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Il coraggio della pace e del dialogo

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Riprendendo i temi delle sue encicliche sociali, Laudato si’ (2015) e Fratelli tutti (2020), papa Francesco continua a lanciare appelli per la pace, in Ucraina e nel mondo intero, e per il dialogo, in un tempo in cui la guerra sembra tornata unica protagonista delle sorti mondiali. Lo ha fatto anche dopo la preghiera dell’Angelus domenica 3 luglio: “Faccio appello ai capi delle nazioni e delle organizzazioni internazionali, perché reagiscano alla tendenza ad accentuare la conflittualità e la contrapposizione. Il mondo ha bisogno di pace. Non una pace basata sull’equilibrio degli armamenti, sulla paura reciproca”. E stigmatizzando come nostalgia del passato quanto sta succedendo in Ucraina, ha aggiunto: “La crisi ucraina avrebbe dovuto essere, ma – se lo si vuole – può ancora diventare, una sfida per statisti saggi, capaci di costruire nel dialogo un mondo migliore per le nuove generazioni. […] Ma bisogna passare dalle strategie di potere politico, economico e militare, a un progetto di pace globale: no a un mondo diviso tra potenze in conflitto; sì a un mondo unito tra popoli e civiltà che si rispettano”. 

Per realizzare questo “progetto di pace globale” servono, d’accordo con Francesco, “statisti saggi”, che tradotto significa uomini e donne che credono nella pace in sé, non come semplice fine della belligeranza, ma come condizione di pienezza di vita, in un mondo altrimenti destinato all’olocausto della “casa comune” e dei suoi abitanti. Insomma, servono uomini e donne che credono nel dialogo come arte politica e costruzione artigianale della pace. Dopo la caduta del Muro, infatti, forse perché inebriati dalla vittoria del mercato globale, non si è tenuto sufficientemente conto delle diversità storiche, culturali e religiose, che abitavano oltre cortina o il Sud globale del mondo. Siamo caduti nell’illusione – neocoloniale – del mercato, che da solo avrebbe maturato pace e democrazia. Così non è stato. Oggi la guerra nel cuore dell’Europa ci obbliga a fare i conti – mai seriamente fatti – con tali diversità, che riemergono attraverso i nazionalismi, gli imperialismi, come nel caso dell’Est europeo e della Russia; ma anche attraverso gli etnicismi, come nel caso dell’Etiopia, e attraverso i jihadismi in Africa. 

Dalla guerra si esce solo con il coraggio della pace e del dialogo, cioè investendo nella pace come pienezza di vita, mentre i paesi occidentali – purtroppo anche l’Italia, in deroga all’art. 11 della sua bella Costituzione – sembrano investire nella guerra come mezzo di risoluzione delle controversie, per cui, per esempio, stanno facendo a gara per fornire armi all’Ucraina, magari svuotando i propri arsenali di armamenti obsoleti e riempiendoli di nuovi e più sofisticati. Secondo Francesco è una follia immaginare di arrivare alla pace inondando di armi un campo già cosparso di ordigni e vittime. Lo ha ribadito anche dopo la preghiera dell’Angelus domenica 10 luglio: “Rinnovo la mia vicinanza al popolo ucraino, quotidianamente tormentato dai brutali attacchi di cui fa le spese la gente comune. Prego per tutte le famiglie, specialmente per le vittime, i feriti, i malati; prego per gli anziani e per i bambini. Che Dio mostri la strada per porre fine a questa folle guerra!”. 

Perciò vanno individuate vie nuove, radicalmente altre da quelle che stanno prendendo forma nelle menti di chi rischia di non vedere la semina di morte, né lo scenario che può mettere fine alla vita civile e di democrazia sociale nella stessa Europa. Per questo c’è bisogno di coraggio, il coraggio della pace e del dialogo.

Mario Menin sx
19 Agosto 2022
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