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“Dialogo e annuncio”. Una pietra miliare del dialogo interreligioso 

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Trent’anni dopo… 

Qualcuno si è chiesto se, dopo molti secoli di esclusivismo teologico nei confronti degli adepti di altre religioni e tradizioni religiose – specialmente gli ebrei e i musulmani –, l’atteggiamento del Vaticano II verso le diverse religioni, così come è stato ripreso e approfondito dai documenti del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, soprattutto dall’Istruzione Dialogo e annuncio, sia ancora attuale dopo trent’anni. A mio avviso, le affermazioni del magistero conciliare, riprese e approfondite da DA, nonostante alcune insufficienze teologiche di fronte alle sfide del pluralismo religioso di oggi, sono ancora generative di autentico e proficuo dialogo interreligioso. Anzi, costituiscono una pietra miliare nel cammino del dialogo postconciliare. Ne sono prova il magistero e l’azione pastorale di Francesco che, primo papa a non aver partecipato al Concilio, ha realizzato il sogno di Paolo VI di una Chiesa che si è fatta dialogo, ad intra e ad extra, mettendosi evangelicamente in ascolto dell’umanità intera, particolarmente di quella ferita dal dolore e dalla morte, come testimonia anche il suo recente viaggio in Iraq.

A trent’anni di distanza, in un clima di maggiore apertura e rispetto, ma anche di sempre nuove competizioni e violenze con il richiamo (abusivo) a Dio e alla religione, si sta facendo strada l’esigenza di una nuova comprensione dell’unicità di Cristo. Ci si chiede cioè se il pluralismo religioso, oltre a imporsi come costituzionale nell’era della globalizzazione, abbia anche una radice teologica, nella stessa volontà di Dio, nella sua misericordia (fedeltà) all’interno dell’unico e insondabile disegno di salvezza, come sembra testimoniare Paolo ai Romani, soprattutto nei capp. 9-11, dedicati al mistero d’Israele di fronte alla novità del Vangelo di Gesù Cristo. In altre parole, ci si chiede se il pluralismo religioso anziché una minaccia sia un dono per la missione, per la sua trasformazione e purificazione. Sicché il pluralismo potrebbe diventare l’occasione per la riscoperta del senso più autentico sia del dialogo, sia dell’annuncio, specchiandosi nell’unicità e singolarità di Gesù Cristo, non solo nella sua traduzione e cristallizzazione dogmatica, ma anche nella sua particolarità storica contestuale.

Nel paradosso dell’incarnazione di Dio i cristiani dispongono di una risorsa di pensiero assai preziosa per comprendere come il cristianesimo può intraprendere un dialogo con le altre religioni senza compromettere la propria identità, anzi sottolineandola, riscattandola, esaltandola. Nell’epoca del pluralismo religioso è importante riappropriarsi, dunque, della logica evangelica dell’incarnazione, che non ammette forme intolleranti e assolutistiche di verità, ma esige piuttosto una forma relazionale e dialogica. In tal senso l’universalità di Cristo è proprio questa sua capacità di apertura all’altro, a ogni altro, senza chiusure su di sé, grazie alla cifra della povertà assunta come stile della sua azione.

Mi sembra questa la via intrapresa da papa Francesco, nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium, un documento non dedicato esplicitamente al dialogo, ma che traspira dialogo dall’inizio alla fine, senza mai compromettere l’unicità della mediazione di Cristo e senza eliminare la pretesa del cristianesimo come religione della rivelazione finale e piena del mistero di Dio. Francesco non cita mai DA, ma tutti i riferimenti impliciti ne fanno come la roadmap del dialogo, continuamente aggiornata d’accordo con “lo spirito del dialogo” del Concilio. Ce lo indica anzitutto la convinzione dell’importanza del dialogo che, per Francesco, trova fondamento nella stessa comprensione di Dio, incarnata in Gesù di Nazaret, come Dio di misericordia e tenerezza, che “non si stanca mai di perdonare. Un Dio “in dialogo”, dunque, che comprende, ascolta con compassione, sente il dolore delle persone, al quale la Chiesa è chiamata a ispirarsi sempre di nuovo. È quanto afferma anche DA a proposito del Dio di Gesù Cristo, come nostro modello, sia per il dialogo, sia per l’annuncio.

Va letto come ulteriore maturazione del rapporto tra dialogo e annuncio anche il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, perfino nell’affermazione che ha fatto più discutere i teologi:

“La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”.

Non si tratta di relativismo, di unanimismo, di svolta pluralista di papa Francesco, ma di riconoscere effettivamente la Sapienza divina misteriosamente al lavoro presso miliardi di persone che vivono la loro fede oltre i confini della Chiesa e addirittura oltre i confini dei tre monoteismi abramitici. Sarebbe ingeneroso nei confronti di Dio non vedere nel mirabile caleidoscopio religioso dell’Iraq, che il papa ha visitato nel marzo scorso, l’azione dello Spirito e la potenza redentrice di Cristo, nel segno del Concilio e della grammatica del dialogo interreligioso messa a punto dal Pontificio Consiglio, d’accordo con quello che oso chiamare il “quadrilatero” teologico di DA: a) l’unità del genere umano nella sua origine e nel suo fine; b) l’universalità della redenzione operata da Cristo; c) l’azione universale dello Spirito; d) l’universalità del regno di Dio.

Ebbene, papa Francesco nel dialogo con l’islam non ha rinunciato a questa cornice teologica conciliare, ripresa da DA. Lo conferma anche il discorso del primo incontro pubblico del suo viaggio in Iraq, a Baghdad, con le autorità, il 5 marzo scorso:

“La diversità religiosa, culturale ed etnica, che ha caratterizzato la società irachena per millenni, è una preziosa risorsa a cui attingere, non un ostacolo da eliminare […]. Vengo come penitente che chiede perdono al Cielo e ai fratelli per tante distruzioni e crudeltà e vengo come pellegrino di pace, in nome di Cristo, Principe della Pace”.

Detto altrimenti, per papa Bergoglio il dialogo interreligioso si instaura non astrattamente tra religioni, ma concretamente tra credenti in carne ed ossa capaci di rimettere al centro una fede dialogante che coincide davvero con l’annuncio di una “buona notizia” per l’umanità, che è inseparabile dal riconoscimento di ciò che è autenticamente umano e perciò opera della Sapienza divina. Introducendo la Preghiera di suffragio per le vittime della guerra, a Mosul, domenica 7 marzo, Francesco ha affermato:

“Se Dio è il Dio della vita – e lo è –, a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – e lo è –, a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è –, a noi non è lecito odiare i fratelli”.

Anche in queste parole vibranti si coniuga un annuncio profetico della verità di Dio, oggetto della fede, presente nella storia, in dialogo con i fedeli dell’islam sunnita e sciita. Un annuncio e un dialogo, dunque, che si sostengono e alimentano reciprocamente, come ha più volte affermato con i suoi gesti e le sue parole Francesco. È il sogno realizzato del Concilio Vaticano II – tantum aurora est, aveva detto papa Giovanni XXIII! – nel contesto tragico di una violenza inaudita all’origine di ferite umane e spirituali inimmaginabili.


“Diálogo y Anuncio”. 
Una piedra miliar en el Diálogo Interreligioso

Después de muchos siglos de exclusivismo teológico con respecto a los seguidores de otras religiones y tradiciones religiosas – especialmente judíos y musulmanes – uno puede preguntarse si la actitud del Vaticano II hacia las diferentes religiones, tal como ha sido retomada y profundizada por los documentos del Pontificio Consejo para el Diálogo Interreligioso, particularmente a partir de la Instrucción Diálogo y Anuncio, sigue siendo actual después de treinta años. En mi opinión, las afirmaciones del magisterio conciliar, retomadas y profundizadas por DA, a pesar de algunas insuficiencias teológicas ante los desafíos del pluralismo religioso actual, son aún generadoras de un Diálogo Interreligioso auténtico y fecundo. De hecho, constituyen una piedra miliar en el camino del Diálogo posconciliar. Prueba de ello son el magisterio y la acción pastoral de Francisco que, primer Papa que no participó en el Concilio, cumplió el sueño de Pablo VI de una Iglesia que se hace diálogo, ad intra y ad extra, colocándose evangélicamente a la escucha de toda la humanidad, en particular de aquella humanidad herida por el dolor y la muerte, como lo testimonia también su reciente viaje a Irak.

A treinta años de distancia, en un clima de mayor apertura y respeto, pero también de controversias y violencias siempre nuevas apelando (abusivamente) a Dios y a la religión, está ganando terreno la necesidad de una nueva comprensión de la unicidad de Cristo. Es decir, la pregunta es si el pluralismo religioso, además de imponerse como constitucional en la era de la globalización, tenga también una raíz teológica, en la voluntad misma de Dios, en su misericordia (fidelidad) al interno del único e insondable plan de salvación, como parece testimoniar Pablo a los Romanos, especialmente en los capítulos 9-11, dedicados al misterio de Israel ante la novedad del Evangelio de Jesucristo. En otras palabras, la pregunta consiste en si el pluralismo religioso, más que una amenaza, pueda ser un don para la misión, para su transformación y purificación. De manera que el pluralismo podría convertirse en la ocasión para el redescubrimiento del sentido más auténtico ya sea del Diálogo como del Anuncio, reflejándose éste pluralismo en la unicidad y singularidad de Jesucristo, no sólo en su traducción y cristalización dogmática, sino también en su histórica particularidad contextual.

En la paradoja de la encarnación de Dios, los cristianos tienen una riqueza de pensamiento muy valiosa para comprender cómo el cristianismo puede entablar un diálogo con otras religiones sin comprometer su propia identidad, más bien subrayándola, rescatándola, exaltándola. En la era del pluralismo religioso es importante reapropiarse, por tanto, de la lógica evangélica de la encarnación, que no admite formas de verdad intolerantes y absolutistas, sino que exige una forma relacional y dialógica. En este sentido, la universalidad de Cristo es precisamente esta capacidad de apertura al otro, a todos los demás, sin cerrarse sobre sí mismo, gracias a la figura de la pobreza, asumida como estilo de su acción.

Me parece que este es el camino recorrido por el Papa Francisco en su exhortación apostólica Evangelii gaudium, un documento no dedicado explícitamente al Diálogo, pero que transpira Diálogo de principio a fin, sin comprometer nunca la unicidad de la mediación de Cristo y sin eliminar la prerrogativa del cristianismo como religión de la revelación final y plena del misterio de Dios. Francisco nunca menciona el documento DA, pero todas las referencias implícitas la convierten en la hoja de ruta del Diálogo, continuamente actualizada según el “espíritu de diálogo” del Concilio.

Esto demuestra sobre todo la convicción de la importancia del Diálogo, que, para Francisco, encuentra su fundamento en la comprensión misma de Dios, encarnado en Jesús de Nazaret, como Dios de misericordia y ternura, que “no se cansa nunca de perdonar”. Un Dios “en diálogo” que, por consiguiente, comprende, escucha con compasión, siente el dolor de las personas, y al que la Iglesia está llamada a inspirarse siempre de manera nueva. Esto es lo que DA afirma también a propósito del Dios de Jesucristo, como nuestro modelo, ya sea para el Diálogo como para el Anuncio.

El Documento sobre la fraternidad humana por la paz mundial y la convivencia común ha de leerse también como una maduración más de la relación entre Diálogo y Anuncio, incluso en la afirmación que más ha hecho discutir a los teólogos:

La libertad es un derecho de toda persona: todos disfrutan de la libertad de credo, de pensamiento, de expresión y de acción. El pluralismo y la diversidad de religión, color, sexo, raza y lengua son expresión de una sabia voluntad divina, con la que Dios creó a los seres humanos. Esta Sabiduría Divina es la fuente de la que proviene el derecho a la libertad de credo y a la libertad de ser diferente. Por esto se condena el hecho de que se obligue a la gente a adherir a una religión o cultura determinada, como también de que se imponga un estilo de civilización que los demás no aceptan”.

No se trata de relativismo, de homogenización, o de una revolución pluralista del Papa Francisco, sino de reconocer efectivamente la Sabiduría divina que obra misteriosamente en medio de miles de millones de personas que viven su fe más allá de las fronteras de la Iglesia e, incluso, más allá de las fronteras de los tres monoteísmos abrahámicos. Sería poco generoso ante Dios no ver en el maravilloso caleidoscopio religioso de Irak, que el Papa visitó el pasado mes de marzo, la acción del Espíritu y el poder redentor de Cristo, en el signo del Concilio y de la gramática del Diálogo interreligioso desarrollada por el Pontificio Consejo, de acuerdo, con lo que me atrevo a llamar, el “cuadrilátero” teológico de DA: a) la unidad del género humano en su origen y en su fin; b) la universalidad de la redención realizada por Cristo; c) la acción universal del Espíritu; d) la universalidad del reino de Dios.

Ahora bien, el Papa Francisco en diálogo con el Islam no ha renunciado a este marco teológico conciliar, retomado por DA. Así lo confirma también el discurso en el primer encuentro público de su viaje a Irak, en Bagdad, con las autoridades, el pasado 5 de marzo:

La diversidad religiosa, cultural y étnica, que ha caracterizado a la sociedad iraquí por milenios, es un recurso precioso que se ha de aprovechar, no un obstáculo a eliminar […]. Vengo como penitente que pide perdón al Cielo y a los hermanos por tantas destrucciones y crueldad. Vengo como peregrino de paz, en nombre de Cristo, Príncipe de la Paz”.

Es decir, para el Papa Bergoglio, el Diálogo Interreligioso no se establece de forma abstracta entre religiones, sino concretamente entre creyentes de carne y hueso capaces de poner al centro una fe dialogante que coincide verdaderamente con el anuncio de una “buena nueva” para la humanidad, que es inseparable del reconocimiento de lo que es auténticamente humano y, por tanto, obra de la Sabiduría divina.

Al presentar la Oración en sufragio por las víctimas de la guerra, en Mosul, el domingo 7 de marzo, Francisco afirmó:

Si Dios es el Dios de la vida – y lo es – a nosotros no nos es lícito matar a los hermanos en su nombre. Si Dios es el Dios de la paz – y lo es – a nosotros no nos es lícito hacer la guerra en su nombre. Si Dios es el Dios del amor – y lo es – a nosotros no nos es lícito odiar a los hermanos”.

Estas vibrantes palabras conjugan también una proclamación profética de la verdad de Dios, objeto de la fe, presente en la historia, en diálogo con los fieles del Islam sunita y chiita. Un Anuncio y un Diálogo, por tanto, que se apoyan y se nutren recíprocamente, como ha afirmado repetidamente Francisco con sus gestos y palabras. Es el sueño hecho realidad del Concilio Vaticano II – ¡tantum aurora est, había dicho el Papa Juan XXIII! – en el trágico contexto de una violencia sin precedentes, origen de heridas humanas y espirituales inimaginables.


“Dialogue and proclamation”:
a milestone in inter-religious-dialogue

After many centuries of theological exclusivism towards the followers of other religions and religious traditions - especially Jews and Muslims - one might wonder if the attitude of Vatican II towards the different religions, as it has been taken up and deepened by the documents of the Pontifical Council for Interreligious Dialogue, especially the instructions of Dialogue and Proclamation (DP), is still relevant after thirty years. In my opinion, despite some theological insufficiencies in the face of the challenges of today's religious pluralism, the affirmations of the conciliar magisterium, taken up and deepened by DP, are still generative of authentic and fruitful interreligious dialogue. Indeed, they constitute a milestone on the path of post-conciliar dialogue. Proofs of this are the magisterium and the pastoral action of Francis, the first pope who did not participate in the Council, and yet has been fulfilling Pope Paul VI's dream of a Church in dialogue, ad intra and ad extra. He has placed himself in an evangelical attitude of listening to the whole of humanity, particularly persons wounded by pain and death, as his recent trip to Iraq testifies.

Thirty years later, in an atmosphere of greater openness and respect, but also of new competition and violence spurred on by the (abusive) appeal to God and to religion, the need for a new understanding of the uniqueness of Christ is gaining ground. In other words, the question arises whether religious pluralism, in addition to imposing itself as constitutional in the era of globalization, has also a theological root, in the very will of God, in his mercy (fidelity) within the unique and unfathomable plan of salvation. Paul seems to testify to this idea in his letter to the Romans, especially in the chapters 9-11, which are dedicated to the mystery of Israel in the face of the newness of the Gospel of Jesus Christ. In other words, the question is whether religious pluralism, rather than being a threat, could also be a gift for mission, for its transformation and purification. Thus, pluralism could become the occasion for the rediscovery of the most authentic meaning of both dialogue and proclamation, reflecting itself in the uniqueness and singularity of Jesus Christ, not only in its dogmatic translation and crystallization, but also in its historical contextual particularity.

In the paradox of the incarnation of God, Christians have a very precious resource of thought to understand how Christianity can engage in dialogue with other religions without compromising its own identity, but instead underscoring it, rehabilitating it, and exalting it. In the era of religious pluralism, it is therefore important to re-appropriate the evangelical logic of the incarnation, which does not admit intolerant and absolutistic forms of truth, but rather requires one that is relational and dialogical. In this sense, the universality of Christ is precisely his capacity of being open to the other, to every otherness, without closing in on himself, thanks to the great poverty he assumed as his mode of action.

This seems to me to be the path taken by Pope Francis, in his apostolic exhortation Evangelii gaudium, a document not explicitly dedicated to dialogue, but in which dialogue emerges from the beginning to the end, without ever compromising the uniqueness of Christ's mediation or eliminating the claim of Christianity as a religion of the final and full revelation of the mystery of God. Pope Francis never mentions DP, but all implicit references make it the roadmap of dialogue, continuously updated in accordance with the Council's "spirit of dialogue". This is indicated above all by the conviction of the importance of dialogue which, for Francis, finds its foundation in the very understanding of God, incarnated in Jesus of Nazareth, as a God of mercy and tenderness, who "never tires of forgiving". The Church is called to be inspired always anew by a God "in dialogue", that is a God who understands, listens with compassion, and feels the pain of people. This is what DP also affirms about the God of Jesus Christ, as our model, both for dialogue and for proclamation.

The “Document on Human Fraternity for World Peace and Common Coexistence (Living together?)” should also be read as a further maturation of the relationship between dialogue and proclamation, even in the affirmation that has caused theologians to debate the most:

"Freedom is a right of every person: each individual enjoys the freedom of belief, thought, expression and action. The pluralism and the diversity of religions, colour, sex, race and language are willed by God in His wisdom, through which He created human beings. This divine wisdom is the source from which the right to freedom of belief and the freedom to be different derives. Therefore, the fact that people are forced to adhere to a certain religion or culture must be rejected, as too the imposition of a cultural way of life that others do not accept.

It is not a question of relativism, or of being homogenized, of Pope Francis shifting to pluralism, but of actually recognizing divine Wisdom mysteriously at work with billions of people who live their faith beyond the borders of the Church and even beyond the borders of the three Abrahamic monotheisms. It would be ungenerous towards God not to see in the wonderful religious kaleidoscope of Iraq, which the pope visited last March, the action of the Spirit and the redemptive power of Christ. This kaleidoscope, in the spirit of the Council and the grammar of interreligious dialogue developed by the Pontifical Council, is in agreement with what I dare to call the theological "quadrilateral" of DP: a) the unity of the human race in its origin and in its end; b) the universality of the redemption brought about by Christ; c) the universal action of the Spirit; d) the universality of the kingdom of God.

Certainly, Pope Francis in dialogue with Islam has not given up on this conciliar theological framework, taken up by DP. This is also confirmed by his speech to the authorities at the first public meeting of his trip to Iraq, in Baghdad, on March 5:

"…the religious, cultural and ethnic diversity that has been a hallmark of Iraqi society for millennia is a precious resource on which to draw, not an obstacle to be eliminated. […]. I come as a penitent, asking forgiveness of heaven and my brothers and sisters for so much destruction and cruelty. I come as a pilgrim of peace in the name of Christ, the Prince of Peace”.

In other words, for Pope Bergoglio interreligious dialogue is established not in abstract manner between religions, but in concrete ways between believers - in flesh and blood - capable of putting at the center a dialoguing faith that truly coincides with the proclamation of "good news" for humanity. This is inseparable from the recognition of what is authentically human and therefore the work of divine Wisdom. Introducing the suffrage prayer for the victims of war, in Mosul on Sunday 7 March, Francis affirmed:

If God is the God of life – for so he is – then it is wrong for us to kill our brothers and sisters in his Name. If God is the God of peace – for so he is – then it is wrong for us to wage war in his Name. If God is the God of love – for so he is – then it is wrong for us to hate our brothers and sisters."

These vibrant words combine a prophetic proclamation of the truth of God, the object of faith, present in history, and the dialogue with the faithful of Sunni and Shiite Islam. There is hence a proclamation and a dialogue, which mutually support and nourish each other, which Pope Francis has repeatedly affirmed with his gestures and words. It is - tantum aurora est! -the dream of the Second Vatican Council announced by Pope John XXIII that takes shapes, in the tragic context of unprecedented violence at the origin of unimaginable human and spiritual wounds.

Mario Menin sx
28 May 2021
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