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Martirio in Burundi. P. Aldo Marchiol

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Articolo apparso in Comix 63, 1995, pp. 21-23

P. ALDO MARCHIOL

Un uomo di poche parole

Aldo Marchiol, nato a Udine il 19 marzo 1930, scopre l'ideale missionario attraverso il giornalino "VOM-Voci d'oltremare". Entrato a Poggio San Marcello dopo la 2a superiore all'Istituto Tecnico Industriale di Udine, percorre il normale il curriculum formativo. E' ordinato sacerdote il 9 novembre 1958.

La partenza e il lavoro missionario

Dopo vari anni di servizio in Italia, specialmente nella formazione dei giovani missionari, realizza il suo desiderio di partire per le missioni agli inizi del 1977. È destinato al Burundi, dove i Saveriani avevano aperto una nuova missione.

Nonostante non sia più giovanissimo si impegna nello studio della lingua kirundi. Scrive al P. Generale il 25 marzo 1977: "Sto imparando questa lingua difficile ... non credo a me stesso. Mi trovo a 2.000 metri di altitudine. Nonostante sia poco quello che faccio, sono contento".

Aldo svolge il suo ministero prima a Bujumbura poi a Butara. E' di questo periodo (1982-1983) la prima espulsione di una decina di Missionari Saveriani. Al potere c'è il Presidente Bagaza, che si ispira al comunismo cinese, che non tollera alcuna critica alla sua propaganda contro l'azione pastorale della Chiesa. Il Padre rimane in Burundi passando un periodo prima a Gasorwe e poi a Gisanze.

La verità prima di tutto

Aldo vive la sua esperienza missionaria in maniera sofferta. Dalle sue rare lettere emergono interrogativi e dubbi. Sorprende però la sua volontà di dire la verità e di proclamare i valori del vangelo. Reagisce davanti al silenzio che, se permette di rimanere sul posto... rischia però di contraddire lo stesso annuncio in favore dei poveri e contro le disparità sociali e l'odio razziale. Ecco quanto scrive al P. Generale il 18 marzo 1987:

"Qui nella Chiesa del Burundi, tutti comandano, eccetto i Vescovi. Alla fine di gennaio, per ordine del partito, è stato distribuito un libretto verde contro la Chiesa e i Vescovi, da leggere in tutto il Burundi. L'hanno letto anche vari catechisti in chiesa, durante la messa, senza commentarlo però. Che tristezza! E noi preti siamo invitati dai vescovi a tacere... Ma come si difende il gregge di Cristo? (...) Ma, per esempio, non avere il coraggio, negli incontri presbiterali, di ricordare i preti che sono in prigione, con una preghiera, per me questo è vero paganesimo. Dovremmo essere noi missionari ad animare e dare esempio ai Vescovi, ai Sacerdoti e ai cristiani... Quello che più mi dispiace non è tanto la persecuzione contro la Chiesa, quanto l'accettazione di questo stato di cose. Tacere è un suicidio da parte della Chiesa.
Avrei tante cose da dire, sarà per un'altra volta".

Un mese dopo, circa, veniva espulso anche lui, ma questa volta con tantissimi altri missionari, religiosi e laici.
Nell'ottobre del 1988 ritorna a Ruzo, poi a Bujumbura, infine a Buyengero, all'inizio del 1995, fino al giorno del suo martirio.

Coerente e fedele

Aldo non parla mai di se stesso. Come sempre sono gli altri a delineare la sua personalità. La giornalista Renata Pisu lo ricorda mentre, davanti allo scoraggiamento di tanti per la situazione catastrofica del Burundi, dice:

"Bisogna continuare nell'opera di pace e fratellanza, e aggiungeva: Chi potrà mai lavare tutto questo sangue? Come potrò dare l'assoluzione a degli assassini? (La Repubblica, 2 ottobre 95).

Secondo il sacerdote friulano Don Corrado Marangone, il P. Ottorino Maule e il P. Aldo Marchiol erano consapevoli della situazione:
"La loro è stata una morte annunciata. In quel paese si era giunti ormai al capitolo finale dello sterminio e questa sorte sarebbe toccata a chiunque, come ai missionari, avesse voluto opporsi al genocidio. P. Marchiol era lucidamente consapevole del rischio. Lo stesso fratello di P. Aldo, P. Bramante, degli Oblati Missionari di Maria Immacolata, (per diciotto anni missionario nel Laos e sedici in America Latina), testimonia che, per telefono, il fratello gli diceva che la situazione andava peggiorando, che se i bianchi saranno attaccati, i Missionari Saveriani saranno certamente i primi ad essere uccisi".

Preghiera e accoglienza

L'immagine di questo saveriano non sarebbe completa se non si ricordassero due aspetti della sua vita. Era fedele alla preghiera del "Breviario" e alla meditazione della Parola, al mattino e alla sera. E terminava il giorno con la recita del rosario.

Era incaricato dell'accoglienza dei confratelli e degli ospiti alla casa religiosa di Bujumbura. Servizio questo che ha svolto con delicatezza e premura, mettendo sempre tutti a proprio agio. Aveva trovato una forma, ancora una volta nascosta, per dire che non solo voleva bene alla gente del Burundi ma anche alla sua famiglia saveriana.

Uomo di poche parole, ma capace di un grande gesto: è stato fedele e coerente alla sua vocazione fino alla fine, fino al dono completo di sè per il Burundi e la sua gente. 

Renato Trevisan sx

Trevisan Renato sx
30 Settembre 2015
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