Skip to main content

Mosè dalle grandi ciabatte: ...7+14 che fa 18

1243/500

Una storia vera e una lettera vera. 

Mosè ha 15 anni, un nome importante, i pantaloncini rattoppati e le ciabatte più grandi dei suoi piedi. Entra, si toglie il cappello, si guarda attorno stralunato, aggiusta la seggiola e, con un po’ di impaccio, siede. Saluta a bassa voce, mentre con la mano destra si toglie il sudore dalla fronte. Ha appena percorso in bici, sotto il sole impietoso della stagione del grande caldo, i 20 km di buche e sassi che dal suo villaggio, proprio sul confine tra Mozambico e Malawi, portano a Charre.

Quest’anno, a causa della pandemia, l’anno scolastico comincia a metà marzo, con un mese e mezzo di ritardo rispetto agli anni scorsi. Mosè viene per iscriversi nell’8ª classe, dopo avere frequentato i sette anni della scuola primaria nel suo villaggio. Cerco di metterlo a suo agio, chiedendogli come va. «Tutto bene» risponde, forse più per circostanza che per convinzione. Sul tavolo ha davanti a sé un libricino colorato per bambini dal titolo: «La nonna è andata al mercato». Gli chiedo di leggere il titolo. Prende in mano il libricino con la reverenza e il timore di chi ha a che fare con qualcosa di inconsueto. Respira e, dopo alcuni secondi, esclama solennemente: «La!». Mosè avvicina il libricino agli occhi, prende fiato e, mentre il corpo intero si irrigidisce, con l’indice destro punta la seconda sillaba. Dopo un silenzio prolungato, il monosillabo «No!» gli fuoriesce dai polmoni con lo stesso impeto di quando nel campo da calcio grida: «Gol!». E lì si blocca, sconsolato, Mosè, come avesse davanti a sé le acque del mar Rosso che, stavolta, non vogliono saperne di aprirsi.

Facchetti Mozambico

Proviamo con matematica. «5+3». Mosè inclina il capo e comincia a contare sulle dita delle mani. «8», esclama soddisfatto. Al 7+14, comincia allo stesso modo. Poi, non bastandogli evidentemente le dita delle mani, si piega e comincia a contare le dita dei piedi. Si rialza, solleva lo sguardo perso verso il soffitto e, dopo una decina di interminabili secondi, esclama: «18!».

Quando l’anno scorso abbiamo realizzato una ricerca sugli alunni che si iscrivevano nell’8ª classe, ci siamo resi conto che il 33% si trovavano nella stessa situazione di Mosè, mentre il 57% non comprendevano quello che leggevano. Sono migliaia i Mosè in un paese che, negli ultimi dieci anni, se è vero che è riuscito a diminuire il tasso di analfabetismo in termini percentuali dal 50% al 39%, ha anche visto aumentare da 7 a 10 milioni il numero assoluto di mozambicani al di sopra dei 15 anni che non sanno leggere. Mentre nelle aree rurali, il tasso di analfabetismo continua al 50,7% e cresce esponenzialmente al 62,4% nel caso delle donne.

Samora Machel, primo presidente della sventurata e rapidamente decaduta Repubblica Popolare del Mozambico, con la sua pomposa ma incisiva retorica maoista, affermava che «l’educazione è la base affinché il popolo prenda il potere». Sono passati cinquant’anni, ma stiamo ancora aspettando.

Se vogliamo decifrare il cammino di questo paese, la storia di Mosè e i dati nazionali sull’analfabetismo rappresentano una chiave di lettura tra le tante. Ad esempio l’indice di sviluppo umano (indice composto che bilancia PIL pro capite, speranza di vita e scolarizzazione), secondo il quale, nel 2020, il Mozambico è sceso alla posizione 181° su un totale di 189 paesi. Oppure l’indice di democrazia, secondo il quale è classificato come regime autoritario e dove ha perso sette posizioni in due anni, collocandosi al 122° posto su un totale di 167 paesi. O l’indice di corruzione, dove scivola di tre posizioni in un anno e si piazza 149° su un totale di 180. E come dimenticare il tasso di povertà, in aumento, e sotto la cui soglia minima vive il 63,7% dei mozambicani.

Tuttavia, credo che la storia di Mosè e, in senso lato, i dati drammatici relativi all’analfabetismo rappresentino una prospettiva privilegiata rispetto alle altre perché, oltre a disegnare lo stato attuale delle cose, tracciano un’indicazione del cammino futuro di medio e lungo termine che il paese ha davanti.

«Sentinella, quanto resta della notte?» si chiede il profeta Isaia, che così risponde: «Verrà il mattino e verrà la notte. Se volete chiedere, chiedete pure, tornate un’altra volta». Dal di dentro della notte mozambicana, mi permetto di glossare: «In ogni modo, della notte, purtroppo, resta ancora tanto, tanto tempo».

Ci sono due fatti accaduti nella seconda metà di febbraio che potrebbero farmi aggiungere addirittura un “tanto” in più. In pochi giorni sono, infatti, venuti a mancare, in maniera differente l’uno dall’altro, due persone che contribuivano ad iniettare una dose vitale di speranza alla congiuntura plumbea e funesta del paese. Li ascoltavi e pensavi: «Siamo nel pieno della notte ma, là in fondo, un barlume di luce c’è».

Il primo a uscire di scena è stato dom Luiz Fernando Lisboa, vescovo di Pemba, capoluogo della martoriata regione di Cabo Delgado, dove dall’ottobre 2017 è in corso una guerra nella quale si mischiano povertà endemica, ricchezza di risorse naturali, terrorismo jihadista, investimenti miliardari delle multinazionali del gas, speranze frustrate della popolazione autoctona e interessi opachi del partito al potere. Una guerra che in tre anni e mezzo ha fatto più di 3000 morti e di 700.000 rifugiati. Dom Luiz, fin dall’inizio, è stato la voce della popolazione che soffre. È stato il primo a portare all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale il dramma di Cabo Delgado, mettendo in discussione la narrazione trionfalista del governo per il quale era diventato troppo scomodo. Dinanzi alle minacce alla sua persona che provenivano da più parti, la chiesa mozambicana, divisa e pavida, ha peccato di prudenza e forse anche di ignavia ed è stata incapace di una parola profetica chiara e forte. Il “promoveatur ut amoveatur” ha riportato, contro ogni suo desiderio, dom Luiz in Brasile, sua terra natale. Difficile leggere tutto questo con gli occhi della fede. O meglio, lo si può leggere solo attraverso la prospettiva della croce. È una perdita per il popolo di Cabo Delgado, che rimane orfano di chi era apertamente schierato dalla sua parte. Ma anche una sconfitta per la chiesa e per la società mozambicana che perdono un uomo di Dio e un profeta.

Dieci giorni dopo, muore all’improvviso Daviz Simango, leader del secondo partito di opposizione. Come sindaco di Beira, la seconda città del paese devastata dal ciclone Idai due anni fa, aveva dimostrato di essere un politico onesto, capace di costruire un progetto politico fondato sul principio del bene comune a partire dai più poveri. Nelle sue vene correva il sangue di suo padre, esponente di punta del movimento di liberazione, ucciso assieme alla moglie dal Frelimo subito dopo l’indipendenza. Simango era un uomo politico di un altro spessore rispetto alla pletora corrotta al potere ed era uno dei pochi che sarebbe stato in grado di guidare le sorti dell’intero paese.

Non ci resta che tornare a Mosè, ai suoi pantaloncini rattoppati, alle sue ciabatte più grandi dei suoi piedi e al suo 7+14 che fa 18. Tornare ai tanti Mosè, ripartire da loro. Ripartire con loro. La terra promessa appare un miraggio sideralmente distante. Davanti ci sono tempi imprecisamente lunghi di sete acuta e serpenti velenosi nel deserto, di vitelli d’oro e falsi dei, di nostalgia per le cipolle di chissà quale Egitto. Ma Mosè non ha nulla da perdere e, soprattutto, ha tutta una vita davanti per costruire un paese migliore.

 


 

Carissimi e carissime,

lascio parlare la storia di Mosè per raccontare come va la vita in questo angolo di Africa.

Faccio un punto e a capo e provo a raccontare come va la mia vita. Da fine dicembre, dopo cinque anni bellissimi piuttosto intensi a Chemba, mi trovo di nuovo a Charre, dove avevo vissuto tra il 2014 e il 2015. Sono qui temporaneamente, per dare una mano ad un confratello burundese che era rimasto solo. Poi, a fine luglio, tornerò in Italia per le ferie e, al ritorno in Mozambico, andrò in una nuova realtà.

Per noi missionari gli avvicendamenti sono normali. Siamo itineranti, pronti a smontare la tenda e a montarla altrove. Da un lato non è facile staccarsi quando si mettono radici, dall’altro si impara ad essere liberi e a non attaccarsi troppo ai progetti che si è portato avanti. Siamo servi inutili, ci ricorda Gesù.

Il mio avvicendamento avviene nel contesto di alcuni cambiamenti che interessano noi (pochi) missionari saveriani in Mozambico. Dopo ventidue anni di presenza saveriana a Chemba, a luglio consegneremo la parrocchia – con le sue 65 comunità, la scuola e lo studentato – alla diocesi di Beira. Di fatto, il nostro carisma è il primo annuncio e si pensa che i tempi siano maturi perché sia la chiesa locale a proseguire. Coscienti di questo, negli ultimi tre anni, anche grazie alla generosità di tanti amici e amiche che leggono questa lettera, abbiamo ristrutturato l’intera scuola e lo studentato. Lasciamo una realtà viva, bella e dinamica, dove i vari confratelli che vi hanno lavorato hanno fatto del loro meglio.

A Chemba ho vissuto un tempo che sul calendario segna cinque anni esatti. Poi c’è il tempo della vita, che va oltre quello meramente cronologico e che non si misura con gli orologi. In questo senso, c’è una densità di vita fatta di persone povere maestre di umanità, di terra secca della savana e di acque maestose del grande fiume Zambesi, di strade polverose e di contadini che tornano dalla campagna al tramonto con la zappa nella mano, il raccolto sopra la testa e il sorriso sulla bocca, di capre che sono ovunque, di Vangelo aperto assieme alla gente per aprire gli occhi sull’ingiustizia nella quale siamo immersi, di foreste devastate e di senso di impotenza, di notti in capanna durante le visite alle comunità, della testa che rimbomba per l’ennesima malaria, della nostra scuola nella quale anche i figli dei contadini provano ad alzare la testa, di un giornalino di quattro pagine realizzato assieme ai ragazzi che usciva tre volte all’anno e che ha dato senso alla mia rabbia evangelicamente politica. Guardo indietro e ringrazio Dio, consapevole che quello che ho ricevuto è più di quanto ho dato.

E ora, anche se per pochi mesi, eccomi di nuovo a Charre. L’ambiente di questo villaggio di capanne a 20 km dal confine col Malawi è sempre quello della savana. In linea d’aria, Charre si trova a circa 60 km da Chemba, ma sull’altra riva dello Zambesi. Qui serviamo due parrocchie, per un totale di circa settanta comunità. La più distante si trova a circa 200 km di strada sterrata. Avete letto bene, 200 km. Non che Chemba fosse New York, ma a Charre è tutto più semplice e povero. Non c’è l’energia elettrica: abbiamo i pannelli solari che, quando va bene, ci garantiscono l’energia per una decina di ore al giorno. C’è una debole rete del telefono, ma non internet: per aprire l’email ci si sposta otto km.

Il giovedì santo, la sera, in chiesa qui a Charre, mentre lavavo i piedi alla nostra gente, pensavo "Mamma mia, quanto sono duri e callosi!". I piedi di persone semplici, alcuni dei quali non hanno mai messo le scarpe nella loro vita, i piedi di chi cammina tutti i suoi benedetti passi in ciabatte o a piedi nudi.

Qualche giorno dopo, mentre leggevo il Vangelo della resurrezione secondo Matteo, mi sono venuti in mente i piedi della nostra gente e anche i piedi di Mosè dalle grandi ciabatte. Le donne, di ritorno dal sepolcro, con il cuore gonfio di gioia e di paura perché non avevano ancora del tutto capito, incontrano Gesù e che fanno? Gli abbracciano i piedi! Bella l'immagine delle donne che abbracciano i piedi di Gesù dopo la sua resurrezione!

Partire dalla concretezza dei piedi, quelli col segno dei chiodi di Gesù Risorto e quelli callosi e impolverati della gente, perché, alla fine, sono gli stessi piedi. Partire dai piedi, affinché la nostra testimonianza del Risorto non rimanga solamente qualcosa di astratto o intellettuale, ma parli al cuore delle persone, sia vera, coerente e credibile. Incida la resurrezione sulle nostre vite e sulla vita del mondo.

Con amicizia e affetto, vi abbraccio. Se me lo permettete, anche i piedi. A presto!

p. Andrea Facchetti sx
Charre, 18 aprile 2021

Andrea Facchetti sx
07 Maggio 2021
1243 visualizzazioni
Disponibile in
Tag

Link &
Download

Area riservata alla Famiglia Saveriana.
Accedi qui con il tuo nome utente e password per visualizzare e scaricare i file riservati.