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Gaza, Francesco, la guerra dei vigliacchi e il coraggio delle lacrime

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A nome dei Missionari Saveriani e della rete “Preti contro il Genocidio”, pubblichiamo di seguito l’articolo “Gaza, Francesco, la guerra dei vigliacchi e il coraggio delle lacrime” di Carlo Musso, co-autore dell’autobiografia di papa Francesco "Spera". Il testo richiama gli appelli del Pontefice e il costo umano della guerra a Gaza.

Giovanni Bergoglio da Portacomaro, il nonno di un bambino che fu battezzato con il nome Jorge e che 76 anni dopo la sua nascita si sarebbe fatto chiamare Francesco, la guerra la fece sul Carso. Tornò a casa diciotto mesi dopo con un certificato di “buona condotta” e 200 lire da riscuotere, più o meno 300 euro di oggi: il premio per non essere morto.

Anche mio nonno, pure lui piemontese, fu spedito sul Carso, insieme ai suoi due fratelli, e tornò. Lui solo. Dei suoi tre figli partiti soldato, la mia bisnonna due dovette “donarli alla patria”, e quali menzogne si addensino in simili formule retoriche non si potrebbe spiegare meglio, anche senza dirsi cristiani, che attingendo alle parole che don Lorenzo Milani ha riservato alla sua lettera ai giudici. Ma neppure il terzo figlio sarebbe sopravvissuto a sua madre. Morì ancor giovane, lasciando una moglie e due figlie, emigrato prima in Argentina e poi in Bolivia, e lì sepolto in un “camp-sant foresté”, un cimitero straniero, come sovente accade in quella macabra danza che la guerra da tempo immemore intreccia con l’emigrazione.

Di questi comuni ricordi familiari è capitato più volte di parlare con papa Francesco, mentre insieme si lavorava alla stesura dell’autobiografia di cui ha voluto fare il suo testamento. Con la consapevolezza che quella guerra, la guerra dei nonni, fu anche una sorta di spartiacque, perché dopo di allora ogni conflitto ha mietuto la maggioranza delle sue vittime non tra soldati e combattenti ma tra la popolazione civile. Addirittura in più dell’80 per cento dei casi, in questo inizio di millennio: nei conflitti armati contemporanei, le cosiddette “vittime collaterali” sono quelle che vestono una divisa. Altro che eroismo, altro che retorica: oggi più che mai, la guerra – ha lasciato scritto Francesco nelle sue memorie – è vergogna e viltà al massimo grado. Una vigliaccheria in doppiopetto, orchestrata da chi di suo nulla rischia e tutto guadagna, da lobby che hanno visto lo scorso anno la spesa militare globale raggiungere il livello più alto mai registrato, 2.718 miliardi di dollari. Chi si meraviglia per le apocalittiche visioni che ci si parano dinnanzi non può mancare di confrontarsi con questa cifra e con l’ipocrisia che sottende lo stupore.

In un simile scenario, ciò che accade a Gaza ci appare, perfino nelle sue proporzioni, come la più puntuale fotografia delle guerre dei vigliacchi: almeno l’83% di vittime civili secondo un database dell’intelligence israeliana, riportato dal Guardian (ma da marzo il rapporto è diventato 15 su 16, dicono i dati raccolti da Armed Conflict Location and Event Data), una strage indiscriminata di innocenti, un bambino ucciso ogni due adulti, che spesso sono i suoi genitori, i suoi nonni. Un risultato per ottenere il quale della viltà viene esposto l’intero campionario: lo spregio del diritto internazionale, la disumanizzazione, la discriminazione, il razzismo, l’invasione, l’espropriazione, il furto, l’omicidio, lo stupro, il terrore, l’espulsione forzata, la demolizione delle abitazioni, la carestia, la fame. Nonché la distruzione degli ospedali e la strage dei giornalisti, così paradigmatica nel fare di una guerra non solo il palcoscenico delle bugie, dal momento che sempre le menzogne le precedono e le accompagnano e la verità ne è la prima vittima, ma essa stessa una menzogna.

L’abiezione di Stato delle operazioni militari a Gaza – per restare solamente ai numeri seguiti alla turpe abiezione degli attentati di Hamas del 7 ottobre 2023 – si stima abbia accatastato finora, insieme a quelli di molte decine di migliaia di donne, uomini e vecchi, i cadaveri di oltre 20.000 bambini (uno all’ora in 23 mesi, a cui se ne aggiungono altri 30.000 feriti, moltissimi gravemente; secondo quanto attestato dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, Gaza ha il più alto numero di bambini amputati pro capite al mondo, e senza anestesia), di almeno 1.300 medici e operatori sanitari (Aid Worker Security Database), di oltre 400 operatori umanitari (Save the Children), di più di 220 reporter (il conflitto più mortale per i giornalisti tra tutti quelli conosciuti nella storia, per il Costs of War Project). Ipertecnologiche armi ad alta precisione, in numero rilevante di produzione italiana, a colpire perfino chi non impugna che uno stetoscopio o una videocamera. Eppure le cifre sono sempre work in progress in questa ecatombe, e la sola ragionevole certezza è che quando la polvere si sarà posata se ne scopriranno di infinitamente maggiori. «Non ho mai visto nulla del genere» è del resto la frase più ricorrente tra operatori sanitari e di organizzazioni umanitarie che pure, dall’Ucraina al Sudan, pensavano di aver visto tutto.

Dinnanzi a tanta feroce vigliaccheria, Francesco ha richiamato più volte al coraggio delle lacrime, e lui stesso ne ha versate.
Lacrime umane.

Così differenti da quelle di coccodrillo – condensato della stessa pusillanimità che rende possibile questa vergogna – di leadership politiche perennemente impegnate in equilibrismi sempre più anacronistici, quando non conniventi, e che ancora rifuggono la loro precisa responsabilità, quella di mettere in campo le azioni concrete, esplicitamente previste dal diritto internazionale, per contrastare una carneficina di cui pare non si attenda invece che la soluzione finale: i nuovi grattacieli e i resort edificati su una terra impastata dei corpi di ciò che ora una commissione indipendente dell’Onu, e prima ancora numerose istituzioni accademiche, e pure associazioni per i diritti umani israeliane, ha classificato come genocidio, un termine che quando Francesco semplicemente lo evocò esortando ad indagare, in tempi in cui si sarebbero ancora potute evitare altre decine di migliaia di morti, stimolò straccio di vesti a più non posso. E non che la definizione “pulizia etnica” utilizzata nella denuncia di 350 rabbini ed esponenti ebraici del mondo culturale nordamericano possa apparire meno grave…

Il coraggio delle lacrime, al contrario, è quello che guida all’azione.

È quello cui hanno attinto gli ebrei che, fuori e dentro Israele, denunciano apertamente le politiche inumane del governo, la distruzione sistematica, i crimini. È la determinazione dei ragazzi e delle ragazze che a Tel Aviv stracciano in piazza i loro fogli di chiamata alle armi, e scelgono il carcere piuttosto che la complicità. È nella protesta dei famigliari degli ostaggi che chiedono inutilmente il cessate il fuoco per operazioni militari che perfino un crescente numero di riservisti dell’esercito israeliano ha contestato come illegali. Terrore che non potrà che moltiplicare terrore. (Le guerre dei vigliacchi il più delle volte si trasformano, a discapito di tutti, in quelle dei cretini).

É quello di centinaia di migliaia di famiglie italiane che hanno raccolto, attraverso associazioni, circoli, alcune parrocchie, oltre 500 tonnellate di generi di prima necessità per testimoniare che si possono incrinare anche gli assedi, a partire da quello della fame. È l’audacia che spinge alcune barche in viaggio per tentare di consegnare una parte di quelle merci, attivisti senza alcuna arma e in acque internazionali che, con diabolico ribaltamento, il ministro della sicurezza Itamar Ben Gvir, già sanzionato da Regno Unito, Australia, Nuova Zelanda, Canada e Norvegia per aver ripetutamente «incitato alla violenza estremista e a gravi violazioni dei diritti umani dei palestinesi», ha dichiarato saranno «trattati come terroristi». Specchio riflesso, si direbbe con il linguaggio di quei bambini le cui vite nulla interessano.

È nel servizio degli oltre mille sacerdoti della rete internazionale “Preti contro il genocidio” che si sono mobilitati dal basso per chiedere l’attuazione delle risoluzioni e dei pronunciamenti e per scuotere le coscienze dentro e fuori le loro comunità.

È l’energia, così spesso svalorizzata, che in molte parti del mondo continua a muovere milioni di semplici cittadini di ogni credo a impegnarsi, a reclamare pace e giustizia con la forza della nonviolenza, a scioperare, a fare un po’ di benedetto chiasso che infranga l’immobilismo mortifero e acquiescente che non è che carburante che alimenta il crimine di oggi e prepara quelli di domani.

È grazie a tutti loro se non è più possibile far finta di nulla, e con tutti loro credo sia Francesco. Con i loro sforzi, persino con i loro inciampi o le loro inadeguatezze. Ne sono sicuro perché lo è stato in vita, e non solo a parole.

Penso che in molti ormai abbiano compreso perché nel suo ultimo, faticosissimo anno ha telefonato alla parrocchia di Gaza praticamente ogni giorno, fino allo stremo delle forze; la ragione ultima, drammatica e profetica, di quella vicinanza corpo a corpo.

Lo ha fatto perché li si gioca il destino non solo di una parrocchia, che rifiutando l’ordine di evacuazione ha scelto una volta di più di dare una testimonianza martiriale, e di un intero popolo, e di una terra, ma, insieme a quello, anche il nostro. Quella striscia, e anche la Cisgiordania, che già conta mille altri morti negli ultimi due anni, ci definisce e ci racconta, legge il nostro futuro più ancora del nostro presente, perché la risposta all’orrore ci dirà qualcosa di decisivo su noi stessi. O forse di spaventoso.

Gaza non è purtroppo la sola tragedia del pianeta, eppure è un mostruoso passepartout: qualcosa che rinnega ogni principio minimo di diritto e ogni legge che stati e popoli si sono faticosamente dati persino per regolare quell’abominio che è la guerra – e infatti quella di un esercito contro una popolazione civile «non è guerra, è crudeltà», come ha detto Francesco con l’ultimo fiato che aveva in corpo. Se quel che vi accade viene ritenuto tollerabile, possibile, allora praticamente tutto, alla bisogna, potrà diventare possibile. E si tratta di una ferale notizia, pure per quelli che ora non se ne curano affatto, in un mondo in cui un pugno di persone, l’1%, detiene ricchezze superiori a tutta la popolazione dell’Europa, dell’Africa e delle Americhe messe assieme, con la concentrazione di potere, anche politico, che ne consegue.

Gaza dirà se ciò che chiamiamo diritto, democrazia, quelle preziose, sacre parole, non sono ormai che una formula vuota alla mercè dell'arbitrio e del sopruso dei pochi sui molti. Una bestemmia.

Dirà dei credenti e delle loro Chiese se sono credibili.

E lo stesso dirà delle nostre comunità, delle nostre organizzazioni, delle nostre istituzioni.

Dirà, di ciascuno e di tutti, quanto potremo ancora dirci umani.

Carlo Musso
*editore, co-autore di “Spera”, l’autobiografia di papa Francesco

Carlo Musso - co-autore di “Spera”, l’autobiografia di papa Francesco
26 Settembre 2025
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