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Restiamo umani! Al cuore della vita consacrata

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RITIRO SPIRITUALE INTERCOMUNITARIO DELLE COMUNITÀ SAVERIANE DELLA LOMBARDIA 

Brescia, lunedì 22 febbraio 2016

con p. Pier Giordano Cabra già superiore generale dei Piamartini

 

Restiamo umani!

Al cuore della vita consacrata

 Caro direttore di “Vita Consacrata”,

La ringrazio d’avermi invitato a commentare uno dei numerosi articoli di documentazione sulla crisi delle opere dei religiosi e religiose, dal titolo La fede senza le opere.

Mi scuserà se declino l’invito per il semplice motivo che oramai mi sento più un tifoso sugli spalti che uno dei giocatori in campo, ingaggiati nella grande partita che la vita religiosa sta conducendo oggi. Un tifoso anziano che corre il rischio di applicare vecchi schemi, obsoleti e scontati, che non entrano creativamente nelle sofisticate strategie odierne.

Per non essere del tutto ingrato di fronte alla sua gentilezza, Le offro alcune mie personalissime considerazioni, maturate dal mio ristretto osservatorio, lasciando a Lei l’opportunità di pubblicarle o meno.

***

Prima considerazione: sul disagio

La prima considerazione riguarda il disagio serpeggiante nelle nostre file di fronte alla nostra “ritirata” più o meno strategica: si ha l’impressione di non essere all’altezza dei nostri predecessori, di stare liquidando delle iniziative e istituzioni che hanno inciso positivamente nella società e nella Chiesa, come pure di dissipare un patrimonio accumulato con sacrifici in decenni e decenni di lavoro.

Non solo. Ma siamo sconcertati dal fatto che stiamo coinvolgendo nella cessazione delle nostre attività, anche dei laici che ci hanno coadiuvato nella nostra missione, sovente lasciando altro lavoro, avendo fiducia in noi. E i laici, che ora restano senza lavoro, hanno famiglia.

Tutto questo ci amareggia e ci umilia. Ma siamo impotenti a trovare soluzioni.

Tutto ciò semina sfiducia nel nostro genere di vita, getta ombre sul nostro futuro. E ciò proprio alla conclusione dell’anno dedicato alla vita consacrata, un anno vissuto piuttosto distrattamente dentro e fuori le nostre comunità.

Lo sappiamo: abbiamo timore di restare insignificanti, almeno qui in Occidente. Ciò fa piangere chi ama la sua vocazione, il suo Istituto, le opere nelle quali e per le quali ha speso la vita. È comprensibile: “Se non piangi, di che pianger suoli”?

Vorrei tuttavia ricordare una cosa ovvia, che tutto è destinato a terminare e non solo le persone, ma anche le istituzioni. Quando pensiamo a questo, di solito ci comportiamo nei confronti della nostra famiglia religiosa come quando diciamo che “tutti moriremo, forse anch’io…”.

L’importante è continuare a vivere finché ci sarà dato, tanto singolarmente che corporativamente, in modo da dar gloria al Signore in ogni circostanza, dimostrando che “sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore”. Il che significa il più serenamente possibile, senza “accanimenti terapeutici”, ma anche senza demordere e, soprattutto senza abbandonare la barca in difficoltà.

Infatti, comunque sia interpretata la situazione, una cosa è certa: anche questo momento di difficoltà, che coinvolge del resto anche le nostre Chiese, non sfugge alla mano di Dio, il quale sa quale bene ricavarne.     

E quindi senza lamentele sulla indifferenza altrui, ma con “l’umile orgoglio” di aver portato avanti la nostra missione di avanguardia dell’umanizzazione in nome della carità cristiana.

Abbiamo dato un esempio di attenzione, spesso profetica, ai bisogni più urgenti della persona umana ed ora altri subentrano al nostro posto, con mezzi più ampi dei nostri e con un poco del nostro spirito, se almeno ci siamo preoccupati anche della loro formazione.

Abbiamo svolto non tanto una “supplenza”, ma una vera educazione della nostra società nell’individuare e nel rispondere alle domande di aiuto, con inventiva e concretezza.

Rendiamo quindi grazie d’aver avuto una storia che, nonostante limiti evidenti, ha onorato il Vangelo, dimostrando che è una Parola di vita e di promozione umana. Una storia da condurre ora con modalità da ricercare.

E qui occorre andare oltre: la sequela di Cristo include la comunione di vita e di missione con Lui (Mc 3,14), ma anche comunione nel suo destino di passione e di morte.  

Se con le nostre attività fiorenti talvolta possiamo aver dato l’idea di essere una specie di agenzia sociale e caritativa, o culturale, oggi, con la nostra debolezza possiamo diventare più coscienti d’essere nel mondo sacramento della presenza di Cristo, il quale ha servito con la parola e i fatti, ma anche con la sua Passione e Morte. E Risurrezione!

Tempo di passione di Cristo e nostra, personale e istituzionale: ma anche premessa di una risurrezione, come è avvenuto dopo ogni prova dimagrante nella storia della vita consacrata, come del resto, è avvenuto nella storia della Chiesa. Il Signore non abbandona la sua Chiesa, lasciandole mancare la vita consacrata, dono prezioso per la sua missione.

Non dimentichiamo che la vita consacrata è elemento costitutivo della Chiesa e quindi esisterà sempre con la Chiesa e per la Chiesa, come sacramento vivente del Signore Gesù e segno dell’infinita potenza dello Spirito Santo mirabilmente operante nella sua Chiesa.

 Questa non è alienazione mistica, conforto a buon mercato, ma un’opportunità per purificarci dalle nostre pur doverose opere, nella misura in cui avevamo posto in esse la nostra realizzazione personale o istituzionale e la nostra sicurezza.

E se questa purificazione ci aiutasse a trovare modalità nuove, e forse più umili, per vivere il nostro carisma?

***

La seconda considerazione: sulla vita fraterna 

La seconda considerazione riguarda la vita fraterna, che può essere particolarmente difficile e compromessa proprio in un momento in cui essa è assolutamente necessaria sia per la nostra testimonianza, sia per il futuro della famiglia religiosa.

Si sa che le vittorie hanno sempre molti padri mentre le sconfitte sono sempre orfane. Anche le nostre sconfitte sono orfane, ma si cerca ugualmente il colpevole, provocando dispute sulle responsabilità, sulle cause, col serio pericolo di profonde divisioni che compromettono la fraternità.

Questa sarebbe la vera vittoria dell’Avversario, che lavora con ogni mezzo per rompere l’unione dei cuori e delle menti, disgregare le forze, seminare sfiducia nella forza costruttrice e testimoniale della carità. Egli sa che la dimostrazione della verità del Vangelo viene proprio dall’amore reciproco dei cristiani.

Infatti “senza la carità non sono nulla”: quant’anche avessimo speso tutte le nostre energie nelle nostre azioni e ci ritrovassimo senza carità, non saremmo nulla (cfr. 1Cor 13).

Non la caccia ai colpevoli, ma la ricerca di soluzioni nuove, se esistono. Sempre comunque la ricerca della convivenza fraterna, pur nelle differenze di ogni tipo, che esisteranno sempre, dato che non ci siamo scelti perché eravamo fratelli e sorelle, ma siamo stati scelti per diventare fratelli e sorelle.

Ho l’impressione che la nostra testimonianza nel futuro si sposterà sempre più dalla quantità delle opere alla qualità della fraternità, nel servizio ai nostri anziani, nell’accettazione di diversità culturali sempre meno omogenee, nelle comunità plurietniche, nella pluralità dei ruoli e delle missioni personali.

Probabilmente le “nuove comunità” si raduneranno sempre meno attorno ad un’opera da gestire, divenendo sempre più luoghi di sostegno fraterno per vivere il carisma nelle sue varie attualizzazioni e realizzazioni.

***

Una terza considerazione: SUL coraggio della verità

Una terza considerazione è il coraggio della verità, di quello che siamo e di quello che diciamo. Cito con vergogna personale questo testo, che riguarda quello che siamo: “Finché le nostre case, i nostri conventi, le nostre parrocchie saranno soltanto luoghi comuni e normali, desteremo soltanto risposte comuni e normali e nulla accadrà. Finché i religiosi saranno ben vestiti, ben nutriti e ben accuditi, le parole sull’essere in solidarietà con i poveri rimarranno pie parole, adatte probabilmente a suscitare i sentimenti che azioni creative. Finché faremo bene quello che gli altri fanno meglio e in modo più efficiente, potremo difficilmente aspettarci d’essere considerati il sale della terra e la luce del mondo” (H. Nouwen).

Quanto a quello che diciamo (dico anche questo con vergogna), mi sembra che siamo troppo timidi nel pronunciare, con affettuosa spontaneità, il nome di Gesù, quale “tutto della nostra vita”, quel nome nel quale solo c’è salvezza. E ciò di fronte a coloro che lo stanno dimenticando, a coloro che lo vogliono cancellare, di fronte alla distrazione dei nostri giovani.

Vorrei dire questa sola parola con la mia bocca, il più frequentemente possibile. Ma sempre con la singolarità o stranezza della nostra forma di vita che richiama più o meno velatamente la forma di vita scelta dal Figlio d Dio quando ha voluto condividere la nostra condizione umana, prendendo il nome di Gesù.

Non so che cosa ci riserva il futuro, ma spero che in qualsiasi situazione possiamo affermare con l’Apostolo Paolo: “Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio” (Atti 20,24).

***

Caro direttore, sono cose risapute. Per questo mi fermo, scusandomi di aver scoperto l’acqua calda. Un motivo di più perché Lei ne faccia quello che crede.

Suo p. Pier Giordano Cabra

PS. Da tifoso, vorrei ricordare ai giocatori in campo che la partita è già vinta. Anche se il finale di partita è duro, non abbandonino il campo, per non perdersi da vincitori il terzo tempo!


RETIRO ESPIRITUAL INTERCOMUNITARIO COMUNIDADES XAVERIANAS - LOMBARDÍA

Brescia - 22 de febrero 2016

con

P. Pier Giordano Cabra Ex Superior General de los Piamartini

¡Mantengámonos humanos!

En el corazón de la vida consagrada

Estimado director de “Vida Consagrada”,

La agradezco haberme invitado a comentar uno de los numerosos artículos de documentación sobre la crisis de las obras de los religiosos y religiosas, con el título La fe sin obras.

Me disculpará declinar su invitación por el simple motivo de que ya me siento más un aficionado en el graderío que uno de los jugadores en campo, atareados en el gran partido que la vida religiosa está llevando a cabo hoy. Un aficionado anciano que corre el riesgo de aplicar viejos esquemas, anticuados y descartados, que no entran creativamente en las sofisticadas estrategias actuales.

Para no ser totalmente ingrato ante su amabilidad, le ofrezco algunas de mis muy personales consideraciones, maduradas desde mi estrecho observatorio, dejándole la decisión de publicarlas o menos.

PRIMERA CONSIDERACIÓN: EL MALESTAR

La primera consideración concierne al malestar que serpentea en nuestras filas ante nuestra “retirada” más o menos estratégica: se tiene la impresión de no estar a la altura de nuestros predecesores, de estar liquidando las iniciativas e instituciones que han incidido positivamente en la sociedad y en la Iglesia; de disipar, incluso, un patrimonio acumulado con sacrificios en décadas y décadas de trabajo.

No sólo. Estamos desconcertados por el hecho de estar implicando en el cese de nuestras actividades, también a los laicos que han coadyuvado en nuestra misión, a menudo dejando otro trabajo, teniendo confianza en nosotros. Y los laicos, que ahora quedan sin trabajo, tienen familia.

Todo esto nos amarga y nos humilla. Pero nos sentimos impotentes para encontrar soluciones.

Todo esto siembra desconfianza en nuestro género de vida, echa sombras sobre nuestro futuro. Y esto, ahora que estamos ante la conclusión del año dedicado a la vida consagrada, un año vivido tan distraídamente dentro y fuera de nuestras comunidades.

Lo sabemos: tenemos temor de ser insignificantes, por lo menos en Occidente. Y esto hace llorar a quien ama su vocación, su Instituto, las obras en las cuales y por las cuales ha gastado la vida. Es comprensible.

Quisiera, sin embargo, recordar una cosa obvia: todo está destinado a terminar y no sólo las personas, sino también las instituciones. Cuando pensamos en esto, generalmente nos comportamos ante nuestra familia religiosa como cuando decimos que “todo moriremos… quizás también yo…”.

Lo importante es seguir viviendo hasta que se nos conceda, tanto singularmente como corporativamente, de modo de demos gloria al Señor en toda circunstancia, demostrando que “sea que vivamos, sea que muramos, somos del Señor”. Es decir, lo más serenamente posible, sin “obstinación terapéutica”, pero también sin desistir y, sobre todo, sin dejar la barca en dificultad.

En efecto, de cualquier modo que sea interpretada la situación, una cosa es segura: también este momento de dificultad, que involucra incluso a nuestras Iglesias, no escapa de la mano de Dios, que sabe qué bien sacará de todo esto.

Y por lo tanto, sin lamentarse ante la indiferencia ajena, sino con “el humilde orgullo” de haber llevado adelante nuestra misión de avanzada de humanización en nombre de la caridad cristiana.

Hemos dado un ejemplo de atención, a menudo profética, a las necesidades más urgentes de la persona humana y ahora otros entran en nuestro lugar, con medios más amplios que los nuestros y con un poco de nuestro espíritu, si por lo menos nos hemos preocupado de su formación.

Hemos desarrollado no tanto una “suplencia”, sino una verdadera educación de nuestra sociedad al reconocer y dar respuesta con creatividad y de forma concreta a las peticiones de ayuda,

Agradecemos, por lo tanto, haber tenido una historia que, a pesar de los límites evidentes, ha honrado el Evangelio, demostrando que es una Palabra de vida y de promoción humana. Una historia que hay que conducir hoy con modalidades por investigar.

Y aquí hace falta ir más allá: el seguimiento de Cristo incluye la comunión de vida y de misión con Él (Mc 3,14), pero, también, comunión en su destino de pasión y muerte.

Si con nuestras actividades florecientes a veces pudimos haber dado la idea de ser una especie de agencia social y caritativa, o cultural, hoy, con nuestra debilidad podemos ser más conscientes de ser en el mundo sacramento de la presencia de Cristo, que ha servido con la palabra y con los hechos, y también con su Pasión y Muerte. ¡Y Resurrección!

Tiempo de pasión de Cristo y nuestra, personal e institucional: pero también premisa de resurrección, como ha ocurrido después de cada prueba menguante en la historia de la vida consagrada, como ya ha ocurrido en la historia de la Iglesia. El Señor no abandona a su Iglesia, dejándole faltar la vida consagrada, don precioso para su misión.

No olvidamos que la vida consagrada es elemento constitutivo de la Iglesia y por lo tanto siempre existirá con la Iglesia y para la Iglesia, como sacramento viviente del Señor Jesús y señal de la infinita potencia del Espíritu Santo admirablemente operante en su Iglesia.

Esto no es enajenación mística, consuelo barato, sino una oportunidad para purificarnos de nuestras imprescindibles obras, en la medida en que hayamos puesto en ellas nuestra realización personal o institucional y nuestra seguridad.

¿Y si esta purificación nos ayudara a encontrar modalidades nuevas, y quizás más humildes, para vivir nuestro carisma?

SEGUNDA CONSIDERACIÓN: LA VIDA FRATERNA

La segunda consideración se refiere a la vida fraterna, que puede ser particularmente difícil y puesta en riesgo, ahora que es absolutamente necesaria sea para nuestro testimonio, como para el futuro de la familia religiosa.

Se sabe que las victorias tienen siempre muchos padres, mientras que las derrotas son siempre huérfanas. También nuestras derrotas son huérfanas, pero se busca igualmente al culpable, provocando disputas sobre las responsabilidades, las causas, exponiéndose al serio peligro de profundas divisiones que comprometen la fraternidad.

Ésta sería la verdadera victoria del adversario, que trabaja con todos los medios para romper la unión de los corazones y las mentes, para disgregar las fuerzas, sembrar desconfianza en la fuerza constructiva y testimonial de la caridad. Sabe que la demostración de la verdad del Evangelio viene precisamente del amor recíproco de los cristianos.

En efecto, sin la caridad no soy “nada”: aún si hubiésemos gastado todas nuestras energías en nuestras actividades, pero nos encontrásemos sin caridad, no seríamos nada (cfr. 1Cor 13).

Por consiguiente, no a la caza de culpables, sí a la búsqueda de soluciones nuevas, si existen. Siempre y en todo caso, sí a la búsqueda de la convivencia fraterna, aun en medio de las diferencias de todo tipo, las cuales siempre existirán, puesto que no nos hemos elegido porque éramos hermanos y hermanas, sino que hemos sido elegidos para convertirnos en hermanos y hermanas.

Tengo la impresión de que nuestro testimonio en el futuro se desplazará cada vez más de la cantidad de las obras a la calidad de la fraternidad, en el servicio a nuestros ancianos, en la aceptación de las diversidades culturales cada vez menos homogéneas, en las comunidades pluriculturales, en la pluralidad de los roles y de las misiones personales.

Probablemente las “nuevas comunidades” se reunirán cada vez menos alrededor de una obra por administrar, volviéndose cada vez más en lugares de apoyo fraterno para vivir el carisma en sus varias actualizaciones y realizaciones.

TERCERA CONSIDERACIÓN: LA AUDACIA DE LA VERDAD

Una tercera consideración es la audacia de la verdad de aquello que somos y de lo que decimos. Cito con vergüenza personal este texto, que se refiere a lo que somos: “Mientras que nuestras casas, nuestros conventos, nuestras parroquias sean solamente lugares comunes y normales, despertaremos solamente respuestas comunes y normales y nada ocurrirá. Mientras que los religiosos vayan bien vestidos, bien nutridos y bien cuidados, las palabras sobre el ser solidarios con los pobres serán piadosas palabras, aptas probablemente para suscitar sentimientos, no acciones creativas. Mientras que hagamos bien lo que los demás hacen mejor y de modo más eficiente, difícilmente podremos esperar ser considerados la sal de la tierra y la luz del mundo” (H. Nouwen).

En cuanto a lo que decimos, (digo también esto con vergüenza), me parece que somos demasiado tímidos para pronunciar, con cariñosa espontaneidad, el nombre de Jesús, como el “todo de nuestra vida”, nombre en el que solamente hay salvación. Y esto ante los que lo están olvidándolo, los que lo quieren borrar y ante la distracción de nuestros jóvenes.

Quisiera decir solamente esta palabra con mi boca, lo más frecuentemente posible. Pero siempre con la singularidad o diversidad de nuestra forma de vida que rememora más o menos veladamente la forma de vida elegida por el Hijo de Dios cuando ha querido compartir nuestra condición humana, tomando el nombre de Jesús.

No sé qué nos reserva el futuro, pero espero que en cualquier situación podamos afirmar con el apóstol Pablo: “Pero ya no me preocupo por mi vida, con tal de que pueda terminar mi carrera y llevar a cabo la misión que he recibido del Señor Jesús: anunciar la Buena Noticia de la gracia de Dios” (Hechos 20,24).

* * *

Estimado director, son cosas sabidas. Por eso me detengo, disculpándome de haber descubierto el agua caliente. Un motivo más para que usted haga de esto lo que crea.

P. Pier Giordano Cabra

PD: Como aficionado, me gustaría recordarles a los jugadores en campo que el partido ya está ganado. ¡Aun si el final del partido es duro, no abandonen el campo, para no perderse el tercer tiempo como vencedores!

Cabra Pier Giordano
24 Febbraio 2016
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