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Ministro della Parola per il primo annuncio

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Riflessioni nel 25° anno di ordinazione presbiterale e di missione in Giappone

Missionario in Giappone con una Ferrari sulla cima del monte Fuji

Dopo il biennio filosofico a Parma, ho continuato la mia formazione di base negli Stati Uniti, nella comunità internazionale di Chicago (1992-1997), imparando la teologia della generazione successiva i cui temi erano il dialogo interreligioso, i laici come protagonisti nella pastorale, l’approccio multidisciplinare nella lettura della Bibbia – tanto per citarne alcuni. Giunto in Giappone, mi sono ritrovato nella realtà di un ambito missionario in cui vigeva e vige tutt’ora la teologia della generazione precedente, «col battesimo hai acquistato la salvezza: messa domenicale e preghiere giornaliere, e quando muori vai direttamente in paradiso». Certamente è vera questa promessa, ma incompleta, perché non “attuata”. Ovvero, non prende in considerazione la responsabilità della sequela di Cristo che si realizza “qui e ora” nella vita quotidiana, vivendo da cristiano appunto. Ne risulta che vita quotidiana e vita di fede vengono separate, vissute separatamente. La vita di fede viene relegata nel cuore e vissuta individualmente.

Mi sono trovato ad affrontare una realtà per cui non ero stato affatto preparato, a cominciare dagli aspetti culturali. Ad esempio, la questione della convivenza dell’altare domestico buddista e cristiano uno accanto all’atro. Oppure la richiesta di celebrare in chiesa le esequie di un non cristiano senza alcun sussidio a disposizione. Mi sono sentito come se fossi alla guida di una Ferrari sui pendii del monte Fuji. Non è una combinazione efficace. Non è colpa né dell’una, né dell’altro, ma sono incompatibili: in montagna ci vuole un fuoristrada e in autostrada ci vuole una Ferrari. Non critico la formazione ricevuta, non critico la cultura giapponese, ma trovandosi improvvisamente insieme, la collaborazione tra le due diventa difficile e, soprattutto agli inizi, non si riesce a comunicare.

A proposito di non comunicazione, la lingua giapponese non ha nulla a che fare con il latino, e non ha neppure le sue lettere. Tuttavia, ha ben due alfabeti con una cinquantina di sillabe ciascuno. Ma la caratteristica della lingua giapponese sono gli ideogrammi, piccoli disegni che rappresentano l’idea da comunicare. Per i Giapponesi, la conoscenza e padronanza di circa duemila di essi, cioè il numero stabilito per l’uso nel quotidiano, sono affidate agli otto anni della scuola dell’obbligo. A noi studenti stranieri, invece, sono presentati al secondo anno di lingua, in un paio di mesi. Tuttavia, il mondo universitario, l’ambito lavorativo con le sue specificità e la realtà del cattolicesimo richiedono la conoscenza di altre centinaia ancora. La lingua non è semplice mezzo per trasmettere la dottrina. I traduttori automatici, anche i più sofisticati, possono assicurare la trasmissione, ma non la certezza della ricezione.

Quando cominciano le prime soddisfazioni per i risultati raggiunti, una volta imparata la messa e la lettura del vangelo, si rischia di adagiarsi e di non continuare con lo studio e la preparazione. Dieci minuti di predica non sono impossibili anche se improvvisati. Quando si presenta un catecumeno, lo si deve “riempire di catechismo”, lui o lei deve potermi ascoltare. Compro la traduzione giapponese del catechismo, anche se mi preparo con la versione italiana, illudendomi di usare parole che il mio interlocutore capirà subito solo perché sono in giapponese e le faccio leggere a lui o a lei. Settimanalmente, per diversi mesi, si impone il catechismo. Si ha l’illusione di essere stati chiari, di essere stati ascoltati, di avere un cristiano in più che da ora parteciperà alla messa ogni domenica. Invece, arriva la sorpresa all’indomani della veglia pasquale, quando il catecumeno dice che dalla domenica successiva non potrà venire a messa perché lavora anche di domenica. Pur parlando in giapponese, qualcosa non è stato capito, altro è stato frainteso, e probabilmente la maggior parte del tutto si è persa per strada.

Dal battesimo come traguardo, alla vita cristiana come partenza

In questi venticinque anni di missione in Giappone ho notato un certo sbilanciamento nella presentazione del battesimo come il traguardo del cammino di fede, quasi fosse l’esame finale dopo aver studiato con il missionario per mesi o anni. Traguardo ambito, ma anche, non poche volte e in poco tempo, accantonato ai bordi della strada della vita. Anche se in giapponese si usa l’espressione “sacramenti dell’iniziazione cristiana”,

L’espressione “vita cristiana” è completamente assente dal lessico della Chiesa giapponese. La vita richiama processi dinamici che si iniziano, azioni e interazioni con gli altri, relazioni che coinvolgono, insomma una nuova nascita, la nascita alla vita cristiana.

A volte mi chiedo se non siamo missionari irresponsabili. Generiamo le persone alla fede ma poi le lasciamo andare a loro stesse, non le seguiamo più. Così facendo, rafforziamo l’idea che il battesimo sia tutto, per cui bisogna riceverlo al più presto. Come missionari che generano gli altri alla vita di fede, abbiamo anche il dovere di seguirli e di assisterli nella loro crescita, con il processo di formazione alla vita di fede. Invece, spesso, nella vita della comunità cristiana e nella pastorale missionaria, il centro delle attenzioni e delle forze è diretto alle prime comunioni.  

Ministro della Parola

Da oltre 20 anni, ma in modo piuttosto intenso e frequente negli ultimi dieci anni, grazie a incontri con persone e a occasioni che mi si sono presentate o offerte, mi sono trovato a essere sempre più immerso nella situazione di creare sussidi, fare conferenze, offrire contribuiti avendo come tema comune la Parola, in presenza e online, settimanalmente o mensilmente, per iscritto o a voce. Attività che svolgo con gioia e soddisfazione. Tutto nell’ottica e con lo scopo di far gustare prima e realizzare poi la Parola nella quotidianità, nella vita.

La relazione con la Bibbia per molti cattolici giapponesi è di tipo informativo. Non sono pochi quelli che hanno letto tutta la Bibbia dal primo versetto della Genesi all’ultimo versetto dell’ultimo capitolo dell’Apocalisse, in 2 o 3 anni. Tale lettura continuata potrebbe sembrare un’impresa, ma in realtà anche un ateo può leggere tutta la Bibbia.

Per il cristiano la Bibbia è Parola di Dio. La sfida e la peculiarità del credente è di dialogare e farsi interrogare dalla Parola che è rivolta a lui qui e ora. Non dà soluzioni ai problemi, ma offre la prospettiva da cui vedere i problemi per risolverli. Di fronte al racconto di un miracolo, la questione centrale non è se sia accaduto o meno, quanto, piuttosto, attraverso di esso quale messaggio, quale invito ci viene offerto, e come rispondiamo a esso. Interessante notare come ciascun evangelista a seconda dello scopo teologico sia breve o dettagliato nella descrizione di un episodio di guarigione.

Per il credente, la relazione con la Bibbia passa da informativa a relazionale formativa. Non coinvolge solo la testa, ma pure il cuore e le mani. Si crea un’interazione che investe tutta la persona, corpo e anima, pensiero e volontà. Con il cuore la fa sua, la porta nel cuore, e dal cuore la porta alle mani, ovvero la mette in pratica. Questo è l’aspetto performativo sacramentale della Parola.

Per cammino di conversione si intende non solo la conversione prima del battesimo, ma il continuo processo di conversione anche e soprattutto dopo il battesimo. Lasciarsi trasformare dalla Parola fatta carne, Gesù Cristo. Per questo motivo, le nostre attività pastorali e missionarie devono ripetere e riproporre con costanza il primo annuncio. La formazione cristiana, necessaria nelle tappe della vita, e la catechesi, che non è la spiegazione del catechismo, sono un continuo approfondimento del primo annuncio che va sempre più facendosi carne nella vita del credente (cfr. Evangelii Gaudium 164-165). Primo annuncio non in senso cronologico, ma in senso esistenziale, che accompagna e interroga la crescita cristiana di ciascun credente e missionario.

Dopo il battesimo si insiste sulla partecipazione settimanale alla messa, ma in Giappone partecipare alla messa ogni domenica non è una cosa scontata, a cominciare dalla possibilità prima ancora della volontà di parteciparvi. Infatti, il sistema sociale che prevede il lavoro di domenica, la lontananza della chiesa e praticamente una sola messa per parrocchia rendono difficile la pratica della partecipazione settimanale.

Tuttavia, durante la settimana si offrono occasioni e modalità per familiarizzare con la Parola. Questo è il fine e il contenuto dei vari sussidi e volumetti che ho pubblicato in questi anni, frutto della mia pratica missionaria di primo annuncio con i laici giapponesi. Semplici strumenti a portata di mano, proposte di preghiera e meditazione per stare con la Parola, gustarla, e soprattutto incarnarla nella propria vita durante la settimana.

“Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Matteo 28,20). Questa era la frase del vangelo scritta sul retro dell’immaginetta a ricordo della mia ordinazione. Rendo grazie a Colui che ha mantenuto la promessa ogni singolo giorno nei miei venticinque anni di ministero della Parola per il primo annuncio.

Renato Filippini, sx

Renato Filippini sx
08 August 2022
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