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La crisi. Immobili degli ordini religiosi una nuova vita oltre i mattoni

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Cambiare la destinazione sociale, vendere ad altre comunità, a istituzioni e realtà non profit, o affidarsi al mercato? Ogni soluzione è preferibile all’abbandonor.

«Progetto di recupero dell’ex-convento delle clarisse per la realizzazione di un relais con Spa». Cantieri con cartelli simili se ne trovano ormai molti, soprattutto nei borghi italiani più belli che nei secoli hanno visto sorgere un numero straordinario di conventi, monasteri, chiese, grazie alla grande biodiversità carismatica del bel Paese. Il paesaggio italiano non sarebbe patrimonio dell’umanità senza i profili di cattedrali, pievi e chiostri, nelle città e nelle campagne.

La laica spietata analisi dei dati della demografia della vita religiosa ci dice però qualcosa che non ci piace ascoltare: nel giro di uno o due decenni la grande maggioranza, forse il 90%, degli edifici religiosi saranno vuoti, e molti lo sono già. La tendenza è iniziata oltre mezzo secolo fa, ma, anche in questo caso, quando ce ne siamo accorti era già troppo tardi. Che cosa fare concretamente? Le chiese e gli immobili vuoti, venduti o messi in vendita, sono la punta di un iceberg di qualcosa di molto più vasto, trascurato e multidimensionale. Innanzitutto c’è una questione direttamente economica e quindi civile.

Questi conventi e monasteri all’origine erano beni comuni, perché nati dalle comunità civili e perché quei religiosi e religiose si occupavano anche di poveri, dei malati, di scuole, hanno inventato il nostro welfare. Quando oggi un convento viene ceduto ad una multinazionale for-profit che lo trasforma in una Spa, i fruitori non sono più tutti gli abitanti di quel borgo ma solo i “solventi”: quel bene da pubblico diventa privato, con un’estrazione privata di valore un tempo pubblico.

In secondo luogo, queste strutture sono state generate dalla vita, da una vita cristiana comunitaria, da bisogni concreti delle persone, delle comunità, dei poveri. Il loro sottoutilizzo o inutilizzo di oggi segnala una forte diminuzione dei bisogni che li hanno fatti nascere. Nei secoli passati le opere erano sorte per una forza intrinseca del carisma ma anche come risposta concreta alle sfide del loro ambiente. Il mondo cambia, mutano le forme con cui si esprime un dato bisogno, e le opere dei carismi fanno fatica ad inserirsi in questo duplice cambiamento (si pensi solo al tema della messa in regola). Si comprende allora che un primo essenziale lavoro delle comunità religiose dovrebbe consistere nell’attualizzare la domanda carismatica originaria. Se, ad esempio, una congregazione era nata per l’educazione delle ragazze povere di inizio Ottocento, la nascita di scuole fu la risposta normale alla domanda carismatica.

Ma oggi, con la scuola pubblica e universale in molti Paesi, quale risposta dovrebbe generare quella stessa domanda? Forse quella congregazione dovrebbe spostarsi sulle frontiere educative delle ragazze “povere” di oggi (marginalità, migranti, disagio), cambiando quindi le risposte concrete per restare fedeli alle domande; quando invece ci si affeziona alle risposte che il carisma ha dato ieri (scuole) si finisce per dimenticare le domande che le avevano generate: la fedeltà di oggi alle risposte di ieri diventa infedeltà al carisma. Le “case vuote”, gli immobili oziosi e pigri (che si usano, ad esempio, tre settimane l’anno per esercizi spirituali), segnalano quindi non solo una crisi della comunità religiosa ma anche una crisi più ampia dei mondi vitali attorno ad esse – quindi la soluzione può emergere da entrambi i luoghi, perché le vocazioni al carisma che ieri si esprimevano in una sola forma (consacrata) oggi possono assumerne di nuove (es. famiglie). Quando, infatti, accanto alle attuali strutture ci sono comunità vive e dinamiche, si assiste ad autentiche resurrezioni di quelle antiche strutture.

C’è poi un terzo discorso, cruciale, sul famigerato “mercato”. Uno sguardo negativo e prevenuto nei confronti del “mercato” che si interessa agli immobili religiosi non aiuta nessuno. Quando il mercato – una impresa, un fondo, una banca … – si avvicina ad un immobile, questo interesse segnala già qualcosa di serio. Dice che, almeno per il mercato, in quella “casa” c’è un valore. E questo valore rivelato è già un fatto positivo: non sarà un valore spirituale ma è quantomeno un valore economico-finanziario. E se una struttura esprime un qualche valore, quella struttura è ancora viva e può continuare a generare altro valore e valori. Spesso il mercato svolge una funzione analoga a quella che svolgono gli eredi che vendono la preziosa biblioteca di un loro parente illustre studioso...

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Luigino Bruni
29 Agosto 2023
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