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Da 65 ANNI IN SIERRA LEONE

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I MISSIONARI  SAVERIANI

DA 65 ANNI  IN SIERRA LEONE

(Luglio 1950-2015)

 
Cacciati dalla Cina, dove avevano lavorato nello Honan per oltre sessant’anni e fondato le diocesi di Cheng-Chow e Loyang, i Saveriani dovettero cercare nuovi lidi ospitali per continuare l’opera iniziata quattro secoli prima dal loro patrono Francesco Saverio.
Sulla rotta verso le Indie, il Santo aveva fatto una sosta presso  i Temne e gli Sherbro della Sierra Leone i cui villaggi, disseminati lungo l’estuario del fiume Rokel, assicuravano ai velieri europei un rifugio, un’abbondante riserva d’acqua potabile ed altre provviste (spesso anche schiavi), prima di riprendere il viaggio verso il Capo di Buona Speranza.
Ripercorrendo la  rotta del Saverio, il giono 8 luglio del 1950 i quattro pionieri della prima avventura saveriana in Africa raggiunsero il porto di Freetown, capitale della Sierra Leone. Una nave mercantile depositò i missionari Calza, Olivani, Stefani e il decano del gruppo Azzolini sulla panchina  dove erano ad attenderli due missionari irlandesi. Qualche mese più tardi furono destinati dal Bishop Kelly di Freetown  alla Provincia del Nord della Sierra Leone per dissodare un territorio vasto quanto la Lombardia e quasi interamente islamizzato.
A Lunsar, centro minerario della regione e a Makeni, sede di uffici importanti della Colonia  Inglese, i missionari italiani trovarono un timido manipolo di cristiani e tanti progetti di scuole da realizzare. Erano stati inviati nel Nord - refrattario ad influenze etiche e culturali esterne, tanto che molti avevano commentato: “Vanno solo a perdere tempo!”-  per rispondere all’appello dei capi tribù educati nelle scuole missionarie di Bo e di Freetown, desiderosi di estendere il beneficio dell’istruzione anche nei loro villaggi.
Si misero subito all’opera. In pochi anni fondarono scuole, ospedali, dispensari e centri professionali. Sorsero anche gruppi di catecumeni, centri parrocchiali e un seminario per accogliere i primi aspiranti al sacerdozio. Vennero in loro aiuto altri Saveriani e nuove istituzioni dedite all’insegnamento, alla cura dei poliomielitici e degli audiolesi, all’assistenza dei più poveri della società e alla promozione della donna.
Quando, nella primavera del 1987, il vescovo Azzolini passò il testimone a Mons. Giorgio Biguzzi, che era stato per vari anni  insegnante nella Scuola Superiore  Saint Francis  di Makeni e poi Regionale dei Saveriani della Sierra Leone, la diocesi contava già trentamila cattolici distribuiti in dieci centri parrocchiali e molte stazioni missionarie. Frequentavano le sue scuole primarie e secondarie e il College di Makeni più di trentacinquemila studenti. L’ospedale di Lunsar e i dispensari di Makeni, Kambia e Kalamba erano tra i più apprezzati del paese, assieme ad una rete efficiente di cliniche mobili per il servizio a domicilio dei malati di lebbra, dei bambini poliomielitici e portatori di altri handicap. A ragione il presidente della Sierra Leone Dott. Shiaka Stevens, assegnando al vescovo Azzolini la più alta onorificenza dello Stato, il ‘Rokel’ dei benefattori illustri, poteva dichiarare: “Voi avete fatto miracoli nella provincia del Nord della Sierra Leone”.
Nell’autunno del 1985 l’ottuagenario Pa Shiaky, come il Presidente era chiamato dalla gente, cedeva il potere all’ex Capo di Stato Maggiore dell’Esercito Joseph Momo, che si rivelerà incapace di risolvere i problemi del paese. La situazione divenne sempre più caotica fino a provocare colpi di stato, governi militari improvvisati e corrotti, guerriglie e rivolte di settori dell’esercito sierraleonese che fecero precipitare il paese nel baratro della guerra civile e nelle efferatezze a cui il mondo ha assistito con orrore.
Nel 1987 il nuovo vescovo Giorgio Biguzzi ereditava una Chiesa bene organizzata e vivace nelle sue molteplici realizzazioni, ma anche condizionata da un passato che guardava al nuovo con diffidenza. I pionieri che avevano portato nella Provincia del Nord considerevoli contributi innovativi in campo scolastico, religioso e sociale, erano ancora sulla breccia, stimati e onorati sia dai Cristiani che dai Musulmani. La diocesi di Makeni contava già sette preti autoctoni e una trentina di seminaristi. Nel 2000 saranno più del doppio.
Su questi figli privilegiati della Sierra Leone il nuovo vescovo di Makeni  impegnava la sua opera di pastore per assicurare un futuro senza traumi alla sua Chiesa minacciata dall’incalzare di una rivoluzione che sembrava mettere in discussione tutti i valori etici e culturali del passato. E quando la guerra civile cancellò impietosamente molte opere e luoghi di culto cristiani, il vescovo sostenne e incoraggiò le nascoste comunità ancora vive nei villaggi, nelle foreste e nei campi-profughi. Si operò a mettere al sicuro i suoi sacerdoti,  i giovani seminaristi, i missionari, le religiose e i religiosi che avevano spesso testimoniato con la prigionia, con sofferenze fisiche e morali e con la stessa vita la loro fedeltà a Cristo e al servizio dei fratelli.
Attraverso la radio e con ogni altro mezzo cercò di convincere i combattenti dei vari fronti  a desistere dai loro insani propositi. E si impegnò a costituire e guidare una delegazione  di capi religiosi per convincere i rivoltosi ad accettare una tregua, a facilitare i negoziati di pace e a promuovere la riconciliazione del paese. Si appellò anche alle Nazioni Unite perchè non dimenticassero la Sierra Leone bisognosa di interventi umanitari e politici urgenti, di aiuti mirati per salvaguardare le proprie ricchezze naturali e civili e consentire a questo  piccolo paese dell’Africa Occidentale  di  risorgere dalle rovine e di guardare serenamente al futuro.
Accompagnando a Roma una delegazione di ex bambini soldati per il Giubileo 2000 e in occasione di riconoscimenti e di premi internazionali  per il suo impegno a favore dei minori particolarmente colpiti dalla guerra civile, richiamà l’attenzione del mondo sulle migliaia di piccole vittime dell’odio e della violenza che occorreva riscattare, rieducare e riconsegnare alle loro famiglie perchè tornassero ad una vita normale, all’infanzia dei giochi, dei sogni e della scuola nei loro villaggi dell’hinterland.
 
Il 7 gennaio del 2012 il Papa Benedetto XVI accettava le dimissioni del vescovo di Makeni  Mons. Giorgio Biguzzi per raggiunti limiti di età.
Nella Provincia del Nord della Sierra Leone già da qualche tempo il clero e la popolazione attendevano come suo successore un  vescovo sierraleonese della loro Provincia. Nel Seminario Maggiore San Paolo di Freetown i docenti provenienti dalla diocesi di Makeni erano non inferiori di numero a quelli delle altre provincie e quasi una metà dei seminaristi provenivano dal Seminario di Makeni. Sentivano che era arrivato finalmente  il tempo perché  un sacerdote  della Provincia del Nord fosse consacrato vescovo. Le procedure per la designazione del nuovo vescovo in una diocesi vasta quasi la metà della Sierra Leone si rivelarono invece troppo ingarbugliate e laceranti. Dopo varie consultazioni fu scelto come vescovo Mons. Henry Aruna, sacerdote della diocesi di Kenena capoluogo della Provincia dell'Est della Sierra Leone, che aveva ricoperto l’incarico di docente nel Seminario Maggiore San Paolo di Freetown e di Segretario della Conferenza Episcopale.
Non fu accettato da molti sacerdoti, religiosi e comunità cristiane ed in seguito dalla popolazione della North Province, musulmani e protestanti compresi. Il vescovo designato Henry Aruna non potette fare  il suo ingresso nella diocesi di Makeni. Alcuni giornalisti chiamarono  questa crisi di orgoglio regionale “tribalismo”, uno “scisma” o una grave “ribellione” al Papa.  Un Amministratore  Apostolico, il Saveriano P. Natale Paganelli, regge ancora la diocesi in attesa che la Santa Sede decida definitivamente della questione.
Quasi contemporaneamente a questa dolorosa crisi religiosa la Sierra Leone dovette affrontare, dopo la disastrosa guerra civile durata più di 10 anni (1989- 2001) nuove sofferenze a causa dell'Ebola,  il  virus che a partire dalla vicina  Guinea Francese ha causato e continua a preoccupare tutta l’Africa Occidentale con migliaia di vittime umane.
Ora attendiamo che quest’ultima prova cessi definitivamente  e spazzi via con l’Ebola anche le divisioni ed i rancori nella piccola e martoriata Sierra Leone. Possa la diocesi di Makeni  tornare a cantare il "Te Deum" dell’unità ritrovata sotto la guida di un  vescovo accettato e amato da tutta la popolazione della North Province.
Noi crediamo e speriamo che questo avvenga presto.
 
P. Vito Gabriele Scagliuso,
missionario in Sierra Leone (1985-2005)
Scagliuso Vito sx
22 Giugno 2015
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