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Il Covid-19 e l’economia africana

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Mentre sembra che l’emergenza Covid-19, dopo aver infierito in Italia e in Europa, stia perdendo forza qui da noi, non possiamo sfuggire alla domanda di che cosa stia succedendo in Africa e quale sia l’impatto di Covid-19 in quel Continente che ha una struttura socio-economica e sanitaria molto precaria. Le informazioni sono poche e imprecise. Si può dire che la diffusione del virus in Africa si diffonda tra la gente forse più lentamente che da noi, ma un dato ormai chiaro e assodato è che l’economia africana è già stata «contagiata», ossia che il Covid-19 sta avendo effetti drammatici sull’economia e quindi sul benessere di tanta gente. Con quali conseguenze?

Le conosciamo dall’esperienza italiana e possiamo quindi immaginarci l’impatto sulle famiglie in Africa già vulnerabili: picchi di povertà, mancanza di cibo per i bambini e fine di ogni servizio sociale e assistenziale. Per l’Africa come per gli altri paesi poveri varrà ancora una volta il proverbio: i poveri sempre più poveri. Può darsi - e lo speriamo - che il Covid-19 mieta in Africa, in proporzione, meno vittime che da noi, dato che quella popolazione ha già passato tante di quelle epidemie che potrebbe essere stata, almeno in parte, immunizzata. Ma le conseguenze economiche, quelle, sono già pesanti e lo saranno sempre più nei prossimi mesi e anni.

Questo scenario è oggetto di un lungo articolo de La Civiltà Cattolica (n. 4076, pp. 155-162) a firma di Charlie Chilufya, che, dopo aver esaminato varie situazioni dell’economia in Africa, conclude affermando che la crisi economica e commerciale che ha colpito prima di tutto la Cina per il Covid-19, si è ripercossa pesantemente sull’economia e il commercio dell’Africa e, in particolare, sul «settore informale» dell’economia. Non sono mancate conseguenze, gravi anche queste, sulla «grande» economia dei paesi africani. Ma il ristagno del commercio potrebbe a breve annullare i progressi compiuti in questi ultimi dieci anni nella lotta contro la povertà e compromettere quindi lo sviluppo economico, per esempio, di paesi come Kenya, Nigeria, Ghana, Senegal, Africa del Sud, vanificando quello che si è ottenuto: alla fine del 2019 il numero degli africani uscito dalla povertà estrema era cresciuto (cf. le proiezioni del World Data Lab) e ci si poteva attendere una conferma di questa tendenza nel prossimo futuro. Purtroppo oggi, con la crisi attuale, questa tendenza sarà necessariamente ridotta o almeno temporaneamente bloccata.

Guardando più da vicino la realtà economica africana, si deve riconoscere che l’impatto globale del virus ha un contraccolpo diretto in quell’insieme di piccole imprese, ossia nel cosiddetto «settore informale» dell’economia, che fornisce ogni sorta di merce, dal tessile all’elettronica con prodotti rigorosamente «made in China». Per i piccoli imprenditori e dettaglianti, che assicurano molto della crescita economica in Africa, il venir meno delle forniture dall’estero equivale a smettere di lavorare e, conseguentemente, a perdere il proprio reddito. E non solo, ma i prodotti provenienti dalla Cina, oggi ancora sul mercato, presto si esauriranno completamente.

Fino a qualche tempo fa i piccoli imprenditori si recavano personalmente in Cina ad approvvigionarsene. Adesso questo non è più possibile: «A Nairobi e in diverse altre città africane, le scorte di alcuni prodotti provenienti dalla Cina, compresi i generi alimentari, sono già state decimate, facendo lievitare i prezzi», afferma Waweru, presidente della Nairobi Traders Association. Le catene di fornitura sono state interrotte ormai da settimane, anche perché molte fabbriche cinesi chiuse per mesi, fanno fatica a riaprire e riprendere il precedente ritmo di produzione. «Al momento è molto difficile rimpiazzare i cinesi», osserva un imprenditore di Accra. Le piccole imprese nigeriane sono a loro volta tra le più colpite. Si dice che nessun Paese africano consumi tante merci cinesi quanto la Nigeria!

Ad aggravare ulteriormente la situazione economica si sono poi le misure giustamente prese dai governi per evitare il diffondersi del contagio, come la chiusura delle fabbriche, dei supermercati, la cancellazione dei voli provenienti dalle zone colpite, la chiusura delle imprese e anche dei mercati. Ora questi provvedimenti si traducono in una perdita di salario per i lavoratori del commercio in paesi dove non esistono gli ammortizzatori sociali.

Insomma, le ripercussioni più gravi, oltre che sulla macroeconomia, si sentono proprio sulla microeconomia, su quel «settore informale», principale fonte di approvvigionamento e sostentamento per la gran parte dei cittadini. Come già detto, gli operatori del settore informale sono per lo più donne e giovani che non hanno altro mezzo per la loro sopravvivenza e sussistenza. È difficile quantificare e descrivere in modo adeguato queste ripercussioni. L’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ritiene che l’economia sommersa rappresenti il 41% del prodotto interno lordo dell’economia dell’Africa subsahariana. Essa va da meno del 30% in Sudafrica fino al 60% in Nigeria, Tanzania e Zimbabwe. E’ proprio l’economia informale che dà lavoro a moltissime persone e corrisponde ai tre quarti dell’occupazione non agricola e a circa il 72% dell’occupazione totale subsahariana.

È chiaro che questa situazione sta aggravando il problema della povertà in Africa, l’ultima frontiera del mondo nella lotta contro la povertà estrema. Oggi un africano su tre, cioè 422 milioni di persone, vive sotto la soglia globale di povertà e in Africa vive oltre il 70% delle persone più povere del mondo.

Che cosa dovrebbero fare i Paesi africani per ridurre l’impatto economico del Covid-19? In primo luogo, ammettere l’esistenza della pandemia e affrontarla con decisione e approntare un valido piano per sconfiggerla. Bisogna sensibilizzare le popolazioni sul da farsi. È una benedizione che la diffusione del virus in Africa sia ritardata e più lenta che altrove e di tale realtà i governanti africani dovrebbero approfittare. La Banca mondiale ha già messo a disposizione circa 12 miliardi di dollari, e il Fondo monetario internazionale ha stanziato un prestito di 50 miliardi attraverso i suoi strumenti di finanziamento di emergenza a erogazione rapida per i Paesi a basso reddito e i mercati emergenti. Questo denaro servirà alla lotta al virus o finirà nelle tasche dei governanti? Saranno questi veri aiuti oppure aggraveranno ulteriormente la situazione dei poveri?

In secondo luogo, si dovrebbe rafforzare la rete di assistenza sociale e dove non c’è crearla. Le ripercussioni economiche del Covid-19 saranno più dure per le famiglie che in generale non hanno risparmi per sopravvivere alla recessione economica e a quelli che non sono in grado di assumere lo smartworking. Nei nostri paesi in casi simili ci si attende degli aiuti sociali per il tempo della malattia, la copertura sanitaria agevolata, sovvenzioni per la sopravvivenza delle piccole imprese messe in ginocchio dalla crisi. Ma tutto questo e altro è immaginabile in Africa?  Di qui la preoccupazione per il futuro dell’Africa.

Tavernerio, 22 aprile 2020.

Gabriele Ferrari sx
29 April 2020
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