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La tecnologia (ci) cambia

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Perché i giovani sono i più vulnerabili e i più forti

Pensiamo tutti allo stesso modo? No. Ma anche sì. Non è complottismo. È la base di una società che contagia e si contagia. E lo fa attraverso quel modo di comunicare, in costante e radicale cambiamento, che impatta sulla formazione delle opinioni e degli stili di vita dei singoli.

Se prima avveniva attraverso libri, pamphlet e radio, adesso c’è il digitale. Questo ecosistema, in cui tutti noi abitiamo, influenza le idee e, soprattutto, cambia le personalità.

Ecco, allora, le maschere. Che però non stanno sui volti umani. Scorrono nella mente, si dilatano nelle mani, abitano i profili personali sui social network. Oggi sorridente, domani pensieroso, a volte romantico, quasi mai triste. Basta un selfie. Magari con un sottofondo musicale. Poi un’emoticon per raffigurare un bacio, uno sticker per l’affetto e una gif per la rabbia. Le maschere a disposizione nel mondo digitale sono tante e tante sono quelle che vengono utilizzate. Sono formate da abitudini, da modi di pensare e di essere che, però, non combaciano col significato antropologico, con la verità storica dell’uomo. Eppure, rappresentano una fonte di sicurezza, un modo per trasmettere emozioni.

Il potere del digitale sta tutto in questo paradosso: rendere sempre più uniti ma anche, allo stesso tempo, più isolati. Vittime principali: i giovani. Che coi social sono nati e ora rischiano di non smettere più di indossare queste maschere. Connessi all’interno degli ambienti digitali, lontani da una vita comunitaria. All’utilizzo sfrenato di queste piattaforme sembra essere correlato uno “svuotarsi”, in termini relazionali, dei giovani. Più social significa meno sociale.

Senza voler fare di tutta l’erba un fascio, l’industria culturale, non soltanto composta dai social media ma da un insieme di mezzi e tecnologie, digitali e non, sembra voler cancellare i reali volti sociali e produttivi per sostituirli con maschere ricche di abitudini e con stili che non appartengono all’uomo.

Lo notava uno studio commissionato dall’azienda statunitense “Toll Free Forwarding”: l’uomo del futuro sarà gobbo, con mani ad artiglio per usare meglio i dispositivi, una calotta cranica più spessa per contrastare le onde elettromagnetiche, un collo largo e basso, e forse con una terza palpebra contro le luci degli apparecchi elettronici. Un uomo che si adatta e si fa cambiare. Perché la tecnologia cambia e ci cambia. Fisicamente e interiormente.

Ma come mai i ragazzi sono i più “vulnerabili”? Per definizione: i giovani sono tali per esperienza, vissuto. Il ragazzo vive un periodo formante. Cioè forma se stesso. E, inevitabilmente, tutto ciò che gli sta intorno contribuisce a questo processo: l’educazione, anche culturale, i gruppi di pari, l’asset familiare.

Ma questa non è solo una fonte di debolezza. Anzi. Perché proprio il giovane possiede quelle che Giuseppe De Rita identifica come le chiavi che consentono di uscire dalla prigione del presentismo: la famiglia, la scuola o l’azienda, l’anticipazione del futuro. E le relazioni, per essere vissute, hanno bisogno del tempo. Dell’attesa. Non di maschere.

Michele La Bella
24 Febbraio 2023
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