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Verso i 64 anni di presenza saveriana nella Repubblica Democratica del Congo

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Ho letto con vivo interesse l’intervento di Sergio Targa, ‘Settant’anni di presenza in Bangladesh’, apparso in M.O. 2021/n.6, pp.34ss, e riprodotto sul sito-web della DG. Mi ha interessato molto non solo per la ricostruzione storica, eroica (cfr. gli inizi difficili e ‘fraintesi’, i ‘martiri’, le coraggiose ‘vie nuove’) e realistica, della presenza saveriana in quel Paese, di cui non conoscevo molti passaggi. Mi hanno soprattutto punzecchiato alcune constatazioni e alcuni rilievi conclusivi di p. Targa perché li ho percepiti subito come dei grossi punti interrogativi validi anche per ‘la presenza saveriana’ qui in Congo. Mi congratulo quindi, pur da ‘straniero’, e ringrazio p. Targa per il suo intervento.

Una parentesi: purtroppo non vedo ancora aprirsi nei nostri brillantissimi ‘media’ virtuali un angolo di libero scambio fraterno sulle problematiche che ci avvolgono, che pur c’era nella nostra tradizione! (Vedi, ad esempio, iComMix ai tempi di p. Marini). Dovremmo discutere cordialmente ‘cammin facendo’. Non potremmo essere tra i primi, in fedeltà alla nostra caratteristica comunitaria-fraterna, a ritrovare quello ‘stile sinodale’ tipico della nostra tradizione saveriana, che il Papa si affatica oggi a proporre a tutta la Chiesa?

Certo, la storia e il contesto socio-culturale del Bangladesh (BD) e della Repubblica Democratica del Congo (RDC) sono evidentemente molto diversi. Ma, sulla base della riflessione di p. Targa, trovo vari punti di contatto interessanti per quanto riguarda proprio ‘la presenza saveriana’ nei due Paesi e per quanto riguarda le prospettive immediate. Provo ad identificarne qualcuna, come possibile base di riflessione anche per noi qui in Congo.

— La presenza saveriana in BD è nata in un clima ancora chiaramente preconciliare (cfr. il criterio delle conversioni-battesimi, e il conseguente scoraggiamento di p. Bernacchi e altri). Invece, la presenza saveriana nella RDC è nata o almeno è cresciuta subito in un clima chiaramente conciliare (cfr la plantatio ecclesiae di p. Catarzi e l’opzione per le piccole comunità viventi).

— In BD, con il Concilio VAT. II la missione saveriana ha assunto anche la dimensione integrante della promozione umana. Qui, nella RDC, si sono responsabilizziate subito in questo senso le piccole comunità cristiane del luogo, anche se i missionari sono sempre intervenuti generosamente per colmare le lacune …o per realizzare le cose più in fretta!

— Con la crescita della Chiesa locale, in BD i saveriani si son lanciati sulle ‘vie nuove’... Anche nella RDC, l’hanno fatto parzialmente: vedi le scuole, fino all’ISP di p. Milani; la preoccu-pazione sanitaria e la presenza nei dispensari-ospedali (cfr Kampene). Ci sono stati anche dei tentativi di un nuovo tipo di missione comunitario (con dei laici), e integrale, (cfr Kiringye, Bu-nyakiri, Goma…). La comunità saveriana si è aperta e impegnata decisamente anche nell’animazione vocazionale e formazione nei seminari diocesani e interdiocesani, e più tardi anche nella formazione saveriana specifica, che lentamente si è strutturata assai solidamente. Ma il grosso della comunità saveriana è rimasto impegnato a fondo nella pastorale delle ‘parrocchie missionarie’, spesso popolose e a vasto raggio, ma ormai assai strutturate, e quindi non più ‘ad gentes’, e forse neanche di necessaria supplenza (cfr C 10). Dalla diocesi di Uvira, la presenza saveriana si è estesa progressivamente anche alle diocesi di Bukavu, Goma, Kinshasa, Kindu… È forse a questo punto che ci è mancato in Congo il coraggio di un discernimento carismatico decisivo, come quello dei Saveriani di Khulna negli anni ’90 di cui parla p. Targa?

— Poi, più o meno come in BD, “nelle ultime decadi, nonostante le tante morti, l’étà ormai avanzata di tanti (italiani), la quasi scomparsa inattesa di quello che sembrava poter essere il promettente  ricambio dei saveriani messicani e in attesa della crescita del gruppo congolese,… i saveriani della RDC hanno cercato di mantenere le posizioni (solo chiudendo a malincuore qualche parrocchia), con il risultato di aumentare la dispersione del personale missionario”, … ‘dimenticando’ la tensione missionaria specifica, con il rischio molto concreto che i “superstiti” congolesi siano tentati dalla paura dell’insicurezza strutturale futura e quindi siano presi dalla voglia di ben installarsi ‘pastoralmente’ in loco, dimenticando gli orizzonti missionari ‘ad gentes’.

— In sede di bilancio, p. Targa è assai severo per quanto riguarda lo slancio missionario residuo della Chiesa di Khulna fondata dai saveriani. Non ho nessun elemento per contestare la sua lettura piuttosto ‘disincantata’ dei ‘risultati’: piuttosto mi sento stuzzicato a trovare delle curiose somiglianze con la Chiesa di Uvira, che i saveriani “hanno creato e fatto crescere in tutte le sue componenti”, o con la Chiesa di Bukavu, dove i saveriani han dato certo una grande spinta per la sua crescita.

Le due Chiese, come quella di Khulna, “oggi sono autonome e indipendenti dai saveriani, che vi lavorano come semplici ausiliari… “E se a livello di plantatio ecclesiae (l’azione dei saveriani) può essere considerata un successo, dal lato più strettamente missionario rimane ancora una realtà in evoluzione”. “L’apertura missionaria (…) non è ancora una realtà evidente. L’attenzione per i gruppi marginali (…) sembra non essere ancora operativa. Molto attente alla dimensione sacramentale e celebrativa” (cfr. nella RDC, le 4-5 ore delle grandi celebrazioni in cattedrale con più di un centinaio di preti), le nostre Chiese locali “sembrano meno interessate alla dimensione profetica e di testimonianza”).

Il colmo è che trovo una stranissima somiglianza anche nella dissomiglianza statistica più radicale!  Parlando di Khulna, Targa rileva che “con una popolazione cristiana che corrisponde allo 0,2 per cento della popolazione, (la diocesi) è ancora troppo concentrata su stessa, con poco o nessun interesse verso le masse non cristiane in cui vive”. Ma che dire quando più o meno la stessa attitudine di ‘autoreferenzialità’ (per dirla con papa Francesco) e di ‘disinteresse’ verso le masse cristiane e non-cristiane (cfr. la chiusura imposta bruscamente d’autorità delle messe extra-parroc-chiali, che pur radunavano centinaia di persone) sembra esserci nella RDC, dove la ‘popolazione cristiana’ raggiunge ormai il 60% della popolazione?

— Anche sulle prospettive, strano ma vero, mi sembra di notare una assai prevedibile coincidenza. Dice p. Targa: “Al momento, la Chiesa di Khulna, ma potremmo dire del Bangladesh (della RDC, ndr.) resiste ancora come cittadella cristiana (anzi, come preteso attore politico nazionale: cfr. le battaglie della CENCO per denunciare le frodi -e l’invalidità- delle elezioni presidenziali, la lotta politica per imporre altri candidati per la formazione della nuova commissione elettorale, ecc.), ma tutto lascia presagire che sia solo questione di tempo, e che anch’essa dovrà affrontare la realtà di una società sempre più indifferente ai valori e prospettive”.

— Ma mai disperare, nell’orizzonte pasquale-pentecostale! Anche se purtroppo, come quella del BD, la Chiesa della RDC “sembra essersi incamminata verso la stessa meta che le sorelle occidentali stanno già raggiungendo: quella della insignificanza e marginalità sociale”. Attiviamo allora i motori spenti della indefettibile speranza cristiana.

Non profeti di sventura, ma cristiani con gli occhi puntati per leggere in ‘un futuro che rimane nebuloso’, spiragli di luce per delle nuove presenze missionarie più evangeliche che, a differenza del passato, dovranno probabilmente essere “piccole e umili, snelle (…), lontane dal potere e dai soldi, aperte alla condivisione e all’accoglienza, oltre ogni cittadella e ghetto di sorta” (cfr. la presenza saveriana in Marocco?).

Grazie mille, p. Sergio! E gli altri confratelli nella RDC, cosa ne dicono?

Ciao a tutti (specie gli eventuali lettori, specialmente se anche interlocutori)!

Antonio Trettel, sx
Bukavu, 25.1.2022

Antonio Trettel sx
07 February 2022
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