana, terra di missione certo, ma…

L’indimenticabile ‘esodo biblico’ della mia famiglia dal Trentino alla Toscana nel 1948 ci/mi introdusse a sorpresa in una terra bellissima, dolce, aperta e fertile, dal punto di vista paesaggistico e agricolo, ma terra terribilmente arida e deserta, dal punto di vista cristiano, e allora tutta infuocata, dal punto di vista socio-politico, da tensioni ideologiche e concrete altissime e potenzialmente violente tra i ‘bianchi’ di De Gasperi e i ‘rossi’ di Togliatti (riedizione moderna delle lotte feroci tra Guelfi e Ghibellini?). Per questo dovemmo del resto rimandare l’esodo dall’aprile all’ottobre 1948, perché un successo comunista alle elezioni politiche dell’aprile del ’48 avrebbe messo completamente in forse anche la nostra proprietà delle terre acquistate in Toscana vendendo quelle del Trentino.

Ci trovammo comunque a passare di colpo dal contesto socio-culturale solidamente omogeneo del mondo cattolico trentino ad un mondo fortemente scristianizzato ed anche chiaramente anti-clericale o almeno a-clericale (un bel frutto del potere temporale dei Papi), in gran parte completamente ideologizzato e rigidamente inquadrato dal partito comunista?!

Mi pare di poter dire che la mia vocazione missionaria, tuttora sottotraccia al momento dell’esodo, non ha subito trauma alcuno dal cambiamento radicale di ambiente. Anzi forse è stata più sollecitata dagli spazi più ampi e più ‘curata’ dall’attenzione più personalizzata del parroco e dalle suore-maestre… Senza che ne fossi troppo cosciente, fui anche oggetto di santa contesa… tra il vecchio santo parroco di Montallese, don Teodoro (che era stato molti anni direttore spirituale nel grande seminario di Siena) e le suore-maestre del Sacro Cuore della scuola-padronale di Dolciano. Così nell’ottobre 1948, a corsi già iniziati quando arrivammo in Toscana, rifeci (…colpa della diversa maniera di fare le divisioni, in Trentino e in Toscana!) la terza elementare a Montallese, la quarta fu a Dolciano con gli altri fratelli e sorelle ancora ‘coscritti’, mentre per la quinta il parroco, che mi aveva già nominato chierichetto, sacrestano e segretario ad omnia,… mi rivolle ad ogni costo alla scuola di Montallese per poterlo aiutare da vicino.

Essendo dunque una rara famiglia di mosche bianche in mezzo a nugoli di… mosche rosse, fummo ben presto individuati, e vennero presto a conoscerci anche i preti delle parrocchie vicine e lo stesso vescovo di Chiusi-Pienza, mons. Carlo Baldini, un pastore zelante, distinto e cordiale (mi fa pensare a mons. Conforti!), che aveva però quasi tutto il gregge… ‘fuori porta’, a causa appunto dell’ideologia-partito dominante. Anch’egli volle conoscere presto la nostra famiglia e mostrò più volte tutta la sua simpatia e il suo incoraggiamento ai miei genitori e ai fratelli più grandi, ma aveva un occhio di predilezione su noi più piccini e, chissà perché?, in particolare, su di me, ma senza darlo troppo a vedere. Ricordo ancora con emozione, per esempio, con che solennità e affetto, nel duomo ‘romano’ di Chiusi, mi consegnò una volta ‘la medaglia d’oro’ (?) alle premiazioni per la fine dell’anno catechistico di tutta la diocesi.

Prete sì, ma missionario…

Per cui quando, a 10-11 anni, espressi chiaramente la volontà di ‘diventare missionario’, sia il parroco, di cui ero diventato ormai il beniamino, che il vescovo, quando lo seppe, in modi diversi ma all’unisono mi proposero con forza di entrare nel seminario regionale di Siena per diventare missionario delle terre scristianizzate della Toscana, che “avevano tanto bisogno di bravi missionari”!

Ma io, pur ragazzo molto timido e pur avendo tanta simpatia e rispetto filiale per entrambi, avevo già le idee molto decise e feci capire molto chiaramente che sì, desideravo esser prete, ma solo prete missionario, tra i pagani lontani. Insistettero abbastanza, ma alla fine, o perché capirono che avevo la testa dura… o perché, da pastori saggi e spirituali, intuirono che c’era davvero sotto una chiamata ‘altra’, mi lasciarono andare, certo con un po’ di vero dispiacere, come quello del cacciatore che vede sfuggirgli una bella preda, da tanto tempo cercata ed ora proprio sotto mira. Sinceramente mi ricordo che dispiaceva anche a me di far loro dispiacere, ma io che cosa potevo farci?

Alla ricerca dei veri ‘Missionari’… i Padri Bianchi?

Penso che ha questo punto sia chiara la situazione curiosa in cui mi ero cacciato: da una parte volevo/sentivo che, a tutti i costi, dovevo diventare Missionario (vero, ad gentes!), e tuttavia, fino ad allora, non avevo ancora visto né conosciuto, né da vicino né da lontano, neanche, è proprio il caso di dirlo, ‘la barba’ di un Missionario!

Come fare? Dove andare? A chi dirigersi? Chi scegliere… (alla cieca)? Capirete che era un problema non piccolo per un ragazzo di 11-12 anni: dalla sua soluzione indovinata, lo intuivo bene, sarebbe dipesa tutta la mia vita!

Non so esattamente quando, ma ricordo che accennai della mia decisione anche a mio fratello salesiano don Giulio (non so se fosse ancora in noviziato SdB o già professo), ma posi chiaramente la ‘mia condizione’: se vengo da voi, sono sicuro di poter andare in missione? (Tra le missioni salesiane si parlava allora soprattutto della Patagonia). La risposta timida e aleatoria di Giulio, in contrasto con le mie idee chiare e distinte, mi sconsigliò subito di insistere in quella direzione.

Ne parlai allora timidamente con il mio buon vecchio parroco, ormai spiritualmente rassegnato a lasciarmi andare. Ed ecco un altro fatto che ha del rocambolesco, se non volete dire del puro ‘provvidenziale’. Don Teodoro cercò tra le sue vecchie scartoffie e tirò fuori non so come un notes o libricino, tutto ingiallito e sgualcito. Lo sfogliò e si fermò su una paginetta dove c’era un indirizzo: Padri Bianchi, Vittorio Veneto.

Come /perché saveriano?

Non saprei dire neanche oggi perché reagii istintivamente con una smorfia: forse fu per il ‘vecchiume’ del libricino o forse mi venne allora in mente improvvisamente un’alternativa (a cui non avevo certo pensato prima in modo distinto, sennò non avrei chiesto l’indirizzo al parroco!).

‘L’alternativa’, non so se l’avessi già in tasca in quel momento o se gliela mostrai qualche giorno dopo, non era che uno stralcio del giornalino… “Voci d’Oltremare” (V.O.M.), con l’indirizzo dei Missionari Saveriani di Parma! Avevo trovato il filo di Arianna!

Mi pare di ricordare che anche il parroco condiscese subito, quasi sollevato, alla mia contro-proposta. E mi pare che fu lui stesso a scrivere la prima lettera o comunque ad accompagnare con un suo scritto la mia domanda,… lanciata al battaglione completamente ignoto dei Missionari Saveriani di Parma!

Da dove veniva quell’indirizzo provvidenziale ?

Liberi sempre di non crederci, perché qui il rocambolesco /provvidenziale diventa davvero sempre più incredibile. A quei tempi, dunque, (1949-51) direttore ed anima infuocata del CEM (allora Centro di Educazione Missionaria), e quindi direttore di V.O.M., era p. Domenico Milani. Oltre che animare i convegni e incontri vari coi maestri, e oltre che pensare alla redazione e alla stampa del giornalino e di altri sussidi per l’animazione missionaria nelle scuole italiane, P. Milani trovava anche in tempo per scorrazzare qua e là, in mezza Italia, per diffondere ovunque nelle scuole l’ideale del CEM. Proprio in quegli anni si era spinto perfino nelle campagne desolate (cristianamente) della bassa Toscana, ed era passato addirittura nella scuoletta sperduta di Dolciano, diretta da una comunità di Suore del Sacro Cuore.

Immagino che avesse spiegato il movimento CEM alle suore-maestre, ma non parlò con noi ragazzi, ed io non ne vidi proprio neanche… la barba! Aveva comunque lasciato alcune copie di VOM, e la maestra di quarta elementare, che mi voleva molto bene, me ne regalò subito almeno un esemplare. Com’era bello, tutto a colori, con molti disegni e racconti emozionanti! (Vuoi mettere col vecchio zibaldone di don Teodoro?).

Saveriano sì, ma missionario prete…

Scrissi /scrivemmo dunque a Parma, a quei marziani dei Missionari Saveriani. Mi rispose prontamente e positivamente, con entusiasmo incoraggiante… p. Tiberio Munari, che era allora a Parma responsabile anche dei probandi o aspiranti fratelli coadiutori: non ho più quella corrispondenza, ma l’impressione positiva di entusiasmo e il suo incoraggiamento empatico mi è rimasto dentro!

Ne nacque dunque una breve corrispondenza assai intensa, fino a quando mi accorsi … dell’equivoco! P. Munari si era infatti fatto l’idea, non so come, che io fossi un giovanotto di 20-25 anni e che aspirassi quindi a diventare fratello coadiutore. Gli chiarii allora che no!, che ero un ragazzo di soli 11-12 anni, e che quindi volevo certo essere missionario, ma missionario prete!

Tutte le strade portano… ad Ancona!

Fu allora che p. Tiberio mi suggerì di scrivere, non so perché, ai Rettori delle ‘scuole apostoliche’ o di Nizza Monferrato o di Ancona. Non esitai un momento, e scrissi al Rettore della ‘scuola apostolica di Ancona/Posatora. Mi rispose con una letterina breve, mi pare, ma molto calorosa e invitante (purtroppo, persa anche questa!)… il p. Mario Veronesi (trentino anche lui, martire esattamente 20 dopo in BD)! Mi diceva che mi attendeva senz’altro, con molta gioia e a cuore aperto.

Tutto allora precipitò come ‘previsto’: diploma elementare assicurato, ultimi preparativi un po’ frenetici per metter insieme i documenti e le cose necessarie (non mi ricordo, perché allora ‘non lo sapevo’!, ma chissà con quanto amore, fierezza e gioia la mamma avrà preparato il mio piccolo corredo?)…

Così il 27 settembre 1951, mio fratello salesiano don Giulio (non mi ricordo se era ‘per caso’ in vacanze o se fosse stato chiamato espressamente) mi accompagnò in treno, da Chiusi/SI ad Ancona, attraversando per la prima volta tutta l’Italia centrale, e soprattutto la mistica, dolce Umbria, fino a sbucare sul mare Adriatico. Avevo gli occhi spalancati e il cuore gonfio di emozione e di pace, anche se andavo davvero verso l’Ignoto!

Ricordo che, entrando dal cancello della villa napoleonica di Posatora, mi si presentò ben presto davanti, finalmente!, una vera bella figura missionaria, slanciata, maestosa e austera, con una bella barba!, p. Mario Veronesi, che mi/ci diede subito un caloroso benvenuto e mi strinse in un abbraccio fortissimo.

Ero approdato per miracolo nel cuore sensibile del misterioso continente saveriano. E l’avventura non faceva che cominciare, sui sentieri imprevedibili, incredibili, meravigliosi di Dio… Come non dargli grazie infinite, profondamente commosso e con profonda confidenza filiale, specialmente in questo 50° dell’ordinazione presbiterale (17 ottobre 1965)? (Antr. sx- Bkv 5.4.’15; prima stesura il 18.3.’15 - sul lago Kivu, rientrando da Goma a Bukavu sul battello Emmanuel).

Antonio Trettel, sx

Trettel Antonio sx
15 Maggio 2015
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