Skip to main content

“Verso quell’orizzonte che non finisce mai”

3245/500

“Verso quell’orizzonte che non finisce mai”

Paolo VI diceva nel 1969 che l’Africa è la nuova patria di Cristo e Benedetto XVI la definiva il polmone spirituale dell’umanità.

La domenica mi emoziona per la numerosa partecipazione alla messa, per la lunga fila di giovani alla comunione, per l’entusiasmo della corale, per il coinvolgimento nei gruppi…

La gente ha un profondo senso religioso e del sacro, avverte la presenza di Dio, dà importanza alla famiglia, rispetta la vita, ha grande capacità di soffrire… Valori che fanno parte della cultura tradizionale, ma che stanno affievolendosi con l’influsso del mondo occidentale. Provo simpatia e ammiro la spontaneità, l’accoglienza, l’apertura di cuore…

La gioia di ricevere i fidanzati in preparazione al matrimonio, i genitori per i saramenti del loro bambino, i giovani universitari che chiedono il battesimo o la cresima…, è annebbiata a volte dai limiti di norme e abitudini locali. L’anno scorso ho ricevuto una lettera di protesta dal parroco più importante della diocesi per le mie procedure viziate nell’ammissione dei sacramenti.

Lo stesso arriva anche al mio amico congolese, abbé Emmanuel, cappellano dell’università cattolica di Bukavu, che ha dovuto chiarire le sue scelte ai confratelli che lo criticavano.

Il camminare lento della chiesa locale è una delle maggiori mie/nostre difficoltà.

Papa Francesco invita alla grandezza d’animo, a favorire il bene e il rispetto delle persone e a non dipendere dalle regole riduttive e da controlli doganieri. La chiesa è madre e ha la gioia d’accogliere.

Il papa ha chiesto, in questi giorni, ai vescovi di Lesotho e della Namibia d’offrire generosamente i sacramenti alle famiglie. E ancora domenica, 26 aprile, all’ordinazione di nuovi preti raccomandava di non rifiutare mai il battesimo a chi lo chiede e di non stancarsi di essere misericordiosi.

Mio padre mi scriveva, con semplicità, in una delle sue lettere: Ricordati di voler bene ai ‘moretti’, che hanno già sofferto abbastanza.

Nel mio piccolo, cerco di agire con spirito di servizio e di comprensione, non certo con leggerezza. L’iniziativa dell’anno giubilare della misericordia mi fa sperare in una nuova tappa dell’annuncio del vangelo anche in Africa. Dice San Tommaso, parlando dell’annuncio del Vangelo (citato da Francesco): E’ come andare verso quell’orizzonte che non finisce mai perché è sempre un orizzonte.

Cinque anni dopo

Da cinque anni sono nello studentato di filosofia dei saveriani, dove condivido la vita con 23 giovani studenti, e ancora da cinque anni sono cappellano dell’Istituto Superiore di Pedagogia, che conta più di 3000 universitari.

L’esperienza è positiva e arricchente, anche se a volte difficile.

Con gli universitari, assicuro presenza, simpatia e ascolto. I giovani, tante volte, non trovano risposte nelle strutture abituali alle loro inquietudini, ai loro bisogni, alle loro domande e alle loro ferite. Fanno parte di quella periferia umana, esistenziale, di cui parla il papa Francesco. 

Vivere accanto a loro è una opportunità!

Sentono e vivono nel desiderio di libertà e di rinnovamento, la primavera dell’Africa Centrale. Mi è capitato di invitarli alla calma e di non esagerare nelle loro manifestazioni. Per una semplice protesta, rischiano l’espulsione dagli studi o peggio la denuncia. La democrazia non fa parte della tradizione africana: il capo aveva un’autorità indiscutibile e godeva il diritto di vita e di morte.

In questi giorni i presidenti di varie nazioni (Burundi, Ruanda, Congo…) brigano con ogni mezzo per presentarsi la terza o quarta volta, andando contro la costituzione del paese. 

E il futuro? Il futuro per i nostri giovani è un tunnel nero, senza grandi speranze. Tutti studiano, tutti cercano il diploma, la licenza, il dottorato e poi… Come sarà il loro avvenire? Il paese e il mondo hanno le loro gravi responsabilità.

Formare o educare?

Annessi all’edificio del grande capannone, che serve come chiesa, ci sono quattro cameroni dormitorio per 55-60 studenti. Un internato povero ma desiderato da molti. In esso, ci sono studenti di lingua, di economia e commercio, d’informatica, di medicina, di pedagogia, di agricoltura, di scienze sociali, d’inglese ecc. Studiano tre anni di graduato e due di licenza. Gli interni costruiscono una comunità con uno statuto, con elezioni democratiche, con un sindaco, con compiti specifici per ciascuno. Sono giovani dai 20 ai 28 anni, semplici, vengono dai villaggi dell’interno del paese, sono presentati dai parroci, e si arrangiano per il cibo, il bucato e pulizie.

Il loro cammino di maturità umana e cristiana m’interpella.

Nell’anno del mio noviziato, 1962, un giorno il maestro mi ha richiamato perché non ero entrato nel tubo. Non avevo, infatti, assunto l’atteggiamento del pio novizio con le mani giunte e con la diligente osservanza di regole e di puntualità. Il tubo mi era troppo stretto.

La parola formazione, adesso, mi richiama lo stampo, la forma, il marchio. All'opposto, l’altro vocabolo, educazione, sollecita la partecipazione interiore della persona. Tutte due i termini, tuttavia, fanno parte della crescita dell’individuo: la proposta di valori veri, belli, buoni, positivi, e l’attenzione-ascolto della persona, della sua sensibilità, delle sue sollecitazioni. La condivisione di motivazioni spirituali crea più appartenenza al gruppo che una disciplina ferrea.

Nei cinque anni si è cercato di migliorare l’ambiente dell’internato (hangar, servizi, sala computer e sala TV…). Un segno d’attenzione! La divisa era ed è il pane e la rosa, il pane per dire il minimo necessario per vivere e la rosa per gustare il bello, il buono e il vero della vita.

                                                          Giuseppe Dovigo sx

Dovigo Giuseppe sx
21 Maggio 2015
3245 visualizzazioni
Disponibile in
Tag

Link &
Download

Area riservata alla Famiglia Saveriana.
Accedi qui con il tuo nome utente e password per visualizzare e scaricare i file riservati.