L’elezione di papa Bergoglio ha risvegliato l’interesse per la riforma della Chiesa. Un tema – e un termine – con il quale la Chiesa cattolica si è riconciliata solo recentemente, grazie al Concilio Vaticano II (1962-1965), che ne ha riscattato la valenza positiva, dopo secoli di condanna, in quanto identificato con lo scisma protestante. Francesco, pur non ritenendosi un “riformatore”, ha lanciato segni di “riforma” fin dal primo giorno del suo pontificato. Ha ripreso il tema nell’esortazione apostolica programmatica Evangelii gaudium, in chiave missionaria. Ed è tornato a parlarne in occasione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana a Firenze il 10 novembre 2015 a Firenze: “La riforma della Chiesa – e la Chiesa è semper reformanda – […] non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività”. Per Francesco, la riforma è dunque un’istanza fondamentale della Chiesa, che non riguarda solo la dimensione ecumenica (cfr. Unitatis redintegratio 6), ma la sua stessa missione evangelizzatrice.
Per comprendere meglio la chiave “missionaria” della riforma secondo Francesco, basta leggere il n. 27 dell’Evangelii gaudium: «Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia». In altre parole, per il papa la riforma è anzitutto la “conversione missionaria” – personale, comunitaria, strutturale – di tutto il popolo di Dio. Cosa che implica processi lunghi, attraverso cammini sinodali, animati dall’utopia del regno di Dio. Insomma, si tratta di vivere la missione non solo programmaticamente – con sempre nuovi atti missionari –, ma paradigmaticamente, cioè ponendo in chiave missionaria tutte le attività abituali delle Chiese locali, valorizzando tutti i ministeri e carismi presenti nel popolo di Dio.
Il rilancio della riforma da parte di Francesco ha colto di sorpresa molti – anche negli istituti missionari – e solo lentamente vescovi, teologi – le teologhe, in verità, ne hanno sempre parlato, anche nel loro ultimo Seminario Nazionale del 5 settembre 2020: Riformare si può? Teologhe a confronto – e comunità cristiane stanno cominciando a proporre idee, creare spazi di confronto, tentare sperimentazioni. Dal canto suo, “Missione Oggi” ha già contribuito al tema con articoli e soprattutto con un dossier del 2017, Riforma della Chiesa dai margini, dando voce agli aneliti di rinnovamento dai margini e dal basso, dove l’evangelizzazione s’incrocia in maniera più esplosiva con culture diverse, nuove rispetto a quelle della “cristianità” occidentale. Ma ora vi dedica anche il suo Convegno 2020 – Papa Francesco: cammini per una riforma “missionaria” della Chiesa –, convinta che di riforma e riforme hanno bisogno non solo le Chiese ad gentes (missionarie), ma anche le antiche Chiese europee, in un contesto culturale sempre più estraneo al Vangelo, in cui non basta una “nuova evangelizzazione”, ma sono necessarie nuove inculturazioni (e incarnazioni). Soltanto la “conversione missionaria” può restituire giovinezza alla Chiesa togliendone le rughe e rendendola di nuovo attraente. Ma si può riformare la Chiesa in senso missionario? Il Convegno del 10 ottobre a Brescia cercherà di rispondere a questa domanda.
Pubblicato in Missione Oggi 05/2020
Per maggiori informazioni sul CONVEGNO “MISSIONE OGGI” 2020
